venerdì 16 maggio 2008

Nisida, Nisida... così vicina così lontana

Ciao amica mia, dicono che il carcere di Nisida pare uno scoglio in mezzo al mare, che ci hanno fatto pure le cartoline, ma sempre carcere resta… con le mura, le chiavi e le sbarre.
Quando sei stata costretta a partire, con il cuore pieno di speranza, certo non potevi immaginare che sarebbe andata così.
Mio nonno che si chiamava Giovanni, era un omone alto e robusto con gli occhi chiari, e faceva l’autista degli autobus. Allora le strade non erano quelle di oggi e per andare da un paese all’altro occorrevano anche giornate intere, ma fu proprio così che conobbe una maestra, nonna Serafina. I due erano fatti l’uno per l’altra e così, con due guerre mondiali di mezzo, si sposarono ed ebbero sette figli fra cui mio padre Filippo, che di guerra fece la seconda in Russia. Quando gli equilibri mondiali parvero riassestarsi, loro si ritrovarono in quella piccola casa dove erano sempre stati, con i problemi di sempre: si iniziava la mattina presto, raccontava mio padre, quando bisognava svegliarsi prima degli altri per trovare le scarpe ed uscire.
Si direbbe oggi: vivevano in povertà, ma a quei tempi, erano quasi tutti poveri e nessuno faceva tanto caso a questa cosa.
La povertà non era uno “scandalo sociale” e ad Assisi, la terra di Francesco, i poveri potevano tranquillamente chiedere l’elemosina. A casa dei miei nonni c’era un sentimento strano, che forse oggi si chiamerebbe solidarietà, lo respiravi nell’aria e si manifestava ogni giorno all’ora di pranzo o di cena, quando non era quasi mai possibile stabilire con certezza, se non nell’immediatezza dell’evento, il numero dei piatti di minestra da mettere a tavola.
Tu dirai: “Ma perché mi racconti queste cose…” Perché anche loro avevano un sogno ed una speranza che a quei tempi si chiamava America. Conservo gelosamente una vecchia fotografia, ingiallita dal tempo, dove davanti casa ci sono tutti loro, tutti insieme e tutti con il vestito buono ed hanno i tuoi stessi occhi: quella fotografia doveva servire per il passaporto. Poi nonno ebbe un incidente sul lavoro, perse una mano, e quel sogno che poteva trasformarsi in incubo, come la tua storia e la storia di tanti altri Italiani partiti insegna, si perse nel nulla.
Ma come ti chiami Maria o Angelica? Quanti anni hai 14, 16 o 17? Hai visto quella radiografia che ti hanno fatto alla mano, quella serve a stabilire l’età, loro dicono che “biologicamente” dovresti avere circa 17 anni. E’ strano: adesso nessuno ti conosce, nessuno ti ha mai vista, non la tua gente, non i Servizi Sociali che per Legge dovevano occuparsi di te, non l’Opera Nomadi, non le Istituzioni.
Ma tutti quelli che non ti conoscono… dovresti vederli. Illustri pensatori, Presidenti di Enti Morali, autorevoli Giornalisti, Psichiatri, Psicologi e Sociologi, insomma la più svariata umanità che ha in comune solo il fatto di non conoscerti… tutti seri in televisione o fotografati sui giornali, non un capello fuori posto, ma questa volta con le facce preoccupate. Si rimbalzano responsabilità che sono di tutti, continuano a perdersi in un mare di parole, illustrano statistiche ed analisi sociologiche, suggeriscono “rimedi”. Poi la parola passa ai nostri politici che a loro volta si inventano leggi improvvisate (sono loro stessi nel Parlamento che se lo rinfacciano), che al massimo servono a combattere i poveri non la povertà e, credimi, sono due cose profondamente diverse. Fuori le cose non vanno meglio: la gente si “organizza” ed allo stesso tempo si perde, rilascia interviste allucinanti, c'è chi sempre senza conoscerti ti definisce "presunta carnefice" poi da solo si preoccupa di essere diventato un poco razzista, altri si divertono a fare gli incendiari bruciandosi l’anima ma, soprattutto, ognuno ha paura dell’altro: i buoni hanno paura dei cattivi (che forse tanto cattivi non sono) ed i cattivi hanno paura dei buoni (che forse tanto buoni non sono). Ed io che non capisco sono qui a scriverti… Giancarlo

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