lunedì 14 luglio 2008

Ecco, come e perché rom e sinti prendono parola

«Ci alitano sul collo, i media ci martellano, i politici ci accusano. Non è giusto che per gli errori di uno l’intera comunità debba pagare», spiega un rom ai giornalisti accaldati, assiepati tutti insieme sotto un tendone blu. Ci troviamo al Villaggio globale, a Roma, sono le due del pomeriggio di giovedì 10 luglio e il caldo è asfissiante.
Un uomo si sbottona la camicia; un bambino tiene in mano uno striscione «Sinti di Bergamo, cittadino italiano»; una donna prepara con cura lo stand di gonne stirate, pronte per essere vendute dalla cooperativa Antica sartoria rom di Roma; un ragazzo di diciassette anni, con occhiali da sole dalla spessa montatura, saluta un signore stempiato. «Siamo tornati al 1939 – osserva un sinto italiano – abbiamo paura, non dormiamo più. Avete visto cosa è successo a Napoli?».
Alle 14 e 30 comincia l’assemblea nazionale organizzata dalla Federazione Rom e Sinti Insieme, la prima rete di rom e sinti totalmente autorganizzata e indipendente, alla quale aderiscono 22 associazioni di 12 regioni.
«Abbiamo promosso questa giornata per riflettere sulle azioni da adottare in difesa della minoranza ‘zingara’», ci spiega un ragazzo della Federazione. Sotto il palco, alla ricerca di uno sprazzo d’ombra, si accalcano i partecipanti; qualcuno tra loro fa notare che anche nella Federazione si vedono un po’ troppo gli stessi volti e che si sperava in un’affluenza.
Il primo a impugnare il microfono è Marco Brazzoduro, docente di politica sociale alla Sapienza, maglietta «clandestina» nera [quella diffusa da Carta], moderatore della giornata: «Diciamo ‘dosta’ Oggi è un’importante giornata. I rom e i sinti si ribellano, dicendo no alla deriva razzista che sta prendendo piede in Italia».
Secondo la Federazione in Italia non si è avviato un vero percorso di interazione nei confronti di rom e sinti; non c’è stata la volontà, da parte delle grandi organizzazioni che lavorano con i loro, di parlare di diritti.
«Anche per questo – sostiene Nazzareno Guarnieri, presidente della Federazione – abbiamo deciso di formare una rete di autorappresentazione. Siamo stufi di chi parla per noi, di chi tenta di arricchirsi speculando sulla nostra pelle. Anche chi si definisce nostro amico spesso non ci vuole, ci ostacola; oppure, cosa ben più grave, ci usa come oggetti da mostrare». È indignato Guarnieri, parla di una politica corrotta, di un associazionismo legato al potere. Per Davide Casadio, sinto italiano, «rom e sinti un popolo. Il popolo dei sinti, ad esempio, vive in Italia dal 1400. Non siamo italiani?». La questione delle schedature non va proprio giù ai partecipanti dell’assemblea. «Ci schedano di continuo – continua Casadio – la stessa parola ‘zingaro’ è una schedatura, un’etichetta, un marchio». Ad essere schedato è un intero popolo. Ma la parola ‘popolo’ vale anche per i rom e per i sinti? «Sì – risponde Demir Mustafa, intellettuale rom di Firenze – alcuni di noi sono ancora nomadi, ma questo non ci impedisce di definirci ‘popolo’».
A dimostrare la vicinanza con i Rom e Sinti che vivono in Italia sono presenti rappresentanti stranieri. «Sono venuto in Italia, oggi, dalla Spagna. Porto la nostra solidarietà nei confronti dei fratelli italiani – dice Diego Scudiero, spagnolo, al microfono – Quando in Spagna leggiamo quello che avviene in Italia stiamo male, perché è come se venissimo colpiti noi», un popolo appunto. «Siamo andati sotto l’ambasciata italiana a protestare – gli fa eco Lisardo Hernandez, portavoce del Consiglio statale popolo gitano [organo ufficiale di rappresentazione gitana davanti al Governo spagnolo] – Siamo uniti, dobbiamo lottare tutti insieme».
La mancanza di politiche d’interazione è il problema che più spesso affiora negli interventi. Molti indicano come primi responsabili proprio quelle organizzatori che si dicono in difesa del popolo rom e sinti. L’Opera Nomadi ad esempio. Secondo Bruno Morelli, pittore rom, «Il mondo dell’associazionismo ha sbagliato tutto. Hanno cercato di risolvere il ‘problema zingari’ attraverso una politica di stampo sociologico, dimenticando di mostrare ai gagè [i non rom] la nostra cultura. Molta gente vive sulle nostre spalle, si arricchisce grazie a noi. Pensiamo all’Opera Nomadi».
Lo incalza Agostino Vdorevic, rom: «Dov’è oggi l’Opera Nomadi? Non c’è. Oggi ci siamo solo noi». L’Opera nomadi, in verità, è nelle stesse ore impegnata a presentare un progetto per concedere il tesserino ai musicisti di strada: una buona iniziativa ma che per alcuni è stata organizzata il 10 luglio per non far crescere l’adesione all’assemblea. Di certo, la Federazione ha le idee chiare e molte proposte, prima tra tutte, chiedere due incontri, uno al ministro Maroni, per parlare di assistenza sanitaria, scolarizzazione e diritto all’abitare; un altro ai tre prefetti, ‘commissari straordinari per l’emergenza rom’. Se le richieste, entro settembre, non verranno prese in considerazione, sarà l’inizio di una «lotta sociale», sostiene Vojcan Stojanovich, con proteste e scioperi della fame. di Simone Sestieri

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