mercoledì 13 agosto 2008

Madrid, manifestazione davanti all'Ambasciata italiana

«Gitanos europeos contra el racismo»: era questo lo striscione che apriva il corteo che si è svolto a Madrid il 7 agosto scorso per concludersi sotto l'ambasciata italiana, in Calle Lagasca. Circa 400 gitani hanno sfidato il caldo che sta attanagliando in questi giorni la capitale spagnola, per manifestare il proprio sdegno verso le notizie che arrivano dall'Italia riguardo ai loro «fratelli rom».
Nella Glorieta Rubén Darío, dove si sono concentrati i manifestanti, sono giunte delegazioni da ogni angolo della Spagna: Asturia, Andalusia, Extremadura, Paesi Baschi, Galizia, Catalogna, le due Castiglie, oltre, naturalmente, alla comunità madrileña.
La manifestazione è stata indetta dall'Unión Romaní spagnola e guidata dal suo presidente, Juan De Dios Ramírez Heredia, il primo rom eletto nel Parlamento europeo, il gitano che rappresentò il suo popolo nel primo governo postfranchista e la cui firma è posta sotto la Costituzione spagnola, come ha rivendicato orgogliosamente durante il discorso finale.
Molte le bandiere del popolo rom, azzurre e verdi con una ruota rossa al centro, altrettanti i cartelli che spiegavano il senso della manifestazione, con impresse le immagini provenienti dall'Italia dei roghi ai campi rom di Ponticelli e delle due bambine affogate a Torregaveta che giacciono sulla sabbia della spiaggia napoletana fra l'indifferenza generale. Entrambi episodi accaduti nella solitamente tollerante città partenopea. Ad accompagnare le immagini le scritte «Contro il razzismo» e «Contro l'indifferenza».
Ad aprire e chiudere il corteo sono state le parole di Juan De Dios, che ha ribadito il messaggio di «pace, tolleranza e allegria di cui il popolo rom si fa portatore» e «la totale intransigenza contro proposte razziste e aberranti come prendere le impronte digitali ai minori rom».
Quando, a fine corteo, ci presentiamo come giornalisti italiani, la prima cosa che Juan de Dios intende mettere in chiaro è la profonda insoddisfazione che ha provato nel vedere tra gli striscioni quello che paragonava Berlusconi Mussolini, che ha fatto immediatamente rimuovere: «Questa non è una manifestazione che vuole colpire il governo democraticamente eletto dagli italiani e sarebbe sbagliato che il messaggio che arriverà in Italia sia questo. Naturalmente è una manifestazione contro i comportamenti razzisti, contro l'indifferenza e l'intolleranza, ma non contro il governo italiano in quanto tale».

Juan de Dìos è venuto in Italia, per partecipare alle due manifestazioni organizzate da Rom e Sinti, a Roma l'8 giugno e il 10 luglio. «Il problema della situazione italiana», spiega, «è prima di tutto numerico. Qui in Spagna ci sono circa 700 mila gitani, quasi tutti spagnoli, ben inseriti nei meccanismi della società. In Italia i rom sono solo 150 mila e di questi poco più della metà sono italiani, condizione che li rende una minoranza che ha difficoltà ad organizzarsi».
In secondo luogo si tratta di politiche adeguate: «Non ci si può aspettare che un popolo che vive da anni nel fango e nella disperazione possa dalla notte al giorno alfabetizzarsi, uscire dalla marginalità e integrarsi. C'è bisogno di una politica illuminata, che non consideri la repressione la strada da seguire. Il nostro è un popolo abituato a soffrire e nei secoli è sopravvissuto a qualsiasi tipo di oppressione. L'unica via è quella di coinvolgere i rom, parlare con i suoi rappresentanti e renderli padroni del loro destino».
Più duro con il comportamento del governo italiano è Isidor Rodriguez, presidente della Fundación Secretariado Gitano di Madrid e componente dell'European Roma Policy Coalition: «Quello che sta accadendo nel vostro paese è molto pericoloso, il governo italiano sta violando i trattati e gli accordi europei, in primis la direttiva 2000/43 sulla parità di trattamento fra le persone, indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica».
Prosegue Rodriguez: «Deve essere il ministro delle Politiche sociali, e non quello dell'Interno, ad occuparsi della situazione dei rom; i provvedimenti devono essere di carattere sociale e non di ordine pubblico». E riguardo alla situazione spagnola: «La nostra condizione e il clima intorno a noi va migliorando costantemente, ma questo non esclude che in periodi di crisi sociale ed economica l'intolleranza possa apparire di nuovo. L'importante è che non ci sia l'avallo di sentimenti razzisti da parte del governo e dei media, come purtroppo sta avvenendo in Italia».
Concetto ribadito anche da Antonio Vásquez Saavedra, vicepresidente del Consiglio statale del popolo gitano, organo dipendente dal ministero dell'Educazione spagnolo: «Ci sono anche qua barriere e differenze da superare, però nel nostro Paese non c'è un razzismo orchestrato e promosso dal governo. Al contrario esistono organi governativi con partecipazione gitana che promuovono politiche e manifestazioni per promuovere il nostro popolo e la nostra cultura».

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