lunedì 4 agosto 2008

Paese indegno popolo indegno, quello italiano

Le due bambine rom morte annegate nel mare di Napoli, i cui corpi sono coperti da pezzi di stoffa che lasciano visibili i loro piedi, giacciono abbandonate sulla spiaggia al sole (in attesa di...?), nella palese indifferenza dei bagnanti che passano o che si crogiolano al sole a pochi metri. Le foto diffuse in tutto il mondo sono eloquenti. Paese indegno, il nostro, quando parte della sua popolazione è giunta a tale livello di cinismo, di miseria d'animo e di rigetto dell'altro (le bambine sono rom, no?).
Paese indegno, altresì, come lo è il governo italiano che ha deciso, alcune settimane prima, di schedare le impronte digitali dei bambini rom col pretesto di proteggerli dai loro genitori accusati di essere «naturalmente» (perché rom) inclini ad agire come genitori snaturati, schiavisti e sfruttatori dei loro bambini. Una misura giudicata indegna anche dalle autorità dell'Ue e, con un voto, dallo stesso europarlamento (del cui gruppo politico di maggioranza relativa, il Ppe, fa parte il partito del primo ministro italiano).
Governo indegno che sbriciola la sua cultura politica e polverizza il suo senso etico-civile accettando, come espressione pittoresca, il volgarissimo gesto del dito medio compiuto da un ministro chiave della Repubblica per esprimere la sua considerazione dell'inno nazionale italiano. Mai visto nella storia dei paesi europei una così vergognosa indecenza da parte di un ministro di Stato.
Paese indegno anche perché nessun rappresentate del parlamento ha richiesto le dimissioni immediate del ministro colpevole di siffatto scempio della rispettabilità della classe politica italiana. L'opposizione, riformista, avrebbe dovuto abbandonare il Parlamento e dichiarare l'astensione da ogni lavoro parlamentare fintantoché il ministro non si fosse dimesso. Essendosi limitata ad una debolissima protesta pro-forma, anche l'attuale opposizione parlamentare ha contribuito ad aumentare l'indegnità del nostro paese. Mentre le forze della sinistra, ormai extraparlamentare, sono state in questi giorni, in altre faccende affaccendate...

Paese indegno, anche perché popolo indegno. Noi italiani abbiamo aderito con facilità a due «grandi concezioni culturali»: la priorità data all'arricchimento individualista furbastro, menefreghista e, se necessario, illegale; la visione dell'altro (Roma, i rom, lo Stato, il mendicante, l'immigrato, l'Europa, il negro...) considerato la causa del male, il nemico, anche quando l'italiano riesce a sfruttarlo. Due concezioni che hanno localizzato la dignità del nostro popolo al di sotto del livello della pancia, distruggendo in noi gli elementi sostanziali di immunologia etica, morale, civile, politica, ed umana.
Da qui, il datore di lavoro veneto che lascia morire di fatica nei campi il «clandestino» indiano e domanda poi che il suo corpo (ridotto a scarico/rifiuto) sia tolto dal suo campo; da qui, l'accusa di essere una cloaca fatta al Consiglio superiore della magistatura da parte di un altissimo esponente politico del governo attuale; da qui, un popolo che rielegge trionfalmente e lo porta a diventare ministro la persona che aveva affermato che usava la bandiera tricolore italiana per pulirsi il sedere, che è lo stesso autore recente del gesto del dito; da qui un popolo che ridà il potere ad un Presidente del consiglio dei ministri che dichiara vittoria, urbi et orbi e senza vergogna, per essere riuscito, finalmente, a far adottare delle leggi fatte a sua misura per salvarsi da una magistratura non solo comunista (a suo avviso) ma malata perché, come dichiarato in altri momenti, sempre da Presidente del consiglio dei ministri: «Bisogna essere malato di mente per esercitare il mestiere di magistrato».
Questo è un paese indegno, diretto da un governo indegno, culturalmente sostenuto da un popolo che si compiace di ritrovarsi rappresentato da come sopra e che, oggi, si comporta, esso stesso, in maniera indegna.
Il futuro non è finito: non so quando, non so come, un altro paese prenderà il posto con un popolo degno perché animato dall'amore dell'altro e della dignità umana, dal rispetto quotidiano dei valori etici, sociali e civili del vivere insieme e fiero della res publica. Quel che so è che è giusto e buono di gridare la propria indignazione e di lavorare per costruire un altro futuro, senza compromessi. di Riccardo Petrella

1 commento:

Anonimo ha detto...

da corriere.it

Insulti all'inno, archiviazione per Bossi
La procura di Venezia ha chiesto l'archiviazione per il dito medio alzato dal ministro delle Riforme
VENEZIA - Non costituirebbero reato ministeriale le espressioni e il gesto sull'Inno di Mameli usati dal ministro delle Riforme e leader leghista Umberto Bossi a Padova, per i quali risulta indagato come «atto dovuto». La conclusione è contenuta nella richiesta di archiviazione che accompagna l'invio del fascicolo per l'ipotesi di reato di vilipendio trasmesso al tribunale dei Ministri dal procuratore aggiunto della Repubblica di Venezia Carlo Mastelloni. Il fascicolo era stato aperto dalla procura della Repubblica di Venezia sulla base di una nota informativa della Digos di Padova riguardante il discorso fatto da Bossi nel corso del congresso della Liga Veneta-lega Nord, il 20 luglio scorso.
LE MOTIVAZIONI - Mastelloni, in accordo con il procuratore della Repubblica Vittorio Borraccetti, trasmettendo gli atti al tribunale dei Ministri - visto che in questi casi la procura non può fare alcuna indagine - ha proposto l'archiviazione. Non si sarebbe trattato, infatti, di espressioni in rapporto strumentale con l'esercizio delle funzioni ministeriali da parte del leader del Carroccio. Il Procuratore aggiunto ha fatto anche esplicito riferimento alla giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia. Nel corso dell'intervento a Padova, Bossi aveva alzato il dito medio pronunciando la frase «Non dobbiamo più essere schiavi di Roma. L'Inno dice che 'l'Italia è schiava di Roma...', toh! dico io».
06 agosto 2008

Dire "ti venga un cancro" è un reato
La quinta sezione ha annullato l'assoluzione di un uomo che aveva augurato la brutta fine a un uomo e a suo figlio
ROMA - Augurare disgrazie al prossimo può essere un reato. Lo stop agli iettatori arriva dalla Corte di Cassazone. Augurare a una persona di morire di cancro è un’ingiuria, se detto con particolare disprezzo e può essere perseguita a termini di legge. D’ora in avanti, dalle maledizioni ci si potrà difendere oltre che con scongiuri, anche con una denuncia alla Polizia.
IL FATTO - Lo si evince dalla sentenza numero 32978 depositata dalla Cassazione: il fatto è successo a Treviso, dove dopo una animata discussione un uomo aveva detto a due conoscenti «chissà che te mori ti e to fia di tumore». Uno dei destinatari della frase aveva, fra l’altro, perso la moglie da poco con un brutto male. Per questo i due avevano denunciato il fatto. Il giudice di pace di Treviso aveva ritenuto l’uomo colpevole di ingiuria. Ma la decisione era poi stata ribaltata dal Tribunale di Treviso secondo cui «pur trattandosi di una frase di pessimo gusto, che rileva malanimo e totale mancanza di pietà umana per la vicenda che aveva colpito il destinatario ma che non incide sulla onorabilità della persona offesa».
IL RICORSO IN CASSAZIONE - I due, costituitisi parti civili, hanno fatto ricorso alla Cassazione e, questa volta, hanno vinto. La quinta sezione penale ha invatto annullato con rinvio l’assoluzione sostenendo che «nella decisione impugnata manca totalmente una giusta disamina dei fatti dal momento che si è limitata a considerare solo il significato logico e intrinseco delle parole adoperate senza minimamente apprezzarle in rapporto al contesto in cui erano state proferite, anche al fine di verificare la possibilità che esse costituissero una manifestazione di disprezzo verso le persone cui erano dirette, e quindi un’offesa all’altrui decoro, vale a dire al complesso di altre qualità, diverse da quelle morali e circostanze che determinano il valore sociale di un individuo».
06 agosto 2008

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