domenica 28 settembre 2008

Castel, diffidare delle politiche securitarie

La società contemporanea vive immersa nella paura e nella insicurezza. Dal tema dell'immigrazione a quello del terrorismo, dalla paura per le conseguenze disastrose del riscaldamento globale alla timore per il crollo economico-finanziario internazionale o al rischio della disoccupazione.
In un’intervista di Aldo Cazzullo da 'Il Corriere della Sera' di oggi, il leader del Pd, Walter Veltroni afferma che, nonostante accadano cose meravigliose come la scienza e la comunicazione, «in Italia vedo prevalere i segni del tempo peggiore. Sulla fiducia vincono paura, chiusura, arroccamento. E la paura è un moltiplicatore della crisi. Quando una società ha paura, è tentata dal barattare democrazia per decisione. È una sorta di maleficio: ogni volta che la crisi democratica si è saldata con la crisi sociale e con il prevalere di suggestioni populistiche e autoritarie, sono accadute le tragedie peggiori nella storia dell'umanità».
Robert Castel, sociologo, direttore della 'Ecole del Hautes Etudes en Sciences Sociales' di Parigi. Allievo di Pierre Bourdieu e Michel Foucault, negli ultimi anni si è dedicato all'analisi delle dinamiche di esclusione sociale delle società contemporanee sempre più alle prese con il problema della sicurezza.
Nelle società contemporanee non possiamo non osservare un crescente sentimento di insicurezza, da dove deriva questo fenomeno a suo avviso?
«C'è questa specie di sentimento di inquietudine e insicurezza generalizzato e paradossalmente in società che sono protette come in Italia, Francia, Stati Uniti e Germania dove, oggettivamente, la sicurezza è molto meglio assicurata che in paesi come Kabul, l'Afghanistan o l'America latina. Quindi viviamo una specie di paradosso, se la gente ha paura non è perché non è protetta ma forse perché si è presa l'abitudine a non essere protetti. Non è la spiegazione di tutto, ma una ragione di questa inquietudine, sta nel sentimento che le protezioni si indeboliscono e la gente ha paura di perderle. In fondo c'è una tendenza a sommare i rischi, è vero ce ne sono molti, con origini diverse, ma li amalgamiamo e alla fine sommino le paure».
Quali sono secondo lei le gravi conseguenze di questa situazione?
«Per me c'è anche un rischio ancora più grave di quello che abbiamo detto, ovvero che i rischi suscitano l'aggressività. C'è una logica che conduce a cercare i responsabili dei rischi, a inventarli. La questione dell'immigrazione, per esempio, che oggi è un problema molto duro, si spiega in parte così. Ovvero che si caricano i rom o in Francia i ragazzi delle banlieues che, è vero, a volte fanno cose condannabili, ma sono spesso solo alcune decine di o al limite qualche centinaia di migliaia, e la tentazione dei politici securitari, è appunto quella di identificare queste categorie come i principali responsabili di tutta l'insicurezza che c'è in Francia o in Italia, che si tratti di delinquenza o altro. Credo ci sia una logica che è abbastanza generale e penso che da questo punto di vista gli uomini politici sono abbastanza abili. Per esempio, combattere la disoccupazione non è certo facile, lo so, ma è molto più semplice scacciare degli immigrati e così si da l'impressione che si agisce, che non si è passivi, e rispetto a questo c'è qualcosa di moto forte che a, mio avviso, bisognerebbe cercare di smontare».

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