sabato 15 novembre 2008

Non chiamarmi zingaro

È un pretesto ben curioso, quello che ha spinto Pino Petruzzelli a scrivere “Non chiamarmi zingaro”, la raccolta di racconti-interviste uscita qualche mese fa per Chiarelettere.
“Sì, deve essere andata proprio così – scrive l’autore nelle pagine introduttive – Fu grazie a quel pianoforte che iniziai a vedere lo zingaro da un diverso punto di vista. Il suo.”
Un pianoforte come pretesto di questo particolare viaggio è una metafora del destino, la risposta alla dedica di Petruzzelli, alla sua preghiera: “A mio figlio e a tutti i bambini della sua generazione affinché crescano con la certezza che una grande melodia non può che nascere da note diverse”.
Ebbene, è dai tasti di un pianoforte che parte il viaggio di approfondimento dell’autore, alla scoperta dell’universo misconosciuto e frammentato di Rom e Sinti.
Dalle baracche sotto i ponti dell’Arno e dagli insediamenti nelle ex fabbriche italiane, ai quartieri ghetto della Bulgaria; dai campi di Roma, alle villette dei giostrai, in Friuli; dalle periferie dei diseredati di Tirana, alle viuzze vestite a festa di Saintes Maries de la Mer, in Provenza, dove ogni anno Rom e Sinti si recano a ringraziare Sara la Kali; dalla Svizzera, alla Grecia, passando per Eboli. Un viaggio durato anni, in cui Petruzzelli si è lasciato prendere per mano ed accompagnare, di volta in volta, da uomini e donne appartenenti ad un popolo la cui storia è sempre stata narrata da altri, manipolata e vilipesa. In questo caso, è andata – finalmente! – in modo diverso: l’autore ascolta, fa domande, si sposta, cerca, registra… ma lascia parlare loro, rendendoli soggetti del narrare, eclissandosi il più possibile dietro le loro storie.
È così che il lettore incontra personaggi dai tratti quasi fiabeschi, eppure assolutamente reali: la prima insegnante Rom d’Albania, e una neurologa Rom che continua a nascondere le proprie origini; un poeta, un pittore, famiglie rumene, un fotografo bulgaro, giostrai ed attivisti italiani; un ragazzo che ha visto morire l’amore della sua vita, un ex pugile emiliano, uno scultore, un prete ed un frate; un elettricista che cura i sistemi d’allarme di una banca (!), e una scrittrice svizzera vittima dello zelo della Pro Juventute, che strappava i figli agli ‘zingari’ per trapiantarli in sane famiglie contadine. Un viaggio tra le tante sfaccettature di un popolo complesso, Rom, Jenisch, Manouche, Sinti – e tra le pieghe della storia che, sulla loro pelle, non è mai stata clemente. Dalle manifestazioni leghiste xenofobe del presidio di Opera, e dall’incuria amministrativa odierna, giù giù, fino alle origini di un odio razziale vecchio di secoli, che raggiunge l’apice durante la seconda guerra mondiale, quando ai cosiddetti Zigeuner viene riservato lo stesso trattamento degli Ebrei: braccati, imprigionati nei lager, seviziati, decimati dalla furia nazista.
Petruzzelli fa un’operazione coraggiosa, cedendo la parola a queste genti – dice il sottotitolo – perseguitate e diverse da sempre, che nessuno conosce ma di cui tutti hanno paura. In un momento storico certamente poco adatto al dialogo e all’attenzione per questi temi. Eppure il testo, lungi dall’essere semplicistico o accomodante, resta una lettura lieve, gentile. Un testo disarmato, proprio come lo sono queste etnie: sparpagliate, mai entrate in guerra, senza rappresentanze diplomatiche, senza terra.

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