mercoledì 25 febbraio 2009

Condannata ad essere condannata

Pubblichiamo la traduzione del reportage del giornalista Miguel Mora sulla xenofobia in Italia. Il reportage è stato pubblicato da El Pais il 1 febbraio 2009 e ha avuto una grande eco in Spagna e in altri Paesi.

La politica di repressione contro rumeni e “zingari” in Italia si è estremizzata. Angelica, una rumena di 16 anni, accusata di aver tentato di rapire una bimba a Napoli il maggio scorso, è stata condannata a quasi quattro anni di carcere nonostante le irregolarità e la mancanza di prove valide nel processo. Dietro la sentenza giuridica si intrecciano una serie di interessi politici e cittadini. E la mano della Camorra.
Angelica V., una rumena di 16 anni, è stata arrestata l’11 maggio scorso a Napoli con una schiacciante accusa: tentato rapimento di un neonato. Da qualche giorno appena, un giudice del Tribunale dei Minori napoletano ha condannato la giovane a scontare una pena di tre anni e otto mesi di prigione. È la prima condanna di questo tipo inflitta ad una persona di etnia nomade in Italia. Il suo avvocato farà ricorso, ma non ha speranze. “Il giudizio è stato parziale, lo sarà anche l’appello”, dichiara Christian Valle. E aggiunge, “per tutto il processo i diritti umani di Angelica sono stati violati”.
Angelica si trova da otto mesi nel carcere napoletano per minori di Nisida, nonostante si sia dichiarata innocente e sia stata condannata senza prove se non la testimonianza della madre del neonato. Lì, il 100% delle arrestate sono, come lei, di etnia nomade.
L’insolito caso di Angelica difficilmente si spiega in un paese come l’Italia, che fino ad ora ha la giusta fama di essere uno dei posti in Occidente dove la certezza della pena è meno certa e la giustizia meno efficiente. Per capire il paradosso basta ascoltare la frase pronunciata da Salvatore, un tassista romano: “Qui, dottore (in italiano nel testo, N.d.T.), le regole valgono solo per i deboli”. Angelica V. è debole, è donna, è gitana e non ha studiato. In più si è trovata a passare per Napoli quando era appena cominciata in società la politica dl pugno duro del fiammante Governo Berlusconi.
Napoli, stanca di malgoverno e immondizia nelle strade, aveva votato come mai per il Cavaliere (in italiano nel testo, N.d.T.). Più di tutti gli altri, più di Milano. 36% di voti nella sua città, 48% a Napoli.
A capo degli Interni, Berlusconi ha piazzato un uomo della Lega Nord, l’eterno numero due di Umberto Bossi. Ha baffi e principi, è intelligente, ha un debole per il discorso xenofobo e populista, i sabati suona la tastiera con una banda blues e quando era un giovane di estrema sinistra prese a morsi la gamba di un poliziotto che lo stava arrestando. È Roberto Maroni e il suo obiettivo dichiarato è quello di restituire le strade agli italiani, riportare la sensazione di sicurezza.
Bobo Maroni arriva con le idee chiare e il nemico identificato. Non è la Camorra nè la ‘Ndrangheta, nè Cosa Nostra. Sono i “nomadi”. Come ha detto il suo partito nella vittoriosa campagna elettorale, “violentano e uccidono le nostre donne, rapiscono bambini, aggrediscono anziani”. L’Italia vive l’”emergenza nomadi”. Però lui la risolverà e li caccerà tutti.

La storia di Angelica V. è legata ai perseguitati di Ponticelli. A maggio le immagini hanno fatto il giro del mondo. Dopo che una donna del quartiere lanciò l’allarme per un tentato rapimento del suo neonato, gruppi di giovani centauri si fecero giustizia da soli incendiando e assaltando gli accampamenti “nomadi” del quartiere.
“La reazione è stata violentissima, allucinante”, ricorda Marco Imarisio, giornalista locale del Corriere della Sera, che seguì gli attacchi per il suo giornale e ora ha scritto quello che ha visto in un libro intitolato “I giorni della vergogna. Cronaca di un’emergenza infinita” (L’Ancora del Mediterraneo).
Alcuni tentarono di dipingere gli attacchi come una rivolta popolare contro i Rom, come una spontanea battaglia tra poveri, però a Napoli tutti sanno che si è trattato di un’altra cosa. “Un fatto di Camorra” (in italiano nel testo, N.d.T.). Imarisio dà un dato: “Il clan che comanda nel quartiere, prendeva 60 euro a testa per permettere ai nomadi di stare lì. Per anni. Di colpo è passato dal business all’incendio delle baracche. La gente del quartiere non voleva i nomadi e loro gli chiedevano il pizzo, facevano affari con loro. Il presunto sequestro ha costituito la scusa per cacciarli e recuperare la propria autorità”.
Da allora, il tempo, i mesi passati, hanno rivelato che sotto i selvaggi attacchi scorreva un ingrovigliato cocktail di motivi fatto con ingredienti della peggior marca. Degrado e miseria, razzismo e demagogia, crimine organizzato e speculazione edilizia.
La cosa fondamentale è che su alcuni terreni occupati dagli accampamenti illegali incendiati a maggio, il Comune di Napoli aveva deciso di costruire il Palaponticelli, uno spettacolare intervento urbano dichiarato di interesse pubblico nel maggio del 2007 dalla giunta del sindaco del Partito Democratico Rossa Russo Iervolino. Si tratta di un progetto faraonico, sviluppato su 85.000 metri quadri che include un edificio multiuso, una sala per concerti di 11.000 metri quadri, altri 44.000 metri di zona commerciale, un parcheggio per 3000 macchine, una nuova piazza pubblica, attrezzature… Il costo è di 200 milioni di euro, a carico del promotore privato; e creerà 1000 posti di lavoro (http://www.comune.napoli.it).
Nell’aprile del 2008 Andrea Santoro, consigliere di Alleanza Nazionale, ha denunciato pubblicamente l’operazione come “una delle più grandi speculazioni edilizie e commerciali che abbia mai colpito la città”. L’edile ha avvertito inoltre che un sistema di “scatole cinesi” avrebbe protetto la società promotrice, Palaponticelli, creata ad hoc nel 2007 con un capitale sociale di 2.500 euro. Detta società è proprietà dell’Armonia, impresa di Reggio Emilia, costituita con 10.000 euro di capitale sociale e amministrata da Marilù Faraone Mennella (conosciuta come “Lady Confindustria” perchè suo marito, Antonio Amato, è l’ex presidente del gruppo italiano), e da Silvio de Simone.
Questa società emiliana è proprietà della romana DM che, a sua volta, ha concluso Santoro, è proprietà di un gruppo “outdoor”: F1Napier, F2Napier, Hakon. “Società lussemburghesi, anonime, soggette ad una giurisdizione per la quale è impossibile conoscere i soci. Dietro il Palaponticelli ci può stare chiunque”, ha affermato il consigliere.
Da allora, silenzio assoluto. Le accuse sono finite nel nulla. Il progetto è andato avanti. E giovedì scorso la giunta comunale ha approvato il progetto definitivo senza opposizione apparente.
La giunta municipale afferamava nel 2007 che l’area scelta per il Palaponticelli, “è in condizioni di abbandono e degrado”. Appena un anno dopo, il Comune ha risolto il problema senza cacciare un euro e senza riallocare nessuno. “I nomadi sono fuggiti, sono stati alloggiati in case accoglienza e ora la grande maggioranza sta nel proprio paese”, spiega Roberto Malini, della ONG EveryOne.
Il giorno dell’esodo dei “nomadi”, Patrizio Gragnano, consigliere ex comunista, ha ritenuto colpevole degli attacchi sia la destra che il Partito Democratico (PD). “Non hanno fatto altro che seminare odio e alimentare l’esasperazione della gente”, ha dichiarato a “La Repubblica”. Il giornalista aggiungeva di suo pugno: “Nell’area dove si trovava il campo nomadi, è prevista la costruzione del Palaponticelli, una struttura di 12.000 posti per concerti. Lo sfratto dei nomadi, lì, era programmato da tempo.
Torniamo al rapimento. La donna che ha accusato Angelica del tentato sequestro di sua figlia, si chiama Flora Martinelli, ha 28 anni ed è figlia di Ciro Martinelli, di 57 anni, più conosciuto dai carabinieri come “O Cardinal e O vescovo” (scritti in dialetto nel testo, N.d.T.).
Martinelli è un collaboratore del clan Sarno, il clan camorrista che domina Ponticelli, famoso per la sua abilità di ottenere contratti pubblici. La lista di precedenti penali di O Vescovo occupa varie pagine. Nel 1999 fu condannato per associazione a delinquere. Anche sua figlia, la madre della bimba, fu arrestata nel 2004 per un crimine minore: falso ideologico commesso di fronte ad un funzionario ufficiale (come a dire, mentire ad un poliziotto) e falsificazione di documenti relativi alla ITV e di permessi di circolazione.
Angelica era arrivata in Italia dalla Romania da poco tempo. Andava sempre in giro con il fidanzato. I “nomadi” di Ponticelli, la conoscevano appena. Vivevano nascosti, si guadagnavano la vita rubando, mendicando e facendo commissioni. Angelica non rubava con particolare astuzia. Perchè in pochi giorni è finita per essere vittima di due tentativi di linciaggio a Ponticelli. In entrambi i casi l’ha salvata la polizia, ma nessuno dei suoi aggressori è stato arrestato.
Dopo il parapiglia, Angelica è stata consegnata alla Comunità di Monte di Procida, una delle tante case famiglia che sono cresciute come funghi sul territorio italiano, dove la carità è privatizzata e quasi sempre in mano alla chiesa cattolica. Due o tre giorni dopo, scappa e torna a Ponticelli. Perde un’altra volta la paura di morire. O forse ha fame. E domenica 11, alle nove e mezza di sera, sale al secondo piano di una casa e cerca di portarsi via una bimba. La madre la scopre. Settanta persone cercano di linciarla un’altra volta (per la seconda volta). La polizia la salva. Viene incarcerata il 13 maggio. La stessa notte dell’11 cominciano le vendette. La prima vittima è un rumeno non nomade. Ha una casa, non vive negli accampamenti, è un operaio. Lo aggrediscono in venti. Calci, pugni e una coltellata nella schiena. Dopo seguono gli incendi e le pietrate. Attaccano tutti: donne, bambini e giovani. Ordinano i Sarno (o per ordine dei Sarno). In 48 ore tutti i nomadi fuggono da Ponticelli. La polizia non è capace di garantire la loro sicurezza. Lasciano le loro cose, i vestiti e cinque cani. Sembrano essere gli unici abitanti di una terra affumicata. Non ci sono arrestati.
Questo è il racconto che ha fatto la stampa all’epoca. Forse convincente, però incompleto. Perchè secondo Marco Imarisio, il giornalista del “Corriere” e l’avvocato di Angelica, non c’è mai stato un tentato rapimento. “Il rapimento della bimba non si è mai verificato”, scrive Imarisio. “Del fatto che niente quadra in questa storia, è convinta anche la polizia che dal principio dubitò della versione ufficiale ricostruita in base al racconto della madre della bimba e dei suoi familiari”.
Nel rapporto conclusivo, la polizia ha espresso “fortissimi dubbi” sulla “veridicità” di ciò che è accaduto quel giorno. “Per due mesi i cellulari dei Martinelli furono messi sotto intercettazione”, spiega Imarisio, “per vedere se nelle loro conversazioni private si potessero capire i motivi di ciò che agli investigatori sembrava una messa in scena o, al massimo, una versione ampliata di quello che è successo nella casa”.
O Cardinal è stato colui che ha afferrato la ragazza mentre scappava sull’uscio di casa. “È un personaggio molto conosciuto, un ‘uomo d’onore’. Difficile pensare che qualcuno entri a rubare in casa sua, soprattutto sua nipote”.
Angelica era stata a casa sua in precedenza, raccontano i vicini, “almeno tre o quattro volte”. Secondo gli investigatori “Probabilmente molte di più”. “Lei ha raccontato che ci andava spesso perchè le davano i vestiti”.
La madre della bimba ha dichiarato alla polizia che è entrata forzando la porta e si è presa la bambina. Nel processo ha cambiato versione affermando che la porta era aperta. La tesi della polizia è che Angelica sia entrata con il permesso della famiglia e che la madre della bambina abbia lasciato la neonata nel salone per andare a cercare qualcosa nella sua stanza; in questo momento, forse, Angelica decise di rubare qualcosa e la madre la vide.
Secondo la versione della madre, quando tornò nel salone, vide la giovane nomade uscire di casa con la bimba in braccio. La polizia e l’avvocato giudicano inverosimile il racconto: la distanza era breve ed avrebbe avuto il tempo di scappare, “a meno che non abbia fatto un passo al minuto”. Però, la mamma (in italiano nel testo, N.d.T.), insiste: uscì, afferò la bimba dalle braccia della ragazza e cominciò a gridare.
Il nonno che vive al piano di sotto, sente le grida e sale. È un uomo alto e grasso. Ha il tempo di bloccarle la strada per le scale, ma la lascia misteriosamente fuggire. Dopo la segue per 500 metri fino a prenderla. Un testimone racconta di aver chiesto alla ragazza se aveva tentato di rubare la bambina e lei lo negò. Alla polizia venne raccontato il contrario.
Nel processo, O Cardinale e i suoi vicini hanno sostenuto che nessuno di loro vide Angelica con la bimba in braccio. La vide solo la mamma. Una testimonianza sufficiente per il magistrato Cirillo. Il 13 gennaio, il Tribunale dei Minori ha condannato A. V. a tre anni e otto mesi di carcere con l’aggravante del minore indifeso dal momento che la madre si trovava in un’altra stanza.
Ho l’impressione che abbiano appena condannato un’innocente”, ha commentato Enzo Esposito, segretario della ONG Opera Nomadi di Napoli. L’avvocato Valle ha la stessa sensazione. “Non è stato un processo imparziale. Tutte le domande della difesa sono state considerate irrilevanti. E gli atti non sono stati tradotti, come prevede la legge quando l’imputato non conosce l’italiano. Il giudice le ha offerto il patteggiamento: se si fosse dichiarata colpevole, le avrebbero cambiato la pena in un programma di riabilitazione. Lei non ha accettato. L’unica base della condanna è la testimonianza della madre della bimba. Incredibile, soprattutto perchè ha il precedente di aver mentito alla polizia. Tuttavia, secondo la magistratura e i giudici, la madre non aveva nessun interesse ad accusare la ragazza. E non lo avrebbe fatto se non ci fosse stato il tentativo di rapimento. Non sembra un ragionamento sbagliato, soprattutto in una città in cui le mamme non mentono. Tra una mamma napoletana, figlia di un uomo d’onore e una nomade ladra, a chi credere?
Dopo la sentenza, il gruppo di avvocati di Soccorso Legale, a cui appartiene l’avvocato Valle, ha emesso un comunicato. “Ogni richiesta della difesa è stata sistematicamente respinta, inclusa l’ammissione dell’avvocato d’ufficio. (…) L’apparato giudiziario ha così scatenato la sua offensiva contro la piccola nomade, incarnandosi in un’ossessione di castigo alimentata dal più vergognoso razzismo e dalla devastante ideologia della sicurezza di matrice fascista”.
Angelica era condannata ad essere condannata. Forse aveva la vocazione del capro espiatorio. Nei giorni precedenti all’incidente, gli abitanti del quartiere si erano riuniti numerose volte per studiare il modo di cacciare i nomadi da lì. Imarisio ricorda che gli abitanti delle case popolari nate negli anno sessanta nella periferia orientale di Napoli, figlie della speculazione amministrata dal sindaco e proprietario della città Achille Lauro, avevano fondato non meno di cinque comitati civici (Rinascita Ponticelli, Insieme per Ponticelli, Comitato Civico Lettieri…), per sloggiare gli accampamenti.
Ma il parroco di Ponticelli si era opposto. Era l’unico difensore dei “nomadi” e quando è avvenuta la persecuzione ha dichiarato: “Qui c’è un intreccio incredibile, qualcosa di più della mafia”. Si riferiva al Palaponticelli, all’efficace unanimità con cui i politici e i media italiani hanno montato l’odio contro la popolazione rom. A Napoli, questa criminalizzazione è stata capeggiata dalla sinistra, come dimostra il programma-manifesto distribuito dal partito Democratico locale intitolato “Via gli accampamenti nomadi di Ponticelli”.
Ironico, soprattutto se si pensa che i “nomadi” stavano lì da 15 anni senza che il Comune si sia mai preoccupato di integrarli. Ironico, se si pensa che il quartiere è un posto assolutamente degradato e abbandonato, dove la legge la impone la Camorra. Ironico, perchè in quei giorni Ponticelli era soffocata dall’altra emergenza infinita - quella dell’immondizia - di cui tanto sa il PD che governa la regione e il Comune ormai da più di dieci anni.
Gli abitanti di Ponticelli aspettavano da anni. Aspettavano il messaggio di Berlusconi e Maroni: più sicurezza, più Stato, fuori i “nomadi”. Aspettavano un’imminente pioggia di milioni che non arrivava mai e che avrebbe dovuto cambiare l’aspetto di questa periferia miserabile. Forse questo intreccio ha potuto incoraggiare la denuncia della mamma?
Il fattore camorrista è la terza gamba. Il clan che domina il quartiere, i Sarno, è conosciuto per la sua abilità nel muoversi all’interno del tortuoso terreno dei contratti pubblici, un mondo che si è scoperto solo in parte qualche settimana fa con l’arresto di Alfredo Romeo, super contrattista legato al Partito Democratico, imputato per corruzione insieme ad altre 16 persone. Il giovane che ha diretto gli attacchi contro il “campo nomade” è uno dei nipoti del cugino del sindaco di Ponticelli, Ciro Sarno, che dal carcere, continua ad essere il boss del quartiere.
Il 21 febbraio del 2008, la giunta comunale ha modificato e dato forma definitiva all’agognato Programma di Recupero Urbano di Ponticelli (PRUP). Secondo la stampa locale, la modifica prevedeva un’importante clausola: se i lavori non fossero cominciati prima del 4 agosto, sarebbe decaduto il finanziamento del ministero. Per cui, c’era fretta.
Il giorno in cui Angelica è stata arrestata, il 14 maggio, la direttrice del Dipartimento delle Infrastrutture e dei Trasporti del Comune di Napoli, Elena Carmelingo, con le ceneri ancora fumanti, ha disposto che i tecnici andassero nel quartiere per cominciare a progettare il Palaponticelli. È un progetto storico, “venduto” così nel sito internet del Comune: “Il più grande multiuso in Italia, una Casa della Musica, della Cultura e degli Spettacoli che avrà una capacità di 12.000 spettatori, con spazi annessi per attività culturali, sociali, di attività commerciali e di ricreazione, realizzato interamente con investimento privato, che riempirà la carenza nel capoluogo di provincia campano e nel sud Italia, di luoghi coperti per concerti e altre attività legate alla cultura, alla musica e allo spettacolo, consentendo alla città di far parte dei giri musicali più significativi a livello internazionale”. Il disegno definitivo insiste meno sulla musica: ci saranno 11.000 metri di sala da concerti e 44.000 per il centro commerciale.
Alla fine di maggio scorso, quando i tizzoni non si erano ancora spenti, il ministro Maroni ha annunciato che sarebbe cominciato il censimento di tutti i nomadi d’Italia, inclusi i bambini. Di fronte alle denunce di Commisione e Parlamento europei, ha fatto retromarcia decidendo di applicare la normativa solo agli adulti. A luglio, 30 famiglie “nomadi”, hanno avuto il coraggio di tornare a Via Argine. Prima che gli venisse dato il tempo di sistemarsi, gli abitanti incendiarono i luoghi dove si erano accampati. “Un avvertimento contro il loro ritorno”, dissero i ragazzi del quartiere.
Forse Angelica ha tentato realmente di rapire quella bimba. Sembra improbabile. Secondo uno studio dell’Università degli Studi di Verona per la Fondazione Migrantes, presentato a novembre, il 100% delle accuse di questo tipo fatte in Italia tra il 1986 e il 2007, è risultato falso.
Non c’è stato fino ad ora un solo caso provato nè una condanna. Lo studio, intitolato “La zingara rapitrice” ha analizzato 40 denunce: 29 di rapina e 11 di scomparsa. “In nessun caso c’è stato un riscontro effettivo” affermano gli investigatori, “ma si è sempre trattato di tentativo di sequestro o meglio, di un racconto di tentato sequestro”. E la testimone a carico è sempre una “madre coraggio” che salva il suo bimbo.
L’avvocato di Angelica ricorrerà in appello. Forse la prossima volta la giustizia gli permetterà di citare in giudizio, oltre che il silenzioso O Cardinale, i politici locali, i membri della famiglia Sarno…e magari qualche rappresentante del Governo che appicca il fuoco della xenofobia e continua a tollerare storie come questa. (traduzione di Italia dall’Estero)

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