sabato 18 aprile 2009

Rom e Sinti nella letteratura/8 - QUELLI DEL COLERA

Le immagini proposte dal Verga in Quelli del colera (1887) sono prosaiche, i suoi personaggi non hanno più nulla dell’aura magica del Romanticismo e, di contro agli idealismi e ai grandi sogni, protagonista è ora la realtà della vita quotidiana; i Rom-Sinti della novella sono commedianti scalcinati e la loro esistenza, che fino a qualche anno fa e a qualche altro autore sarebbe parsa poetica, ora viene presentata come un destino infelice, rattoppato, triste ed intristente come il volto di un Pierrot.

La domenica mattina, spuntava appena l’alba, si vide una cosa nuova nel Prato della Fiera, appena fuori del villaggio. Era come una casa di legno, su quattro ruote, con certe figuracce brutte dipinte sopra, e lì vicino un vecchio carponi, che andava cogliendo erbe selvatiche […] Sul finestrino del carrozzone era passata una figura scarna di donna, coi capelli scarmigliati; poi s’erano uditi strilli di ragazzi e pianti soffocati. Dalla strada principale giungevano il farmacista, il Capo Urbano, le guardie, col ciglio sul berretto e grossi randelli in mano. La folla dietro, come un torrente, mormorando, uomini torvi, donne col lattante al petto. Da lontano, verso San Rocco, la campana suonava sempre a distesa. Don Ramando, colle mani e colla voce, andava dicendo alla folla: -Largo, largo, signori miei! Lasciatemi vedere di che si tratta!
- […]
- Niente! Niente! Son poveri commedianti che vanno intorno per buscarsi il pane. Poveri diavoli morti di fame.
- […]
La folla cominciò a diradarsi. Alcuni andarono a casa a contar la notizia […] Quei poveri diavoli di comici, che si tiravano dietro la loro casa al par della lumaca, passato il temporale, tornarono a mettere fuori le corna ad uno ad uno, appunto come fa la lumaca. Il vecchio aveva sciorinato all’uscio un gran cartellone dipinto. La moglie, con un tamburo al collo, chiamava gente; i ragazzi, camuffati da pagliacci, facevano mille buffonerie, e la giovinetta, colle gambe magre nella maglie color carne fresca, un fiore di carta nei capelli, il gonnellino più gonfio di una bolla di sapone, le braccia e le spalle nere fuori dal corpetto di seta stinta, soffiava nella tromba col poco fiato del suo petto scarno. […]Quando si era fatta un po’ di gente, calavano il tendone un’altra volta, e rientravano tutti a rappresentare la commedia coi burattini, la donna col tamburane al collo, gridando sempre dalla piattaforma: -Avanti, signori! Avanti, che si comincia! […] Nessuno pensava più al castigo di Dio che avevano addosso.

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