venerdì 11 febbraio 2011

Senatore Pietro Mercenaro: interrompere la spirale di ignoranza e pregiudizio

Il rogo che domenica notte ha ucciso quattro bambini Rom in un campo alla periferia di Roma è una tragedia che obbliga ciascuno di noi ad un’assunzione di responsabilità.
Per troppo tempo la politica, ma non solo, ha girato la testa dall’altra parte per non vedere e non conoscere le condizioni di vita di migliaia di Rom e Sinti che vivono nel nostro paese. Si parla di circa 40.000 persone tra donne, uomini ma soprattutto di bambini che abitano nei campi, realtà che con pochissime eccezioni non esistono in altri paesi europei; e vivono in condizioni, per usare il linguaggio delle convenzioni internazionali, disumane e degradanti.
Nei campi abusivi manca l’acqua, la luce, i servizi igienici, e spesso le baracche sono costruite a ridosso di discariche, infestate di topi. E anche i campi regolari, in cui dovrebbero essere garantiti i servizi minimi, sono costruiti nelle periferie delle città, terre di nessuno da tenere il più lontano possibile dalle nostre case, dalle nostre scuole, dalle nostre abitudini. Sono luoghi che rendono impossibile qualsiasi tipo di vita sociale: come si fa a pensare di mandare un bambino a scuola, se vive a venti chilometri dall’istituto più vicino in una roulotte senza riscaldamento o immersa nel fango?
Nei campi quindi si nasce, si vive e si muore. La metà dei Rom e dei Sinti presenti nel nostro paese sono cittadini italiani ma circa i due terzi di quelli di nazionalità straniera provengono dalla ex Jugoslavia e sono nati e cresciuti in gran parte in Italia. Quindi in baracche, o roulotte, a ridosso delle nostra case ma in un mondo che è anni luce di distanza da quello che conosciamo e che facciamo di tutto per rimuovere dai nostri orizzonti.

È a queste persone che la politica deve guardare, senza demagogia e senza contrapposizioni faziose, per costruire dei percorsi che promuovano una reale integrazione, nel rispetto dei diritti e dei doveri. Non si può sfruttare l’alibi della “differenza culturale” per giustificare situazioni di vita disumane. È quindi necessario un programma graduale di chiusura dei campi, a partire da quelli più degradati, per offrire soluzioni abitative diverse, accettabili e accettate, cioè discusse e confrontate. Ed è a queste persone che la politica deve guardare con azioni e provvedimenti che restituiscano la piena cittadinanza.
Ad esempio rivedendo il capitolo della legge 482 del 1999 che riconosce le minoranze linguistiche italiane per includervi la minoranza Rom e la sua lingua, il romanès; ad esempio inserendo il genocidio dei Rom tra quelli che vengono ricordati ogni anno il 27 gennaio nel Giorno della Memoria; ad esempio trovando una risposta alla domanda di cittadinanza per le migliaia di minori nati nel nostro territorio.
Ieri, la commissione del senato per i diritti umani ha approvato il rapporto finale di un’indagine iniziata nell’ottobre del 2009 e durata oltre un anno e mezzo. Un lavoro meditato, portato avanti con impegno e attenzione, e votato all’unanimità, alla presenza di tutti i gruppi parlamentari, non sull’onda dell’emotività ma grazie a una discussione maturata nel tempo. Credo sia stato un esempio di impegno e di responsabilità, che proviene dalla volontà di guardare alla situazione dei Rom e dei Sinti non con i paraocchi dettati dai luoghi comuni ma con la sincera volontà di conoscere.
Perché interrompere la spirale di ignoranza e pregiudizio è il primo passo per immaginare soluzioni, e interventi, per promuovere un reale processo di integrazione e di miglioramento delle condizioni di vita. di Senatore Pietro Marcenaro, Presidente della Commissione straordinaria per i Diritti Umani

1 commento:

Anonimo ha detto...

l'ennesimo buon proposito che non verrà mai tradotto in azione od impegno!!! non credo più alle parole dei politici. Gli serve condividere un rapporto, un anno e mezzo, per concordare su un'evidenza/emergenza che dura da tempo immemore??? Le grida delle associazioni per i diritti umani, dell'Unione Europea, delle comunità ..... non credo più alle parole dei politici.
Stefano