giovedì 23 agosto 2007

Gli «zingari», colpevoli anche quando sono vittime e tutto questo anche nella patria del diritto

Gli «zingari», si sa, sono colpevoli anche quando sono vittime. Anche il loro essere vittima è una colpa, la loro tragedia non interroga la società, ma rafforza "l'identità collettiva", quella costruita per differenza: i loro vizi fanno sentire tutti un po' più a posto, per differenza appunto.La tragedia di Livorno ci offre un'immagine limpida quanto drammatica dello stato di degrado culturale a tutti i livelli di questa società. Degrado che diventa azione politica e crea effetti materiali: l'incapacità di indignarsi di fronte a eventi di tale portata, ma ancora di più l'incapacità di accettare vie di uscita dall'emarginazione a partire dal riconoscimento dei diritti, come elemento inalienabile della condizione stessa di persona, dell'essere umano. Meschinità. Pregiudizi. Dichiarazioni politiche che sfiorano appena e in modo marginale il problema di fondo, come l'annuncio di un disegno di legge per punire "gli sfruttatori di minorenni".Lo scenario non lascia spazio a molte interpretazioni: quattro bambini morti di morte atroce, carbonizzati. I genitori in galera, per abbandono di minore seguito da morte; dei commercianti che temono il fallimento: per una sera d'estate devono rinunciare ai tavolini in piazza.
Se fosse piovuto, avrebbero potuto farsi una ragione del mancato plus-incasso. Ma per quattro «zingarelli» morti, bambini, ma sempre «zingari» e per di più incustoditi! Per loro non era proprio il caso di rischiare qualche euro in meno. Hanno gridato allo scandalo, come reazione all'apprezzabile iniziativa del sindaco di Livorno di dichiarare il lutto cittadino.I genitori hanno lasciato soli i bimbi. Questo è diventato il problema. Per questo, e non perché sospettati di essere gli autori del rogo, per questo sono in carcere. Le inumane condizioni in cui erano costretti a sopravvivere, fuori, dove non potevano essere visti, lontani dalle possibilità di arrivare a qualche briciola dell'opulente tavola di tutti, o quasi tutti; quelle condizioni sono un dettaglio di contorno, e poi riguarda loro. Se la cultura del bando agli indesiderati non fosse prevalsa, in galera non sarebbero finiti i genitori, o perlomeno non soltanto loro.E' così difficile assumere che anche i genitori sono delle vittime? Vittime delle stesse condizioni d'abbandono e di esclusione che hanno provocato la morte dei loro bambini?Ci troviamo a fare conto sistematicamente con i pregiudizi, con visioni disumanizzanti che hanno degli effetti sulle persone.Cittadini e cittadine, bambine, uomini, donne, messe al bando proprio come nel "Bando sopra i Zingani e le Zingane del dì 3 novembre 1547 ab incarnatione": «L'illustrissimo ed eccellentissimo Signore il Sig. Duca di Fiorenza e per Sua Eccellentia Illustrissima li Magnifici Signori Otto di Guardia e Balia della città, dichiarava, considerando di quanto danno sieno stati per il passato e di presente ancora sieno i Zingani e Zingane che si sono alloggiati e alloggiano appresso alla città di Fiorenza... quanto sinistro con li loro cattivi portamenti arrechino li cittadini artifici e contadini... che infra mese prossimo futuro da oggi si debbino, ogni eccetione rimossa, havere sgombro... di Fiorenza sotto pena di essere fatti prigioni e mandati in galera... a ciascuno di detti Zingani come si è rivocato et rivoca per virtù della presente ogni patente, salvacondotto, et autorità che egli avessino insino a questo presente giorno».La non neutralità delle leggi, della loro applicazione, dei soggetti che dalle proprie diverse postazioni hanno il compito di farle rispettare, risulta evidente per alcune categorie di persone, gli ultimi. Basti pensare per esempio alla sovrarappresentazione delle minoranze portatrici di differenze considerate sottrattive, nelle carceri dei paesi industrializzati. O le classi, le "razze" subalterne sono geneticamente ed intrinsecamente propense al crimine ed alla devianza, oppure la forza del pregiudizio, degli stereotipi, del razzismo supera qualsiasi normale logica del comportamento individuale e sociale.
Vanifica persino le leggi stesse, perché ad applicarle sono persone più o meno consapevoli del carico ideologico delle loro azioni politiche o professionali. Basti ricordare le motivazioni della sentenza di condanna ad un cittadino marocchino per maltrattamenti alla figlia da parte del giudice milanese Montingelli: «Tra l'altro, non par temerario sottolineare che, quand'anche l'imputato avesse fornito i nomi dei testi», la loro deposizione non l'avrebbe potuto scagionare, «tenuto conto della loro probabile appartenenza a un ambiente culturale i cui membri spesso non hanno modo di distinguersi per inclinazione al rispetto delle leggi italiane e degli obblighi che ne scaturiscono, quale quello di dire, come testi, il vero dinanzi ai Giudici della Repubblica».
In un'intervista al Corsera del 1 maggio 2005, interpellato perché ne dia l'interpretazione autentica, afferma: «L'ho scritto e me ne assumo la piena responsabilità», e ribadisce: «La mia pluriennale esperienza di contatto con persone appartenenti a questa area culturale mi induce a ipotizzare che in loro non ci sia grande rispetto del nostro ordinamento».In materia di fermo di polizia, per esempio, occorre partire da quello che in Gran Bretagna chiamano "l'ethnic profiling", che tuttavia non finisce con il fermo, accompagna sempre la vita e i percorsi di quelle persone che Eduardo Galeano chiama "los ningunos", "los ninguneados" (i nessuno).
Facendo un esercizio astratto soltanto in apparenza, risulterà evidente quali saranno le dinamiche e l'epilogo di un fermo di polizia ad un cittadino immigrato o un cittadino rom operato da un uomo o da una donna in divisa, persone con convinzioni xenofobe e razziste, insignite del potere di un'uniforme: il guardiano dell'ordine, ma ad agire ci sarà, c'è la persona, con il suo pensiero e col suo carico ideologico. La formazione alla base di questi soggetti dovrebbe contribuire a far prevalere le ragioni del ruolo che si trovano a svolgere, ma è talmente grande l'asimmetria, e troppo spesso prevale la forza del pregiudizio. Lo stesso discorso per tutti coloro che hanno potere sulla vita degli altri: dall'assistente sociale al magistrato, passando per le maestre, il vigile urbano, l'impiegato dell'ufficio anagrafe.E così troviamo storie di bambini rom, scolarizzati, che possono fare soltanto disegni monocromatici perché non è loro permesso di usare tutti i barattoli dei colori. Devono essere puniti perché i loro genitori non hanno dato il loro contributo alla cassa scolastica. Succede. E succede proprio nei comuni che dicono di spendere significative cifre per "l'integrazione dei rom e dei sinti".Morte, carcere, sospetti, vita da emarginati in un paese nel quale ad un vicepresidente del Senato è permesso di dichiarare che i neri sono carini mentre sono piccoli, ma che il problema è che poi crescono.
In un paese con un governo di centro sinistra che, in barba al proprio programma, si mostra reticente ad accogliere una risoluzione che prevede di aderire alla Convenzione Onu "per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie", adducendo che non si possono equiparare i diritti tra persone regolari o irregolari. Reticente a riconoscere una soglia minima di diritti, come se accedere ad un pasto o all'acqua potabile, disporre di un tetto, potersi riparare dal freddo, non giacere nell'immondizia in mezzo ai topi, fosse un grande privilegio. Con una tale cultura è logico che le colpe siano sempre delle vittime, degli esclusi, dei genitori di Eva, Danchiu, Dengi, Lenuca. Rinchiusi in galera, non importa che a morire siano stati i loro bimbi, indifesi quanto loro stessi. Senza nessuna possibilità di tutela giuridica, di avere accesso effettivo e di potersi appellare concretamente alla normativa esistente, perché li protegga contro le discriminazioni, le offese, gli insulti, le violenze. E tutto questo nella patria storica del diritto. di Mercedes Frias

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