giovedì 20 settembre 2007

Livorno, EveryOne chiede la scarcerazione dei genitori dei bimbi morti

E' passato più di un mese da quando, nella notte tra venerdì 10 e sabato 11 agosto 2007, sotto un cavalcavia alla periferia di Livorno (località Pian di Rota, nelle vicinanze del piccolo insediamento Rom di Stagno), un complesso di 6-7 baracche, dove si erano stabilite alcune coppie Rom con i rispettivi bambini, ha improvvisamente preso fuoco, devastando l'accampamento improvvisato dalle famiglie.
All'arrivo dei Vigili del Fuoco – cui, intorno a mezzanotte, è arrivata una segnalazione per un incendio di sterpaglie proprio nella frazione di Stagno – la macabra scoperta: le baracche erano completamente avvolte dalle fiamme e all'interno di una di esse giacevano i corpicini semicarbonizzati di Eva, di dodici anni, Mengji, di quattro anni, Danchiu e Lenuca Carolea, di otto e sei anni.
I genitori, Victor Lacatus (30), Elena Lacatus (29), Menjii Clopotar (44) e Uca Caldarer (38), sono stati immediatamente sottoposti a fermo dagli Inquirenti, con l'accusa iniziale di "incendio doloso" e "abbandono di minore seguito da morte". Secondo i quattro genitori – e secondo le testimonianze di altri romeni presenti al momento dell'agguato –, una banda di persone – con tutta probabilità italiane – ha attirato la loro attenzione all'esterno delle baracche, con grida offensive e minacciose, tra cui " Maledetti romeni, vi diamo fuoco!".
I genitori hanno a quel punto lasciato i figli dormienti nella baracca, uscendo e intravedendo tra gli aggressori uno di loro con in mano una bottiglia . Lanciatisi all'inseguimento degli stessi, i genitori sono ritornati sul posto poco dopo, notando però che l'intero accampamento era stato dato alle fiamme e che pertanto era impensabile anche solo provare ad avvicinarsi alle baracche. Impauriti e terribilmente scioccati, i quattro si sarebbero allontanati dal luogo dell'incendio; poco dopo venivano fermati dalla Polizia e informati della tragica morte dei loro piccoli.
Una bambina – le cui generalità non sono state rese note dagli Inquirenti che l'hanno ascoltata –, anch'essa ospite della baracca dove sono morti i tre fratellini e un'amichetta, è riuscita a mettersi in fuga in tempo, uscendone illesa. Al sopralluogo nella zona del cavalcavia, svolto dalla Polizia Scientifica e dai Vigili del Fuoco, sono stati ritrovati all'interno della baracca dove giacevano i piccoli – come ha confermato il difensore dei quattro, Andrea Callaioli – dei cocci di vetro e il collo di una bottiglia fuso dal calore .
Gli Inquirenti giustificano il ritrovamento con il fatto che i Rom avessero acceso una candela per la notte, e che questa abbia originato l'incendio. "Anche ipotizzando questa strada," affermano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau del Gruppo EveryOne, che si stanno occupando del caso "la temperatura massima di un incendio all'interno di una normale abitazione si aggira intorno ai 5-600 gradi centigradi; temperatura che non consente al vetro di fondersi. Per citare un esempio, l'esperto Kevin R. Ryan ha calcolato che all'interno delle Torri Gemelle si svilupparono 5-700 gradi centigradi, e infatti le finestre in vetro non si fusero.
La benzina," continuano i membri del Gruppo "se incendiata raggiunge sin da subito i 280 gradi, ed è in grado di arrivare sino ai 2200 gradi nel picco dell'incendio. In questo caso, il vetro inizierebbe a fondere a una temperatura di 1200/1500 gradi". Pertanto, si avvalora ulteriormente la tesi dell'attentato a matrice razzista con una bottiglia incendiaria o bomba Molotov (ordigno formato da una bottiglia in vetro riempita con liquido infiammabile, con uno straccio avvolto e fissato attorno al collo che funge da innesco).
Nonostante questo, i genitori (pur scagionati dall'accusa di "incendio doloso") continuano a non essere creduti dal PM Antonio Giaconi e dal GIP di Livorno Rinaldo Merani, che dopo due giorni di interrogatori aveva convalidato il fermo.
Il 18 agosto viene ricevuta tramite lettera postale alle due redazioni livornesi dei quotidiani "Il Tirreno" e "La Nazione" una rivendicazione da parte di un'organizzazione di matrice razzista finora sconosciuta, il "Gruppo Armato di Pulizia Etnica" (GAPE). Continua a leggere…

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