martedì 26 agosto 2008

Parma, Rom: non solo "campi nomadi"

La famiglia Ibraimov è uno dei primi nuclei che ha ottenuto un alloggio popolare grazie al "progetto rom" del Comune. Un'iniziativa, tra le poche in Italia, che cerca di integrare i rom affrancandoli dalla logica dell'assistenzialismo
Nell’Italia dell’emergenza sicurezza la parola rom è diventata sinonimo di criminalità e disprezzo per le regole, ma il calore di una famiglia come quella di Orhan e Jasa spazza via ogni pregiudizio. Il loro piccolo e accogliente appartamento di via Navetta è lontano anni luce dallo stereotipo dello "zingaro" che vive di furti ed elemosina rifugiandosi in un "campo nomadi" alla periferia della città. Quelle quattro mura colorate da soprammobili di porcellana e innumerevoli mazzi di fiori variopinti sono il simbolo dell’integrazione e raccontano una storia iniziata in Macedonia e finita a Parma. Dove i coniugi Ibraimov, dopo una vita di stenti tra accampamenti abusivi, edifici occupati e roulotte, grazie al “progetto rom” del Comune, sono riusciti a ottenere un alloggio popolare per potersi finalmente stabilire e crescere in serenità i propri figli.
Madre e padre sono poco più che trentenni, ma le loro spalle portano il peso di anni di sacrifici, celati in fondo allo sguardo stanco di Jasa. “Per me – racconta - arrivare al campo di strada del Cornocchio è stato come entrare in albergo, perché dopo aver vissuto in mezzo alla strada tutto mi sembrava un lusso”. Anche se all’inizio mancavano l’acqua e il riscaldamento. “C’era freddo da morire”. Ma sempre meglio che dormire in macchina con i bambini piccoli e affamati in attesa che il padre torni dal lavoro. Mai fatto l’elemosina? “Io sono un lavoratore – risponde Orhan – non sono venuto qui per mendicare”. Altrimenti sarebbe rimasto in Macedonia, il suo paese d’origine, dove aveva una casa ma, in quanto rom, era comunque discriminato. “Nel nostro Paese i rom sono costretti a vivere in case pericolanti, dove intere famiglie dormono in una sola stanza. Mio padre, pensionato, riceveva dallo stato un contributo di 15 euro al mese. Quella non è vita”. Trovare un impiego per Orhan era diventata un’impresa impossibile, così nel 1996 ha deciso di emigrare in Italia con Jasa in cerca di fortuna. Continua a leggere…

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