giovedì 4 dicembre 2008

Roma, quattro milionari a Casilino 900

Una brutta storia rischia di travolgere in Italia migliaia di persone discriminate e segregate nei cosiddetti “campi nomadi”. A quattro persone che vivono a Casilino 900 sono stati sequestrati beni mobili e immobili per un valore di oltre un milione di euro. Un’enormità.
Queste quattro persone, Cittadini italiani, non avevano un lavoro ma erano proprietari di auto di lusso e di due appartamenti, uno sul litorale romano e uno a Rovigo: solo gli appartamento valevano un milione di euro. I quattro rom di origine slava, ora sorvegliati speciali, avevano stipulato inoltre stipulato una polizza vita con una nota società di assicurazioni e disponevano di ben 26 conti correnti bancari.
Ancora da stabilire per gli investigatori dell'Arma la provenienza di tutto questo denaro. Il sospetto al momento, è stato spiegato, è che le quattro persone possano essere stati usati come una sorta di ponte tra chi commetteva reati di varia natura e chi li reimpiegava in altre attività. I carabinieri del Ros hanno infatti parlato di "reato presupposto" all'origine del sequestro dei beni.
Speriamo che le indagini siano veloci e che queste persone, se trovate colpevoli, paghino secondo giustizia.
Certo è allarmante che una situazione del genere sia presente in un insediamento storico a Roma senza che nessuno sia mai intervenuto. Ma come disse Don Luigi Di Liegro, indimenticato difensore dei deboli e diseredati, direttore della Caritas romana: «Dove c'è tanto degrado, nei campi nomadi come altrove, ci possono essere casi di malavita».
Speriamo che questa notizia non porti come al solito ad una campagna xenofoba e razzista contro le popolazioni sinte e rom perché, come abbiamo ripetuto migliaia di volte, la responsabilità è personale e non si possono incolpare migliaia di persone per lo sbaglio di quattro persone.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

fermo restando la presunzione d'innocenza e il fatto che la responsabilità è personale, vorrei far capire a sucar che spesso nei campi si notano cose anomale per una situazione di degrado.
Quando io vedo auto di lusso o parabole spuntare da un campo...le domande sorgono spontanee.
E non solo per il lecito dubbio sulla provenienza di tanto lusso, ma anche per capire come mai chi si permette certi oggetti voluttuari continui ad abitare in baracche e a chiedere alla società.
Questi casi fanno arrabbiare la gente.
E purtroppo non sono poi così rari, non è passato tanto tempo da quando in un campo di Milano hanno trovato all'interno della baracca-villetta ogni ben di dio fino alla vasca idromassaggio.
O senza andare in quello che "puzza" d'illecito possiamo portare l'esempio di quel capo campo che confrontandosi con Salvini mostrava orgoglioso(giustamente) il suo unico da oltre 70.000 euro...ma continuava a vivere in una baracca chiedendo allo stato sostegno.
Può la parte di popolazione che 70.000 euro li sogna arrabbiarsi?
E' così ingiustificato(anche se non corretto) che poi ci si arrabbi?
Mi risulta che i sinti/rom ricambino la diffidenza nei confronti dei gagè... mi sembrano sentimenti normali.

Anonimo ha detto...

PS
Vorrei far notare che si fa anche fatica a trovare questa notizia sia su repubblica.it che sul corriere.it.
Quindi non direi proprio che c'è il tam tam mediatico di cui spesso lamentate, probabilmente in questo momento ci sono notizie + interessanti.

Anonimo ha detto...

Sucar Drom scrive:
"Certo è allarmante che una situazione del genere sia presente in un insediamento storico a Roma senza che nessuno sia mai intervenuto. Ma come disse Don Luigi Di Liegro, indimenticato difensore dei deboli e diseredati, direttore della Caritas romana: «Dove c'è tanto degrado, nei campi nomadi come altrove, ci possono essere casi di malavita».".

Un rimedio a queste cose è il rispetto delle regole. Perché se c'è una persona che non rispetta le regole per anarchia ma però è una persona onesta, c'è un'altra che non le rispetta per lucrarci sopra magari servendosi dei più deboli e dei più esposti alle lusinghe della criminalità.

Anonimo ha detto...

Xpis hai sollevato una bella questione vedi ruolotte e a fianco auto di grossa cilindrata, antenne paraboliche che spuntano come funghi. Frutto di duro lavoro? Non credo proprio!! E uno che lavora duramente e che oltre tutto non arriva a fine mese cosa dovrebbe dire??!!

Anonimo ha detto...

Potrei stupire Sucar.
Caro Anonimo, la presunzione d'innocenza vale anche per questi casi, quindi se vedo auto di grossa cilindrata e paraboliche i sospetti li avrei come li avrei per il vicino che si lamenta sempre e poi ha il macchinone, però supponendo che sia il frutto di lavoro onesto e regolare resta comenque l'a rabbia di una persona che si concede lussi che contrastano fortemente con la situazione manifesta di bisogno.
Se vedi uno che chiede l'elemosina con vestiti firmati...anche Carlo Berini lo manda a cagare(presumo) perchè si sentirebbe preso per il naso.
Questo è secondo me un grosso problema.
Quando poi mi dicono che certi gruppi sono notoriamente ricchi e per questo si giustificano roulotte di 8 mt trainate da suv di grido mi chiedo...ma perchè a loro nessuno va a chiedere di aiutare gente che condivide il loro modo di vivere???
A me spesso sembra che questa situazione sia creata ad arte per far sopravvivere varie realtà.

Anonimo ha detto...

ciao a Tutti, chi è ricco non deve usufruire dei soldi per i poveri.
dovrebbe essere un assunto semplice e indiscutibile ma purtroppo non è così.
in Italia chi acquisisce un aiuto per il suo stato di povertà (esempio una casa) anche se la sua situazione economica negli anni cambia quell'aiuto non viene tolto.
gli esempi possono essere innumerevoli eppure la Legge 328/2000 sui servizi sociali ha offerto uno strumento per superare questa situazione: l'isee.
una dichiarazione annuale dei redditi (conti correnti compresi) con cui i Comuni, le Province, gli Enti per le case popolari... possono accertare la situazione patrimoniale di una famiglia e rinnovare o meno l'aiuto.
questo non succede per chi ha avuto accesso ad un alloggio popolare (compresi i "campi nomadi" a Roma anche se non sono proprio degli alloggi, anzi...).
si deve fare una battaglia civile perchè questo strumento (l'isee) sia utilizzato e chi può permettersi di affittare una casa o comprarla deve lasciare l'alloggio popolare a chi ne ha più bisogno.
il paradosso è che nelle aree del Paese dove opera Sucar Drom (senza che si dovesse intervenire), i Sinti e i Rom che hanno avuto accesso alla casa popolare, l'hanno lasciata spontaneamente appena hanno potuto entrare nel mercato privato.
in quelle stesse aree i non Sinti o Rom continuano a vivere nelle case popolari anche se la loro situazione economica è cambiata.
addirittura nei processi di dismissione del patrimonio pubblico, molte famiglie non sinte o rom acquistano le case popolari dallo Stato per un tozzo di pane per poi rivenderle a prezzo di mercato. un'indecenza che non mi sembra sia stata una priorità di nessun Governo, anzi alcuni politici (non tutti per fortuna) su questa cosa hanno dato il peggio di sé…

Anonimo ha detto...

Una soluzione può essere questa:
il Comune fa fare dei lavori, come la cura del verde pubblico e di tutto quello che richiede normale manutenzione. Poi dà a ciuscuno il giusto compenso in denaro per il lavoro svolto più un compenso dello stesso valore in buoni pasto.

Esempio:
uno lavora un tot numero di ore; per queste ore lavorate gli spetta una paga in denaro di 100 euro; il Comune gli dà 100 euro più 20 buoni pasto da 5 euro. In totale fa 200 euro, il doppio di una paga normale per questo tot numero di ore.
Il lavoratore può decidere di rivendere i buoni a metà del prezzo convenzionale ricavandone 2,5 euro cadauno oppure di usarli come mezzo di pagamento per comprare dagli altri lavoratori del "campo nomadi" ciò che gli serve. Questi buoni devono avere una scadenza prefissata e pertanto coloro che ne sono in possesso devono "spenderli" prima della loro nullità per non rimetterci.
Se ne hanno pochi li potranno usare per mangiare; se ne hanno tanti li venderanno a metà del loro valore oppure li cederanno agli altri lavoratori in cambio dei loro prodotti o del loro lavoro. Se ne hanno troppi potranno anche prestarli ad altri lavoratori prima della scadenza e farseli restituire dopo un certo tempo senza aggiungere interessi (in questo caso il prestito di buoni fa comodo sia a chi li presta, perché se li tiene non hanno più valore e se li vende ricava solo la metà, sia a chi li riceve, perché non paga interessi).
E' un sistema simile alla moneta franca e se ben fatto può creare in breve tempo un miglioramento delle condizioni economiche di tutti gli "abitanti" del "campo nomadi".

Anonimo ha detto...

Per saperne di più:

"Il municipio emise i suoi Bestätigter Arbeitswerte (Certificati di Lavoro) valorati alla pari con lo Schilling ufficiale, ma ogni certificato per 1, 5 e 10 Schilling, pur mantenendo un potere d’acquisto stabile, scadeva dopo un mese dall’emissione a meno di non rinnovarne la validità con un francobollo del valore dell’1% sul nominale, acquistabile in municipio. Questo, da parte sua, accettava i certificati come pagamento di imposte.

Non vi era alcun obbligo di accettarli. Le alternative erano:

* Depositarli in banca a un interesse dello 0%. La banca, per non pagare la tassa di magazzinaggio, se ne sbarazzava o prestandoli o pagando salari e servizi.
* Cambiarli in scellini ufficiali con uno sconto del 5% sul valore nominale.

Il municipio ne fece stampare un totale di 32.000 unità, ma in pratica ne emise meno di un quarto. La circolazione raggiunse una media di 5.300 scellini, cioè un irrisorio due scellini o meno a persona, che però procuravano lavoro e prosperità al circondario di Wörgl più di quanto lo avessero fatto i 150 scellini/persona della Banca Nazionale. Come aveva predetto Gesell, l’importante era la velocità di circolazione: scambiandosi circa 500 volte in 14 mesi, contro le 6-8 volte della moneta ufficiale, quei 5.300 scellini fecero circolare beni e servizi per ben due milioni e mezzo nello stesso periodo. Il municipio, con le casse continuamente riempite da un lato e svuotate dall’altro, costruì un ponte sul fiume Inn, asfaltò quattro strade, rinnovò le fognature e le installazioni elettriche, e costruì perfino un trampolino di salto con sci. Per avere un’idea del potere di acquisto, lo stipendio del borgomastro era di 1.800 scellini mensili.

Al principio alcuni ridevano, altri gridavano alla frode o sospettavano contraffazione. Ma i prezzi non aumentavano, la prosperità cresceva e le tasse venivano pagate puntualmente (perfino in anticipo) e immediatamente ri-investite in lavori e servizi pubblici. I ghigni si trasformarono ben presto in espressioni di stupore e i lazzi in voglia di imitazione. Ai primi del 1933 circa 300.000 cittadini della provincia di Kufstein erano lì lì per adottarne l’esperimento.

Frattanto Wörgl era diventata centro di pellegrinaggio di macroeconomisti europei e americani. Tutti volevano vedere “il miracolo” della prosperità locale che sfidava la miseria e la disoccupazione globali. Andavano per imparare? Non si direbbe, data la spessa coltre di silenzio su Gesell nelle facoltà di economia.

Mammona non dormiva. Unterguggenberger si era astenuto dal chiamare i certificati “moneta” dato che a farlo sarebbe incorso nelle ire della Banca Nazionale.".

Si trova in www.signoraggio.com
/signoraggio_leggi_economiche_etica_e_paradossi.html

u velto ha detto...

ciao Anonimo, grazie per il tuo interessante contributo.