giovedì 5 aprile 2012

La fabbrica della paura. Media e immigrazione

E se la paura nascesse in redazione? Se alla base dei nostri timori ci fosse proprio l’uso di parole come “vu cumprà” e “clandestino” o la scelta di raccontare l’immigrazione in modo bellico, come “invasione” e “assedio”? E’ un dubbio inquietante ma che vale la pena di affrontare come ha fatto Giulio Di Luzio, giornalista e collaboratore del Corriere del Mezzogiorno, nel suo ultimo saggio “Brutti, sporchi e cattivi. L’inganno mediatico sull’immigrazione” (Ediesse editore, 2011).

Dall’analisi dei titoli dei quotidiani e dei Tg degli ultimi anni emerge il contributo della stampa al clima italiano di sospetto e di xenofobia verso lo straniero. I casi sono tanti: la demonizzazione, venata di retorica anti-islamica, di Marzouk, il tunisino di Erba, l’accanimento dei cronisti contro Patrick Lumumba nel caso Meredith, o ancora la caccia al rumeno dopo lo stupro della Caffarella. Tutti esempi in cui lo straniero, innocente, viene additato come colpevole. Ma i casi di parossistico razzismo mediatico sono numerosi: dall’omicidio Reggiani al truce racconto di Rosarno.

Sui Rom, invece, si catalizza da sempre ogni stereotipo, persino menzogne, su un loro presunto “nomadismo” o “propensione a delinquere”. Una vera e propria campagna discriminatoria, derivata dalle politiche securitarie. Parlare solo di “emergenza sbarchi” e di “clandestini”, invece di interrogarsi sulle ragioni delle migrazioni non è neutrale. Scarse sono le inchieste sui lavoratori immigrati regolari (la grande maggioranza), nelle fabbriche e nelle scuole e sulle loro culture. E gli stessi migranti raramente vengono utilizzati come “fonti”. Il risultato è un racconto distorto che nega l’oggetto stesso di cui si sta parlando. da Diversa Mente di Flore Murard-Yovanovitch, leggi tutto l'articolo...

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