Trascorso il 27 gennaio, è possibile
proporre qualche considerazione sui programmi che le varie cittadine
italiane hanno dedicato alla memoria delle vittime della persecuzione
e dello sterminio nazi-fascista. Mentre in Germania, il 27 gennaio
accomuna la riflessione e la commemorazione di molteplici categorie
d’internati, tra queste la Shoah a fianco del Porrajmos come
persecuzioni di stampo razziale (dall’ottobre del 2012 il memoriale
dedicato alle vittime della Shoah e quello dedicato alle vittime del
Porrajmos sono vicini tra loro, di fronte al Reichstag), in Italia,
commemorazioni sempre più dense di retorica, pongono la narrazione
del Porrajmos nell’anticamera della memoria.
Se fino agli anni Duemila non se ne
parlava perché non si conosceva, non s’incentivava e non si
diffondeva la conoscenza, nell’ultimo decennio il Porrajmos fa la
sua prolungata ed educata anticamera secondo due modalità
coincidenti: nel primo caso le iniziative promosse non ne parlano non
considerandolo neppure parte del tema della memoria, nel secondo caso
istituzioni pubbliche organizzano eventi specifici, ma “a parte”
rispetto al resto delle manifestazioni, eventi frequentati (poco, ma
non è un problema del solo Porrajmos) da specialisti,attivisti, rom
e sinti, qualche rappresentante di qualche ente che porta il proprio
saluto e subito dopo se ne va.
E’ il risultato della scarsa
considerazione politica e sociale riservate a questo gruppo in
Italia; scarsa considerazione legata anche al fatto che si tratta di
una minoranza che pone di fronte agli occhi questioni scomode ed
attuali, proprio per amministrazioni che proseguono da quarant’anni
la politica dei campi-ghetto e che, pur conoscendone i risultati
disastrosi,spesso non cambiano indirizzo; gli effetti: pochi mezzi di
sostentamento,ghettizzazione, che significano anche assenza di
strumenti di rappresentanza politica e sociale, dunque un rapporto
con le istituzioni da gestire sempre “dall’anticamera”, da un
luogo in cui l’attesa per il riconoscimento effettivo si prolunga a
dismisura, forse all’infinito.
Il riconoscimento del Porrajmos in
Italia attende da tempo in quel medesimo luogo,quasi che non sia un
dovere etico e politico delle istituzioni, ma inteso come un favore
da concedere ad una minoranza, purché questo non sposti gli
equilibri sociali e politici, purché questo non indisponga o indigni
qualcuno. Così del Porrajmos in Italia si parla per 5 minuti al
Quirinale, il 27 gennaio, concedendo argomentazioni generiche purché
il tutto abbia il meno possibile a che fare con la ricostruzione
storica dell’evento e si richiami ad un’inerme celebrazione
liturgica.
Su tutto questo è necessario
riflettere, a settant’anni dal 2 agosto del 1944, la data della
liquidazione totale del“settore zingari” di Auschwitz-Birkenau.
E’ importante rifletterci in Italia ed in Europa proprio perché
potrebbe accadere che sotto la pressione dell’attivismo civile
europeo si arrivi al riconoscimento del 2 agosto come giorno da
dedicare alle vittime del Porrajmos, anche nella nostra nazione. Il
risultato sarebbe salutato da molti come una vittoria, ma in realtà,
ancora una volta, non avremmo fatto uscire il Porrajmos
dall’anticamera.
Saremmo in una condizione che
accentuerebbe ancor di più la separatezza delle memorie, come se
ogni categoria potesse al massimo ambire ad ottenere un giorno
riconosciuto istituzionalmente durante il quale piangere le proprie
vittime, in un immobile mausoleo di morti che insegnerebbero ai vivi
soltanto la retorica della celebrazione dei PROPRI caduti. Non credo
sia questo l’obiettivo da perseguire.
In presenza di ricostruzione storica
documentata, di testimonianze dirette ed indiritte degli internati,
di fronte al memoriale di Berlino che ricorda le vittime del
Porrajmos a fianco di quelle della Shoah,spinti dall’idea che si
debba studiare il processo che ha condotto ad Auschwitz(sotto
qualsiasi categoria adoperata dal nazifascismo) piuttosto che
fermarsi alla logica della commemorazione ciascuno delle proprie
vittime, credo che il tempo dell’attesa nell’anticamera della
memoria sia da dichiararsi concluso. Pretendendone la conclusione. Esiste in Italia un Giorno della
Memoria, è il 27 gennaio; è il momento di aprirne l’accesso per
rinnovare una riflessione il più possibile critica ed inclusiva. di
Luca Bravi
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