Dijana Pavlovic (foto), di origine rom,
attrice, mediatrice culturale e attivista per i diritti umani è nata
in Serbia nel 1976, laureata all’Accademia di Belgrado, dal 1999
vive a Milano con il suo compagno e un figlio di 4 anni. Attrice di
teatro, è stata interprete di fiction televisive e film. Prende
consapevolezza delle condizione dei Rom e inizia l’impegno per il
suo popolo come mediatrice culturale. Da questa esperienza inizia la
sua attività di militante per i diritti dei rom e delle minoranze
sul piano artistico, come protagonista e autrice di spettacoli sulla
condizione rom e su quello politico, come cofondatrice della
Federazione Rom e Sinti Insieme che unisce le diverse associazioni
sinte e rom per il diritto a essere portavoce di se stessi.
Interviene presso le istituzioni europee (OCSE, ERRC, ecc.) che si
occupano delle discriminazioni etniche, sociali e politiche. E’
fondatrice della Consulta Rom e Sinti di Milano.
Candidata al Comune di Milano nella
lista civica Uniti con Dario Fo nel 2006, poi nella lista Arcobaleno
rompe un tabù e diventa la prima candidata rom alle elezioni
politiche in Italia nel 2008, mentre nelle precedenti elezioni per il
Parlamento europeo accetta la candidatura per la Federazione della
sinistra. Attualmente lavora come Responsabile italiana per i
programmi ROMED e ROMACT del Consiglio d’Europa e della Commissione
europea. Per le prossime europee è candidata nella Lista Tsipras. A
Euronews la Pavolcic ha illustrato questo suo impegno.
Come è nata questa candidatura e con
quali obiettivi?
Non è la prima volta, alle ultime
elezioni europee mi sono candidata con la Sinistra Arcobaleno. La
partecipazione politica nella mia vita ha sempre avuto un ruolo
fondamentale. Ero impegnata prima in Serbia dove ho vissuto fino al
‘99 e poi in Italia, attraverso l’attivismo per i diritti del mio
popolo e delle minoranze in generale. Rom e sinti sono la più grande
minoranza europea, siamo 12 milioni di persone, viviamo in tutti i
Paesi, parliamo tutte le lingue europee, pratichiamo tutte le
religioni, e nonostante questo non abbiamo una degna rappresentanza a
livello europeo.
Un problema di tutte le minoranze. De
751 seggi del Parlamento europeo solo 15 sono di parlamentari che
rappresentano una minoranza etnica, di questi 15 soltanto 2 sono di
etnia rom. Eppure il Parlamento europeo è fondamentale per le azioni
che riguardano questioni come l’uguaglianza dei diritti,
l’inclusione sociale delle fasce deboli, la tutela delle minoranze.
Temi che trovo pienamente nella Lista Tsipras e dunque ho accettato
la candidatura con entusiasmo.
Quali sono oggi le principali
discriminazioni avvertite alla Comunità rom e sinta in Italia e in Europa?
Le condizioni delle nostre Comunità in
Italia e in Europa sono pessime. Stiamo parlando di un popolo nel
quale la vita media è di 63 anni, la mortalità infantile altissima,
la disoccupazione è del 93%. Possiamo parla re di discriminazioni
istituzionali (vi ricordo l’emergenza nomadi del 2008 con il
censimento etnico del Ministro degli interni Maroni), di crimini
d’odio come i raid razzisti sempre più frequenti in tutta Europa,
di discriminazione culturale (siamo presenti sul territorio italiano
dal 1400, eppure non siamo riconosciuti come minoranza), di
discriminazioni quotidiane, nel lavoro, nella scuola o semplicemente
sul tram, e anche di discriminazioni subdole come quelle di coloro
che ci vogliono bene e che da 30 anni hanno tenuto in stato di
minorità le nostre Comunità con politiche solo assistenziali non
permettendo a un popolo intero di crescere e migliorare mettendo in
gioco la propria responsabilità … scelga lei.
Non v’è dubbio che esistono forti
pregiudizi da parte della popolazione nei riguardi dei Rom. Però lei
deve ammettere che qualche colpa c’è l’hanno anche quei Rom che
con certi comportamenti poco civili non facilitano l’auspicato
processo d’integrazione. In parole povere, non crede che per
cambiare radicalmente l’immagine collettiva è necessario che una
forte spinta arrivi anche all’interno della Comunità rom?
Certo, non le rispondo con la banalità
che non tutti gli italiani sono mafiosi, ma la spinta deve essere
nella crescita e nella responsabilizzazione delle Comunità. Bisogna
accogliere la richiesta dei rom di essere ascoltati e considerati
come parte in causa. Vi siete mai chiesti perché tutti parlano a
nome dei rom e nessuno chiede loro cosa ne pensano, per esempio, con
quali politiche si potrebbe migliorare la loro condizione e di
conseguenza anche di quella di chi è infastidito da loro? Come mai
la questione rom è diventata quasi un’industria? Pensate che solo
a Roma ci sono 500 persone che lavorano con un contratto per la
questione rom e nessuna di loro è rom.
Durante la celebrazione a Roma dell’8
marzo delle donne rom diverse giovani ragazze hanno raccontato
d’essere riusciti a integrarsi perfettamente sul piano sociale ed
economico. Lei, che rappresenta un esempio concreto di quest’
integrazione, sul piano strettamente personale, onestamente si sente
ancora discriminata?
Mi sento personalmente discriminata e
profondamente toccata ogni volta che in televisione sento i vari
Borghezio, Salvini e Gentilini, ogni volta che mio figlio nel parco
giochi si trova vicino a bambini che giocano a caccia allo zingaro,
ogni volta che qualcuno non sapendo delle mie origini cerca
complicità nei miei occhi contro qualche zingarello che suona nella
metropolitana. Certo, adesso ho mezzi e capacità per affrontarlo a
differenza di quando ero bambina. Per questo faccio molta attenzione
nell’ educare mio figlio a essere consapevole orgoglioso di quello
che è.
Cambiamo argomento. Quando nel 1991 è
scoppiata la guerra civile nell’ex Yugoslavia lei era ancora una
bambina. Oggi, da adulta, come si spiega questa guerra di tutti
contro tutti, che ha visto massacri inauditi tra gente che fino a
poco tempo prima conviveva pacificamente sulla stessa terra?
E’ un argomento per me difficile e
doloroso. Se vuole un’ analisi politica, fredda e disinteressata,
non sono in grado di dargliela. L’ignoranza, la superficialità e
la mancanza di analisi storica politica e economica per quanto
riguarda la penisola balcanica da sempre è un paravento dietro il
quale si nasconde una politica di pura espansione economica e
religiosa. Non dimentichiamoci che la prima rottura fu della
cattolicissima Slovenia che scelse la sfera d’influenza economica
della Germania grazie anche all’iniziativa di Papa Wojytila. In
questi casi si mescolano sempre i grandi interessi dei Paesi forti,
che con la scusa di esportare la democrazia importano le materie
prime e il controllo geopolitico, con le complessità storiche
profonde di regioni come le nostre.
Per quanto riguarda le responsabilità
e il comportamento di Europa e Stati Uniti vi posso fare un esempio.
Vi ricordate la dichiarazione dell’indipendenza del Kosovo?
L’indipendenza dichiarata unilateralmente venne riconosciuta da
alcuni Stati europei, nonostante il diritto internazionale e la
sovranità dello Stato serbo, per opportunità politica e con una
superficialità assoluta. Il risultato fu disastroso, la Serbia si
accese come un fiammifero, poi seguirono i bombardamenti di Belgrado.
Sono morte tante persone, alcune le
conoscevo. Erano con me in piazza per protestare contro il regime di
Milosevic. E poi il Kosovo fu consegnato agli esponenti del UCK,
terroristi con lunghe fedine penali, diventò la terra di tutti i
traffici, dalle armi, agli organi, alle donne, mentre in Serbia venne
importata la ‘democrazia’ con le bombe dei grandi salvatori che
partivano dall’Italia. Una democrazia dalla quale ancora oggi non
riusciamo a riprenderci visto il livello di disoccupazione e di
corruzione.
In ogni caso, la mia generazione che ha
vissuto quell’orrore, che da studenti ha combattuto nelle piazze
contro il regime di Milosevic e mentre aveva bisogno di un piccolo
supporto della comunità internazionale, questa considerava Milosevic
l’unico uomo che poteva risolvere i problemi dei Balcani, quella
generazione che poi si è vista arrivare le bombe sulla testa, ha
sempre comunque avuto il sogno dell’Europa, come una casa propria,
un Europa dei popoli, solidale, senza confini, senza prepotenze,
senza nazionalismi e senza guerre. di Rainero Schembri
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