Il
documento rintracciato nell'Archivio Centrale di Stato e qui visionabile all'interno del Primo Museo Virtuale del Porrajmos (la
parola che indica il genocidio dei rom e dei sinti) in Italia,
dimostra in maniera inequivocabile che nel 1942, nel Terzo Reich, rom
e sinti furono equiparati agli ebrei e come loro sottoposti alla
legislazione razziale che significava essere destinato allo sterminio
fisico.
La
fase definitiva di quel percorso di sterminio per i rom ed i sinti
giunse ad Auschwitz, il 2 agosto 1944. In tale data, in particolare
ad Auschwitz e nel mondo si commemorano con celebrazioni specifiche
il ricordo delle vittime rom e sinti. Piero Terracina, prigioniero
ebreo italiano in quello stesso campo, ha testimoniato cosa avvenne
in quella notte: la liquidazione degli ultimi tremila prigionieri
dello Zigeunerlager di Birkenau.
Se
da un lato la commemorazione delle vittime è doverosa e necessaria
(anche se dovremmo a lungo riflettere che sempre ad Auschwitz, dove
il 2 agosto si ricorda la “notte degli zingari”, il percorso del
museo non propone ancora la visita alla splendida mostra dedicata al
Porrajmos presente in uno dei blocchi, da quasi un decennio),
dall'altra è stata recentemente diffusa la richiesta di
riconoscimento del 2 agosto come “giorno della memoria” del
Porrajmos. Giunti a settant'anni da quell'evento, mi pare che una
simile proposta rischi di cadere in errori più volte commessi da
quando è iniziata la riflessione su questo tema.
Oggi
il problema da affrontare non mi pare sia quello della commemorazione
istituzionale (solo in Italia sono ormai centinaia le giornate
dedicate a “memoria di eventi o di vittime”), quanto attivare
forme e percorsi di conoscenza comune dei fatti, da costruire al di
fuori di steccati etnici o di fazione che sembrano inasprire solo il
confronto tra le vittime, piuttosto che generare riflessione tra
coloro che furono dalla parte dei carnefici.
Mi
pare che la questione cui dare soluzione non sia creare uno specifico
ed ulteriore giorno della memoria, ma fare in modo che quella vicenda
e la sua data simbolica entrino nei manuali di storia, perché non si
costruisce alcuna reale memoria in assenza di una puntuale e diffusa
ricostruzione dei fatti. Ecco perché la richiesta di ottenere un
“proprio” Giorno della Memoria il 2 agosto potrebbe addirittura
rivelarsi una clamorosa autorete, dopo anni d'impegno per far
conoscere il genocidio di rom e sinti in Europa.
La
storia di ebrei, rom, sinti e di ogni popolazione non deve essere
gestita come “storia etnica” divisa da quella degli altri, ma
come componente di una storia comune europea che ha bisogno di questa
prospettiva unitaria per mettere in evidenza il dato forse più
importante per il presente: la relazione di potere intervenuta nei
rapporti tra comunità maggioritaria e minoranze “resistenti” e
gli effetti causati da questo rapporto asimmetrico sulla storia
sociale del continente.
Dagli
anni Duemila i governi europei (e in particolare l'Italia) hanno
istituito centinaia di date di ricordo, memoria e commemorazione
soprattutto in nome di un distorto e parziale uso (pubblico) della
storia; non credo che il “giorno specifico della memoria di rom e
sinti” possa sfuggire a questo stesso destino.
E'
invece necessario e urgente pretendere che del Porrajmos si faccia
menzione nella legge nazionale che fa del 27 gennaio, praticamente in
tutti gli Stati europei, «il Giorno della Memoria».
In
Italia in particolare sono due gli obiettivi primari:
1.
la data del 2 agosto 1944 scritta nei manuali di storia per narrare
del Porrajmos;
2.
l'introduzione di un riferimento al Porrajmos nella legge n.211/2000
che ha dichiarato il 27 gennaio come Giorno della Memoria, ma che
ancora non fa cenno della persecuzione e distruzione di rom e sinti
d'Europa.
Quel
27 gennaio non serve alle vittime che sono già ben consapevoli di
quanto subirono i propri cari, ma è necessario per chi fu tra i
carnefici perché ci si ponga di fronte a quel percorso di
distruzione e negazione della vita umana in nome di riferimenti
razziali (i medesimi strumenti adoperati sono tuttora attivi a
livello sociale nel presente). Quel percorso non fu applicato una
volta agli abrei, una ai rom e sinti, una ai disabili… Ma fu tenuto
insieme, per tutti, da in nome di una medesima logica che gli storici
marchiano come “la logica Auschwitz”.
Potremmo
oggi parlare di Porrajmos senza considerare il ruolo centrale della
testimonianza dell'ebreo Piero Terracina? Potremmo dimenticare che il
libro mastro con i nomi degli internati del «campo degli zingari di
Auschwitz» fu salvato dall'azione di due prigionieri politici
polacchi? Possiamo recepire tutto questo come memorie diverse e
distinte?
E
si può affermare un «mai più» per la Shoah senza costruire un
«mai più» per tutte le altre categorie di internati? E come farlo
nel presente?
Abbiamo
estremo bisogno di costruire questa memoria non per addizione di
singoli giorni della memoria, ma tutti insieme, a partire dalla
medesima condivisione di conoscenza delle tappe storiche ed in un
unico Giorno della Memoria. Se anche noi ci autoghettizziamo
all'interno di un ragionamento legato comunque alla categoria etnica,
ripercorrendo in definitiva le categorie elaborate dai carnefici,
faremo solo un immenso piacere ai revisionisti: cancelleremmo la
memoria credendo perfino di star facendo qualcosa per affermarla. di
Luca Bravi
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