Piero Colacicchi è scomparso alcuni
giorni fa. A lui si deve la nascita di osservAzione che ha fatto
comprendere in Italia che sinti e rom sono colpiti dalla
discriminazione, dal razzismo. Oggi sembra scontato, ma non lo era
solo dieci anni fa. Fino ad allora i problemi vissuti da sinti e rom
erano relegati alla sfera della povertà e nessuna azione veniva
attuata per eliminare le discriminazioni di cui invece erano vittime.
Nessuna associazione aveva mai attuato azioni di antidiscriminazione,
mai una denuncia alla Magistratura era stata fatta. Piero Colacicchi
guidando osservAzione ha chiarito a tutti che i rom e sinti possono
essere si poveri, ma la causa principale della loro situazione in
Italia è la discriminazione. A partire dal concetto di abitare che
in Italia è stato declinato nel cosiddetto “campo nomadi”, luogo
di segregazione e di fatto di discriminazione. Noi di Sucar Drom lo
ricordiamo con uno dei suoi ultimi scritti. Grazie Piero.
Diritti, Rom e psichiatria
di Piero Colacicchi
Quando negli anni novanta si aprì la
discussione sui campi per Rom fui fortemente impressionato da alcuni
paralleli con quanto avevo visto negli anni precedenti seguendo il
lavoro di Giorgio Antonucci negli ospedali psichiatrici. Qui mi
trovavo di fronte a persone che insistevano perché venissero
approvate leggi regionali che istituzionalizzassero l’esistenza di
campi per nomadi, sostenendo che i Rom erano incapaci di vivere tra
la gente (tra ‘noi’), che erano nomadi e che promuoverne
l’integrazione sarebbe stato un atto di violenza, mentre i Rom
stessi dichiaravano di non essere affatto nomadi, di non aver mai
vissuto in campi e di non volerne sapere: chiedevano case, lavoro,
scuole per i figli. Là, negli ospedali psichiatrici, avevo visto la
pretesa da parte degli psichiatri di curare persone giudicate, anche
in questo caso da loro, incapaci di vivere tra la gente, internandole
magari per anni; e mi era stato mostrato come questo non avesse
niente a che fare con la realtà in cui erano vissuti e che volevano
vivere i ricoverati.
Nell’uno e nell’altro caso alcune
autorità pretendevano di fare gli interessi di altri e di curarne i
diritti, mentre i diretti interessati chiedevano, in un modo o in un
altro, cose del tutto diverse: e per prima cosa la libertà di
scelta. Venivano a cozzare così due concezioni del tutto opposte del
concetto di diritto: un ‘diritto’ difeso autoritariamente da
alcuni, che si dichiaravano esperti e affermavano l’incapacità di
quegli altri di difendersi, ed un diritto reclamato dai diretti
interessati ed appoggiato da persone che traevano le loro convinzioni
e le loro conclusioni dalla volontà di quegli stessi che gli esperti
consideravano incapaci a vivere secondo le loro idee.
Né nel campo della psichiatria né in
quello dei Rom il dibattito è chiuso, tolto il fatto che i Rom
stessi hanno cercato il modo di disfarsi degli esperti e di prendere
in mano le redini del loro destino. Gli oggetti delle attenzioni
degli psichiatri, invece, quelli che vengono definiti ‘malati
mentali’, sono ancora costretti a subire la volontà di coloro che
li trattengono nei loro ‘ospedali’ non essendo essi ancora
riusciti a imporre – cosa, del resto, realisticamente quasi
impossibile - o non avendo ancora ottenuto da chi li appoggia –
cosa anch’essa ad oggi solo in pochi casi possibile per il rapporto
di forze contrario - la loro libertà.
Perché è così difficile per i
‘ricoverati mentali’ (oggi vittime più di prigioni chimiche che
architettoniche) ottenere la libertà di decidere il loro destino?
Proprio perché vengono definiti malati e perché la psichiatria, a
differenza di quelle pseudo-antropologie che hanno tentato di imporre
la loro idea dei Rom, vive all’interno di un comparto il cui
potere, anche storico, è enorme e non è, nel suo insieme,
criticabile: la medicina. I Rom invece possono difendersi chiamando
apertamente razzista chi voglia opprimerli ed il razzismo, per quanto
oggi ancora –anzi sempre più – diffuso è, dopo la scoperta
degli orrori dei lager della Germania e dei ghetti del Sudafrica
oggetto di dibattito e di condanne a livello mondiale.
Un libro uscito recentemente riapre
però il dibattito – in realtà mai chiuso, come si diceva, se pur
costretto in limiti ristrettissimi – sul rapporto tra psichiatria e
medicina, tra cura e danno e tra diritti reali e ‘diritti’
imposti. “Sorvegliato Mentale: Effetti Collaterali degli
Psicofarmaci” di Paola Minelli e Maria Rosaria D’Oronzo, ed
Nautilus, Torino, è un manuale ragionato dei farmaci usati dagli
psichiatri per ‘curare’, cioè rinchiudere chimicamente, i loro
pazienti e degli effetti ‘collaterali’ (ma che dovremmo chiamare
reali in opposizione a quelli pretesi ) che questi farmaci hanno
sulla salute: su quella vera, quella fisica. Effetti sempre negativi,
a volte tremendi, che vanno dalle convulsioni a danni definitivi ed
irreparabili. Per curare che? Opinioni. Opinioni di singoli,
contrarie al sentire comune e giudicate quindi segno di malattia.
Oppure per eliminare brutalmente contraddizioni interne, sempre di
singole persone già di per sé impossibilitate a difendersi: quelle
contraddizioni in cui ciascuno di noi potrebbe trovarsi e che spesso
generano drammatiche, paralizzanti, incertezze. Da capire. Da
affrontare con il rispetto che le stesse autrici del libro mettono
giornalmente in pratica nel loro lavoro. Per gli psichiatri, invece,
malattia, schizofrenia: da estirpare, con ogni mezzo.
In un bel saggio del 1939 su alcune
peculiari fisime di Jonathan Swift, Aldous Huxley ( l’autore di
Bravo Mondo Nuovo, romanzo/manifesto sulla possibilità di asservire
persone per mezzo di sostanze chimiche e sul tipo di regime assoluto
che ne deriverebbe ) scriveva: “ Le nostre menti, come i nostri
corpi, sono colonie di vite separate che convivono in una condizione
di simbiosi cronicamente ostile; l’anima è in realtà un grande
conglomerato di anime e il nostro comportamento è, in qualunque dato
istante, il prodotto di questa loro guerra infinita.” In quello
stesso anno 1939 gli psichiatri Cerletti, Bini (italiani) e
Kalinowski (tedesco) perfezionavano l’elettroshock, cioè l’uso
di violente scariche elettriche per curare la malattia delle
contraddizioni, la schizofrenia. L’idea di usare l’elettroshock
su persone partiva, com’ è noto, dall’osservazione del metodo
usato nel macello di Roma per anestetizzare i maiali prima
dell’uccisione.
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