Considerazione 1
Le dichiarazioni dei rappresentanti della Commissione Europea sul provvedimento che stabilisce il rilievo delle impronte digitali ai bambini rom appaiono assai deboli e sembrerebbero riferirsi ad un mero annuncio del governo e non ad una normativa nazionale già applicata in alcune grandi aree metropolitane. Una normativa nazionale a rilievo locale, derivante da diverse ordinanze adottate dal consiglio dei ministri, dopo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che istituiva lo “stato di emergenza” per la presenza dei nomadi nelle province di Milano, Roma e Napoli, nominando un Commissario per l’emergenza, individuato generalmente nella figura del Prefetto.
Il Prefetto di Milano, d’intesa con il sindaco Moratti, ha già avviato da due settimane la schedatura dei rom che si trovano nei campi, regolari ed abusivi, provvedendo anche a numerosi sgomberi, mentre il Prefetto di Roma sembrerebbe non volere procedere, almeno per ora, al rilievo delle impronte digitali dei minori rom, sul quale sembra frenare anche Alemanno. Ma a Roma si sta giocando una pericolosa partita che potrebbe dividere il fronte delle associazioni che difendono i rom, con il sindaco che sobilla gli uni contro gli altri, accusando alcune associazioni “ di volere strumentalizzare a fini politici la questione rom”. Mentre proseguono le trattative tra un sindaco eletto proprio dopo avere strumentalizzato la paura nei confronti dei rom ed una parte dell’associazionismo, anche gli sgomberi e le deportazioni vengono portati avanti dalla polizia e dai vigili urbani.
Qualcuno si illude che il confronto con l’amministrazione Alemanno possa garantire anche in futuro convenzioni, sicurezza e stabilità degli insediamenti. Ma chi può dire veramente di rappresentare i rom? Perché non si dà mai il diritto di parola ai rappresentanti delle comunità? E chi pensa a tutti i rom di più recente arrivo in Italia, in gran parte comunitari, allo sbando, senza alcuna associazione nazionale di riferimento che ne tuteli almeno i diritti fondamentali? Anche a Napoli, nei campi rom che non sono stati bruciati, sarebbe in corso la schedatura di tutti coloro che sono ritenuti di minore età. Adesso, con il pacchetto sicurezza in corso di approvazione da parte del Parlamento, si vorrebbe estendere la schedatura dei minori rom a tutto il territorio nazionale.
L’Unione Europea attende intanto la approvazione definitiva dei provvedimenti sull’emergenza sicurezza e la notifica a Bruxelles da parte del governo italiano, per esprimere un parere ufficiale sulla intera questione. Dopo che nel Parlamento Europeo si è consolidato un fronte favorevole ad una ulteriore chiusura nei confronti dell’immigrazione, con l’approvazione della direttiva sui rimpatri, si manifesta una maggiore “cautela” delle istituzioni comunitarie nell’esprimere critiche verso governi come quello italiano, che hanno imposto, o favorito, scelte securitarie e meramente repressive. Ma forse sarebbe meglio parlare di ipocrisia e di calcolo politico in favore degli imprenditori politici della sicurezza. Di certo, in nessun paese dell’Unione Europea si è mai proceduto a schedature o a rilievi di impronte digitali esclusivamente rivolti ad un determinato gruppo etnico o a persone, anche minori, genericamente qualificati come “nomadi”.
Il Consiglio d’Europa ha invece espresso una inequivocabile posizione critica. «Sono molto preoccupato - ha dichiarato Thomas Hammarberg, commissario ai Diritti umani -, questi sono metodi che richiamano misure prese nel passato e che hanno portato alla repressione dei Rom». «Non vedo - ha sottolineato Hammarberg - perchè queste misure debbano essere adottate solo per i Rom. E sono ancor più preoccupato perchè le misure colpiranno giovani e bambini, con potenziali effetti traumatici per loro. Il governo italiano dovrebbe trovare dei metodi più umani, non repressivi e non discriminatori per identificare queste persone».
Considerazione 2
Le disposizioni che prevedono il rilievo delle impronte digitali ai minori rom e la schedatura dei nuclei familiari- sono dunque già entrate in vigore in base al Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 maggio 2008 contenente la “Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 122 del 26-5-2008 ) e quindi sulla base delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri del 30 maggio 2008 ( pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 127 del 31 maggio 2008) che prevedono “Disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio della regione Campania, Lazio e Lombardia”. Il quadro normativo va completato con le norme del pacchetto sicurezza che prevedono l’assegnazione ai sindaci del potere di segnalare persone non in regola con il permesso di soggiorno e la utilizzazione dell’esercito per finalità di ordine pubblico.
Si è creato per legge uno “stato di emergenza”, come se la presenza dei rom fosse una improvvisa calamità naturale, in modo da consentire al governo Berlusconi di intervenire con ordinanze di protezione civile affidate alla gestione di commissari straordinari. Esattamente come si è fatto da anni con l’“emergenza sbarchi”, con ordinanze di protezione civile che hanno consentito l’apertura provvisoria di veri e propri centri di detenzione ed hanno legittimato le peggiori pratiche di deportazione in violazione dell’art. 13 della Costituzione italiana. In entrambi i casi di fronte a fenomeni ampiamente prevedibili e di dimensioni governabili si è preferito lasciare incancrenire i problemi, creare allarme sociale per giustificare poi interventi straordinari. Si tratta di poteri che intaccano diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali per effetto di disposizioni di carattere amministrativo. Adesso non si comprende bene come si vorrebbe mettere un suggello su questo brutto pasticcio paralegislativo, forse con una previsione di carattere generale contenuta nel “pacchetto sicurezza”. Un vero e proprio artificio, una procedura che si sottrae alle regole del procedimento legislativo, un esempio di degrado istituzionale che non rispetta neppure il principio di legalità costituzionale e la gerarchia delle fonti normative. Dallo stato di diritto allo stato di polizia.
Considerazione 3
Il ministro Maroni ha replicato alle critiche di un portavoce della Commissione europea sulla schedatura dei bambini rom. “Il portavoce del commissario – ha dichiarato Maroni - dovrebbe conoscere bene i regolamenti europei. Ce n'é uno, il 380 del 18 aprile 2008, che prevede l'obbligo di prendere le impronte digitali di cittadini di paesi terzi dall'età di sei anni. Abbiamo agito in base a quello”.
Ancora una volta, come già successo prima che la direttiva rimpatri, la “direttiva della vergogna”, fosse approvata definitivamente dal Parlamento Europeo, con la giustificazione del reato di immigrazione clandestina, si tenta di nuovo un uso strumentale e fuorviante del diritto comunitario per giustificare le peggiori pratiche di vera e propria “pulizia etnica” che il governo italiano intensifica ogni giorno a danno della popolazione rom presente in Italia.
Il Regolamento dell’ Unione Europea n. 380 si limita a modificare il regolamento (CE) n. 1030/2002 che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi, riguarda esclusivamente cittadini di paesi terzi “ extracomunitari” ai quali si deve rilasciare un permesso di soggiorno. Si precisa che il “regolamento ha il solo obiettivo di stabilire gli elementi di sicurezza e gli identificatori biometrici che gli Stati membri devono utilizzare in un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi”, specificando che “l’inserimento di identificatori biometrici costituisce una tappa importante verso l’utilizzazione di nuovi elementi che consentano di creare un legame più sicuro tra il permesso di soggiorno e il suo titolare, fornendo in tal modo un notevole contributo alla protezione del permesso di soggiorno contro l’uso fraudolento”. L’accattonaggio dei piccoli rom non si può contrastare con misure previste per istituire un modello uniforme di permesso di soggiorno, e va quindi combattuto con altri mezzi, soprattutto riducendo le aree di clandestinità e di esclusione sociale, bonificando i campi e individuando alloggi dignitosi, siano case o campi attrezzati, una direzione opposta rispetto a quella seguita dall’attuale governo italiano.
Lo stesso regolamento n. 380 del 2008, invocato da Maroni, aggiunge poi che, “con riguardo al trattamento dei dati personali nell’ambito del modello uniforme per i permessi di soggiorno, si applica la direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati”. Dovrebbero essere ben note al ministro dell’interno ed ai suoi consulenti le precise garanzie previste dalla normativa sui dati personali in favore dei minori.
Bene ha fatto il Garante per la Privacy a denunciare il rischio di una pericolosa discriminazione ai danni dei bambini di etnia rom, chiedendo ai prefetti di conoscere modalità di acquisizione, tempi di conservazione e finalità della raccolta dati.
Se il ministro dell’interno andrà “sino in fondo”, come continua ad annunciare, il Garante per la Privacy dovrà denunciare le decisioni, e le prassi amministrative adottate dal governo italiano, agli organismi internazionali ed alla Corte di Giustizia di Lussemburgo in quanto si ravvisi una violazione rispetto alla disciplina comunitaria sui dati personali ed al più generale divieto di atti di discriminazione istituzionale, che vale anche in questa materia.
Nelle premesse del regolamento comunitario 380 del 2008, relativo alla istituzione di un modello uniforme di permesso di soggiorno per i cittadini non appartenenti all’Unione Europea si precisa poi che, “in ottemperanza al principio di proporzionalità, per conseguire l’obiettivo fondamentale costituito dall’introduzione di identificatori biometrici in formato interoperativo, è necessario e opportuno fissare norme per tutti gli Stati membri che attuino la Convenzione di Schengen. conformemente all’articolo 5, terzo comma del trattato il presente regolamento si limita a quanto è necessario per conseguire gli obiettivi perseguiti”.
Secondo il regolamento “gli elementi biometrici contenuti nei permessi di soggiorno possono essere usati solo al fine di verificare:
a) l’autenticità del documento;
b) l’identità del titolare attraverso elementi comparativi direttamente disponibili quando la legislazione nazionale richiede la presentazione del permesso di soggiorno. Combinando questa disposizione con la normativa sulla privacy emerge chiaramente come il governo italiano, prevedendo il rilievo delle impronte digitali nei confronti di soggetti che non hanno alcun permesso di soggiorno abbia violato non solo le norme contro la discriminazione, ma anche la disciplina interna e comunitaria sulla tutela dei dati personali. A meno che non si intenda concedere un permesso di soggiorno a tutti coloro ai quali, in una situazione di soggiorno irregolare, vengano rilevate le impronte digitali. E magari anche alle loro famiglie….
Il Ministro dell’interno dovrebbe almeno a fare conoscere agli italiani la esatta portata dei regolamenti comunitari che invoca a fondamento delle scelte del suo esecutivo, scelte ancora prive di una base legale certa e dubbie anche sul piano delle procedure seguite, oltre che dal punto di vista della legittimità costituzionale ed internazionale. Ma di questo ci sarà modo di discutere non appena sarà possibile presentare i primi ricorsi alla Corte Costituzionale ed alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Già ad un rilievo testuale appare però evidente come il rilievo delle impronte digitali ai minori si possa giustificare solo in caso di cittadini non appartenenti a stati dell’Unione Europea che chiedano un permesso di soggiorno.
Considerazione 4
Non si comprende quindi come un regolamento dell’Unione Europea che si rivolge a cittadini “extracomunitari” possa essere invocato come base legale per un decreto e per ordinanze governative di protezione civile che si dovrebbero applicare in caso di calamità naturali e non certo quando non si fa richiesta di un permesso di soggiorno, ma neppure per mere finalità di monitoraggio e censimento dei campi “nomadi”, al fine di una eventuale espulsione o altra misura di allontanamento, anche con riferimento ai bambini rom comunitari.
Secondo Maroni le disposizioni che prevedono il rilievo delle impronte digitali ai minori rom sarebbero stata adottate “seguendo le normative europee”. Ma le “normative europee” non collegano – come si è rilevato - il rilievo delle impronte digitali alle operazioni di censimento e di schedatura, di sgombero dei campi o di sottrazione dei minori, come le ordinanze di protezione civile adottate in Italia alla fine di maggio, dopo la dichiarazione per decreto di uno “stato di emergenza”. Queste ordinanze conferiscono al Prefetto i poteri per compiere operazioni di
- “monitoraggio dei campi autorizzati in cui sono presenti comunità nomadi ed individuazione degli insediamenti abusivi”;
- “identificazione e censimento delle persone, anche minori di età, e dei nuclei familiari presenti nei luoghi ……, attraverso rilievi segnaletici”;
- “adozione delle necessarie misure, avvalendosi delle forze di Polizia, nei confronti delle persone che risultino o possano essere destinatarie di provvedimenti amministrativi o giudiziari di allontanamento o di espulsione”.
Tutto rimane affidato alla discrezionalità dei commissari straordinari, quindi dei prefetti, e poi ancora dell’autorità di polizia, liberi di adottare tutte le “necessarie misure” nei confronti delle persone da identificare “che risultino o possano essere destinatarie di provvedimenti amministrativi o giudiziari di allontanamento o di espulsione”. Senza rispettare il principio di eguaglianza e le scarne garanzie di difesa previste dalle Convenzioni internazionali, dal Testo Unico sull’immigrazione e dalla normativa sulla libera circolazione dei cittadini comunitari. Ed i minori, in ogni caso, non possono essere direttamente “destinatari di provvedimenti di espulsione”, anche se devono a seguire i nuclei familiari in caso di allontanamento forzato.
Considerazione 5
Le misure annunciate sulla schedatura dei bambini rom non produrranno alcuna maggiore sicurezza per i minori “nomadi”, né combatteranno l’accattonaggio, come asserito pretestuosamente dal ministro, ma alimentano da subito un clima di terrore nei campi e di discriminazione razziale al loro esterno, perché costituiscono la premessa per successivi provvedimenti che tenderanno ad allontanare i piccoli rom dalle loro famiglie, quando non abbiano uno status di soggiorno legale o vivano nelle condizioni di degrado nelle quali da anni sono colpevolmente abbandonate dalle autorità italiane.
Tutto questo si sta già traducendo in nuovi interventi repressivi, probabilmente affidati anche all’esercito, oltre che alle nuove polizie urbane armate, interventi che incrementeranno la clandestinizzazione dei rom, spezzando quei percorsi di integrazione in base ai quali si era riusciti a regolarizzare la posizione di intere famiglie partendo dalla integrazione socio-scolastica dei minori figli di irregolari. Si vanificheranno in questo modo quei progetti di intervento sociale che con grande difficoltà stavano tentando di recuperare una effettiva valenza dei diritti di cittadinanza di tutti i rom nel rispetto della legalità e della convivenza civile. Come ha ricordato Francesco Merlo in un suo editoriale, “in tutta l’Europa centrale, che registrava il tasso più alto di popolazione zingaresca, per ben tre secoli decreti e leggi furono emanati per “liberare” i bambini degli zingari dai loro genitori naturali, sino alla soluzione finale nazista e dunque all’internamento di adulti e pargoli”.
Il ministro Maroni ha pure sostenuto che “nei tribunali e nelle procure minorili chi ha meno di 18 anni e deve essere affidato a un istituto perché è senza famiglia viene sottoposto ai rilievi proprio per ricostruire la sua identità. Esattamente la procedura che stiamo portando avanti noi». Il ministro dimentica che la misura adottata negli uffici della giustizia minorile non distingue per l’appartenenza ad un gruppo etnico (i nomadi o i rom) ma prende in considerazione le esigenze di identificazione dei minori (tutti) che entrano in un istituto, nel rispetto del principio costituzionale di parità di trattamento tra italiani e stranieri ( art. 3 della Costituzione).
La sicurezza è un bene indivisibile, per tutti o per nessuno. Il riconoscimento dei diritti è la migliore garanzia del rispetto dei doveri. Ai Rom e ai Sinti insieme deve essere riconosciuto lo “status” di minoranza nazionale, vanno attuate e favorite politiche di integrazione, di partecipazione diretta e di mediazione culturale in loro favore. Inoltre vanno attuate politiche di accoglienza a favore dei Rom comunitari, nell’ambito di una politica europea che rimuova le cause che provocano la loro immigrazione in Italia. Piuttosto che adottare misure di stampo chiaramente repressivo e discriminatorio, al di là delle buone intenzioni che si enunciano, in nome di inesistenti normative comunitarie, occorrono leggi che realizzino anche in Italia le Raccomandazioni del Consiglio d’Europa a tutela dei Rom.
Occorre una procedura di regolarizzazione, con l’acquisto della cittadinanza a favore dei bambini Rom nati e residenti in Italia, e in questo caso ben venga il rilievo delle impronte digitali, che però allora va esteso a tutti i bambini italiani in età superiore a sei anni, anche perché i casi di rapimenti a danno di minori italiani sono molto più frequenti tra gli italiani, sia in termini assoluti che in percentuale alla popolazione residente. Se si vorrà garantire una maggiore sicurezza, per tutti, attraverso la eliminazione delle sacche di clandestinità e di emarginazione, si dovrà realizzare la legalizzazione di tutti i giovani adulti rom anche di terza generazione, nati e vissuti in Italia ma che non hanno accesso al lavoro regolare ed ai servizi fondamentali perché considerati clandestini e quindi senza nessun diritto di cittadinanza attiva. Anzi espellibili in ogni momento in cui vanno a rivendicare i loro diritti. E sono decine di migliaia. Una condizione di soggiorno regolare è il più forte deterrente verso la commissione di reati, e consente un ingresso legale nel mondo del lavoro. Va riconosciuta la “carta di soggiorno” per i Rom che abitano in Italia da almeno 5 anni e per i rom comunitari, a prescindere dai certificati di residenza.
Prima di procedere al “censimento - schedatura” ed allo sgombero dei campi “nomadi” ritenuti abusivi anche quando sono stati riconosciuti per anni dalle amministrazioni comunali, i diversi gruppi di rom vengano sistemati - come prescrive il Consiglio d’Europa - in insediamenti decorosi: alloggi, case o microaree residenziali a dimensioni di famiglie allargate, scelti in concorso con gli interessati, praticando politiche che si confrontino con le istanze delle comunità locali. Occorre mettere fine alla strumentalizzazione della paura ed alla guerra tra poveri innescata dalle politiche di governo, a livello locale e nazionale, che puntano sulla sicurezza per nascondere tutti i problemi e le frustrazioni derivanti dall’abbattimento dello stato sociale. di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
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