domenica 6 luglio 2008

Il cardinale Piovanelli: il frutto della paura

Eminenza, secondo lei chi è stato il più grande antirazzista della storia?
«Che domanda: Gesù Cristo. Basta sfogliare il Vangelo. Amatevi gli uni agli altri. Tutti erano uguali ai suoi occhi».
Essere razzisti è considerato dalla Chiesa un peccato grave o veniale?
«E’ un peccato che, naturalmente, diventa gravissimo nella misura in cui chi lo commette lo fa con consapevolezza. Vi sono cose che, purtroppo, si fanno ma, a volte, non vi è la consapevolezza alla base. A volte manca l’educazione, la coscienza. Ecco che allora la verità evangelica interviene per illuminare la coscienza dell’uomo affinchè ci si renda conto che il razzismo è lontano anni luce dal disegno di Dio».
La Chiesa tuttavia non sembra essersi occupata molto del problema, magari perchè è più concentrata su altre questioni attinenti alla difesa della vita, della famiglia...
«Il lavoro che fa la Chiesa è silenzioso, specialmente in tante zone del mondo dove il razzismo è di casa. Vorrei aggiungere che una sensibilità particolare si è fatta strada con il Concilio Vaticano II. Il cammino fatto è importante benchè altra strada vada compiuta. Ripensando ai documenti conciliari mi viene in mente la Gaudium et Spes, la quarta delle costituzioni. Magnifica. Basterebbe prenderla in mano e sfogliarla un po’ per capire di che si tratta, dell’attualità che ha, della visione lucida, dell’ampio respiro di quelle pagine. In quel testo si parla di gioia e di speranza per l’umanità intera, della condivisione della Chiesa alle tristezze degli uomini, che cerca di viverle con loro e di cambiarle. Non si può ignorare il cammino che la Chiesa ha fatto».
La parola razzismo ne evoca un’altra, schiavitù...
«Sì è vero. A me viene subito in mente un’immagine fortissima, quella di Giovanni Paolo II a Gorè, in Senegal, a pregare nella Casa degli Schiavi. Era il 1992. Furono pronunciate parole fortissime che fecero il giro del mondo. La Chiesa parte sempre dalla Resurrezione di Cristo e cammina nella storia. Una storia che è fatta di tanti limiti e tante ingiustizie e ristrettezze, tuttavia la luce del Signore che la Chiesa conserva dentro di sé, la fa crescere in modo tale da realizzare in mondo pieno il disegno di Dio. Ciò sta ad indicare che tutta l’umanità deve essere una unica famiglia. E’ questo ciò che vuole Dio».
Papa Wojtyla chiese perdono per le colpe commesse nel passato da tanti cristiani...
«Sì, fu un atto di grande coraggio. Un gesto per riflettere su quanto siamo stati, e siamo, lontani dal disegno che Dio vuole per la nostra vita. Il cammino della Chiesa è una conversione continua verso il Signore e i cristiani devono cercare di capire sempre meglio ciò che Egli comanda per realizzarlo, in mezzo ai tanti limiti che vi sono, personali, legati alla cultura, al momento storico, ai nostri peccati. Tuttavia la spinta è quella di una crescita inarrestabile».

Il mea culpa di Papa Wojtyla non tutti lo compresero bene...
«E’ chiaro che la Chiesa, nella misura in cui non impersona, non riflette pienamente il volto del Signore, cade in errore. Anche oggi se si adatta al mondo, se non resta fedele a Cristo, commette una colpa».
Perché secondo lei nel mondo crescono così tanto i fenomeni di islamofobia, cristianofobia, antisemitismo?
«Credo che sia una specie di difesa, di paura del nuovo ma anche del rifiuto ad aprirsi alle speranze del Signore. Le fobie sono sempre un segno di paura. Occorre educare i giovani al diverso, al rispetto dell’altro, all’amore per il prossimo».
In tante zone del mondo è aumentata la persecuzione contro i cristiani…
«Purtroppo è vero. La persecuzione avverrà sino alla fine del mondo. E’ la prospettiva dell’Apocalisse».
Lei pensa che con l’aumento dei flussi migratori, crescerà di conseguenza anche il fenomeno del razzismo?
«Dipenderà dal cuore dell’uomo oltre che dalle leggi e dagli indirizzi che i governi si daranno. Non dipenderà dal numero delle persone straniere, ma dai modi, dai provvedimenti, dalle politiche, dalle prospettive riguardanti l’integrazione, l’apertura, l’inclusione».
Il governo vuole introdurre il reato di immigrazione clandestina e prendere le impronte ai bambini rom. Che ne pensa?
«Come chiamarla se non schedatura? Forse non sarà nelle intenzioni ma il risultato finale è quello. Se non è una misura razzista questa. Tra l’altro mi chiedo cosa abbia insegnato l’esperienza della Shoah».
Già, cosa ha lasciato?
«Tutto ciò ci dice che il cammino della storia è lungo. Certi fatti che sembravano avere scoperto l’orizzonte, finalmente liberandolo da tante difficoltà, non sono altro che momenti della lunga strada che l’umanità deve ancora percorrere».
A San Rossone lei avrà un faccia faccia pubblico con Dario Fo, che è un gran “mangiapreti”: non la spaventa?
«E perché mai? Dibatteremo su un punto sul quale entrambi siamo d’accordo, che fede e ragione devono incontrarsi. Si è detto tante volte che il sangue ha lo stesso colore per tutte le persone, indipendentemenbte dal colore della pelle. Il che vuol dire che apparteniamo tutti alla stessa famiglia. La ragione deve stabilire dei percorsi, aiutare pedagogicamente una crescita. La fede deve illuminare le coscienze, dare speranza. La certezza che Dio ama tutti».
Per la prima volta in America un nero è in corsa per la Casa Bianca. Un buon segno del lungo cammino per combattere il razzismo?
«Penso che sarebbe davvero un grande segnale. I pregiudizi si sciolgono sempre attraverso questi segnali». di Franca Giansoldati

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