Hanno osato varcare il confine, sono tornati sui loro passi. E la reazione è stata immediata e violenta. Fuoco per cacciarli via. Di nuovo. Un'altra volta. Ponticelli brucia. Un gruppo di trenta rom - due uomini, un manipolo di donne e quindici bambini - da qualche giorno ha riaperto un campo abbandonato, in via Argine, accanto alla fermata della circumvesuviana, alla periferia Est di Napoli. E ieri sera, poco dopo le 20, un altro campo rom, quello vicino alla motorizzazione è stato dato alle fiamme.
Azione e reazione. Il campo andato a fuoco era disabitato, ma vicinissimo a quello appena riaperto: ottocento metri, forse meno, in linea d'aria. Entrambi in via Argine. Un avvertimento. Una minaccia che sa di cenere e paura. Dragan e la sua famiglia vedono le fiamme, si rintanano nelle poche baracche rimaste in piedi e chiamano il 113. "Noi non andiamo via di qui. Non facciamo male a nessuno e nessuno ci farà male" sillaba il capo famiglia.
Al campo arriva una volante della polizia. "Fratelli. Fratelli" grida Dragan e va ad accoglierli. Intanto la colonna di fumo diventa più aggressiva. Il falò si vede dal centro di Napoli. La strada viene chiusa al traffico. Le fiamme vengono domate solo dopo tre ore di lavoro. I vigili del fuoco parlano di "incendio doloso". E anche la polizia apre la caccia ai piromani: "Gente del quartiere".
Il rogo potrebbe essere un avvertimento, secondo gli investigatori, per spingere le famiglie di nomadi appena tornate ad abbandonare di nuovo il campo e il quartiere. Secondo i primi rilievi dei vigili del fuoco sembra che ci fossero diversi focolai. Si tratta, cioè, di un incendio, studiato a tavolino. I rifiuti hanno fatto il resto: il campo di fronte alla Motorizzazione (l'ultimo ad essere abbandonato dopo i roghi di inizio maggio) era pieno di assi di legno, copertoni, plastica e materiali altamente infiammabili.
"Nel campo vicino alla Motorizzazione c'erano ancora delle baracche integre - racconta il presidente napoletano di "Opera Nomadi", Marco Nieli - Mi hanno detto che qualcuno ha visto dei nomadi in zona ieri pomeriggio, forse i residenti hanno avuto paura che qualcuno riaprisse anche questo insediamento", dice ora preoccupato Nieli, che chiede sicurezza per i nomadi. "Chi è tornato spontaneamente è stato incauto, perché a Ponticelli c'è una situazione incancrenita, senza via di scampo. In questo pezzo di Napoli la camorra ha lanciato una sfida allo Stato, riappropriandosi del territorio, risolvendo un problema che lo Stato non riusciva, e non riesce, a domare. Non è uno scherzo, né un episodio estemporaneo".
A maggio, assediati da un rione inferocito, armato di spranghe e di molotov (dopo la denuncia di una madre per il tentato rapimento di una neonata) oltre 700 rom furono costretti alla fuga da Ponticelli. "Oggi sono dispersi nella provincia di Napoli, non si sono certo vaporizzati nel nulla - dice Nieli - Dovrebbero ritornare con una posizione di accoglienza e di difesa. La caccia all'uomo continua. In quest'ultimo mese si sono registrate aggressioni ad altri campi del Napoletano, con le molotov. Bisogna costruire un centro di prima ospitalità a Ponticelli, monitorato dalla polizia. Se serve anche dall'esercito", conclude.
"Siamo tornati, perché qui abbiamo un lavoro, le nostre baracche, le nostre cose. Siamo tornati perché non siamo animali in fuga e neanche gli italiani sono animali. Siamo uomini e dobbiamo convivere, pacificamente" spiega Dragan. Però la paura dei campi in fiamme e degli assalti è ancora viva. "Odio la puzza di bruciato - bisbiglia Gabriele, 13 anni, mentre dietro le lamiere del campo e un Tricolore mangiucchiato dal tempo guarda il falò che brucia - Per giorni non abbiamo mangiato... siamo scappati senza avere una meta precisa e avevamo addosso quell'odore acre. E ora è tornato".
Nessun commento:
Posta un commento