Il 10 dicembre prossimo sarà il sessantesimo anno dalla firma della Dichiarazione universale dei diritti umani: ma in Italia come siamo messi? Secondo il portavoce di Amnesty international molto male, siamo all’anno zero. Crediamo che sia il caso di prendere in seria considerazione le parole di Riccardo Noury, portavoce della Sezione italiana di Amnesty International, pubblicate sull’ultimo numero del settimanale Left.
«A sessant’anni dalla sua approvazione, la Dichiarazione universale dei diritti umani resta in larga parte disattesa. Tortura, discriminazione nei confronti dei gruppi più vulnerabili, violenza sulle donne, pena di morte, repressione delle libertà fondamentali, negazione del diritto alla salute e al cibo, dimostrano, ancora oggi, che l’impegno assunto il 10 dicembre del 1948 non è stato rispettato.
I diritti umani sono una promessa lontana nel martoriato continente africano, non rappresentano una realtà concreta nei Paesi emergenti dell’Asia, non sono al centro delle strategie della “guerra al terrore”, e non godono di buona salute nemmeno nel nostro Paese.
Ci aspettavamo che l’Italia celebrasse il sessantesimo anniversario della Dichiarazione in modo adeguato e degno. E invece è trascorso un altro anno senza che si sia ottemperato agli obblighi internazionali in materia di tortura, introducendo nel codice penale un apposito reato, a quasi 20 anni dalla ratifica della relativa convenzione della Nazioni unite.
Le sentenze sulle violenze commesse durante il G8di Genova nel 2001, emesse nel corso dell’anno, hanno contribuito a mostrare drammaticamente gli effetti concreti di questa falla. Per le brutalità commesse all’interno della caserma di Bolzaneto, la giustizia italiana ha riconosciuto, in primo grado, le responsabilità di funzionari dello Stato ma, come specificato nelle motivazioni della sentenza, “...la mancanza, nel nostro sistema penale, di uno specifico reato di tortura ha costretto l’ufficio del pubblico ministero a circoscrivere le condotte inumane e degradanti (che avrebbero potuto senza dubbio ricomprendersi nella nozione di “tortura” adottata nelle convenzioni internazionali) compiute in danno delle parti offese nell’ambito, certamente non del tutto adeguato, della fattispecie dell’abuso di ufficio”.
Anche la sentenza emessa sulle violenze commesse nella scuola Diaz ha mostrato la gravità della situazione, confermando che qualcosa di grave accadde a Genova. Ci chiediamo se una decisione diversa, nella quale fossero state accertate ulteriori responsabilità nella catena di comando, avrebbe potuto essere favorita da un diverso comportamento delle autorità italiane che non hanno voluto contribuire alla ricerca della verità. In questi anni non c’è stata una parola forte di condanna per il comportamento tenuto dalle forze dell’ordine nel luglio 2001, né una commissione d’inchiesta.
L’Italia non si è ancora dotata di un’istituzione nazionale di monitoraggio sui diritti umani e di un organismo indipendente di controllo sull’operato della polizia; non ha, inoltre ancora ratificato il protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura. A fronte della nobiltà del testo della Dichiarazione, abbiamo ascoltato parole irresponsabili che hanno separato e diviso tra chi ha pieni diritti e chi no.
Le dichiarazioni discriminatorie pronunciate da esponenti delle principali forze politiche dei diversi schieramenti, e il linguaggio giornalistico allarmistico nei confronti di persone e minoranze, hanno reso concreto il pericolo di un’erosione dei diritti umani.
In questo quadro risultano allarmanti gli attacchi verificatisi ad accampamenti rom in diverse città e le aggressioni registrate ai danni di immigrati di diverse nazionalità. Tutto ciò è inaccettabile in un Paese democratico che considera la giustizia e i diritti umani come valori fondanti della propria identità. Amnesty international auspica un’inversione di rotta e si augura che il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale possa finalmente rappresentare una svolta positiva per i diritti umani anche in Italia».
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