Nella Casa Circondariale di Reggio Calabria si nega il diritto agli accertamenti clinici ad un detenuto rom gravemente malato.
Circa un anno fa il signor Armando Bevilacqua avvertendo un dolore costante alla gola e non ottenendo alcun miglioramento dalla terapia prescritta dai sanitari del carcere chiese di essere sottoposto ad una visita specialistica otorinolaringoiatra. La sua richiesta non è stata accolta dai sanitari del carcere i quali hanno continuato a prescrivere una terapia a base di antibiotici del tutto inefficace.
Con il passare dei mesi le condizioni del signor Bevilacqua sono peggiorate (il dolore alla gola è aumentato, si è abbassato il tono della voce ed è insorta la difficoltà a deglutire) ma i sanitari della Casa circondariale non tengono in considerazione questi sintomi.
Nel mese di dicembre 2008 i familiari del detenuto chiedono e ottengono che un medico specialista esterno alla struttura carceraria possa visitare il signor Bevilacqua. Il 19 dicembre 2008 il dott. Alberto Giunta visita il signor Bevilacqua in carcere effettuando una laringoscopia con fibroscopio che gli permette di individuare una neoformazione che interessa la laringe.
Il referto che il dott. Giunta lascia in copia lo stesso giorno all’ufficio matricola del Carcere da atto di una “una neoformazione vegetante interessante l’emilaringe destro per la quale è assolutamente necessario eseguire un prelievo bioptico per esame istologico essendo l’ipotesi diagnostica più verosimile quella di carcinoma laringeo”.
Nonostante questo chiaro referto medico, i molteplici solleciti dell’avvocato difensore e degli stessi familiari distrutti dal dolore, la Casa Circondariale solo il 29 dicembre 2008 (dopo 10 giorni dal referto medico) provvede a portare a visita il Bevilacqua presso il reparto di Otorinolaringoiatria degli OORR di Reggio Calabria.
Ma dato che il tempo perso non era ancora abbastanza, i sanitari della casa circondariale e il reparto di Otorino degli OORR non predispongono come aveva consigliato il dott. Giunta l’esame di laringoscopia con prelievo di tessuto per la biopsia (unico esame con il quale si prova che si tratta di un timore e quindi si può procedere con le cure) ma fanno eseguire lo stesso e identico esame effettuato dal dott. Giunta.
Perché si esegue lo stesso esame quando c’è stato tutto il tempo per programmare quello con prelievo di tessuto che fornirebbe i dati necessari per le cure e contemporaneamente proverebbe la veridicità di quanto certificato da dott. Giunta?
Non solo non si fa nessun passo in avanti ma il dottore Cassone del reparto di Otorino degli OORR che esegue l’esame il 29 dicembre 2008 rilascia un referto lacunoso e generico in cui si riferisce di una neoformazione e raccomanda un ricovero sollecito ma non sottolinea che secondo statistiche mediche al 90% quella neoformazione è un carcinoma. Ma lo stesso dottore Cassone, diversamente da quanto ha scritto, riferisce, lo stesso giorno, alla moglie e al figlio del Bevilacqua che è quasi sicuro che si tratta di un carcinoma che si trova in uno stadio molto avanzato con sospette metastasi e quindi sarebbe urgente effettuare la biopsia e altri esami. Ma perché non lo scrive?
Grazie al referto lacunoso del Dott. Cassone che non evidenzia l’urgenza del caso e con il quale ancora non si dimostra che si tratta di un carcinoma i responsabili della Casa Circondariale riportano in carcere il signor Bevilacqua e non programmano il ricovero.
Certo durante le feste natalizie probabilmente, a causa del calo di personale, è difficile programmare certi servizi e quindi la salute di un detenuto rom già abbondantemente trascurata diventa cosa di poco conto..
Di fronte a questo quadro clinico incompatibile con la condizione carceraria il difensore di fiducia del signor Bevilacqua oltre a sollecitare il ricovero ha pure provveduto, come previsto dalla legge, ad avanzare una istanza di differimento della pena al Tribunale di Sorveglianza. Ma anche questa richiesta è ferma perché mancando un referto medico che certifichi l’assoluta certezza del carcinoma la richiesta non è ancora giustificata.
Non solo i sanitari della casa circondariale sbagliano la diagnosi per un anno considerando mal di gola un carcinoma della laringe, (in questo anno il carcinoma è aumentato causando dei danni) ma dopo che i familiari provvedono alla visita specialistica non garantiscono, con la necessaria celerità, gli accertamenti essenziali.
Il 31 dicembre 2008 il primario del reparto di Otorinolaringoiatra degli O.O.R.R. dott. Spanò ha promesso ai familiari del Bevilacqua che avrebbe comunicato via fax ai responsabili del carcere la disponibilità del reparto per effettuare il ricovero il 2 gennaio 2009. Purtroppo il ricovero non c’è stato e i responsabili della casa Circondariale non comunicano ai sanitari un'altra data utile.
La garanzia delle cure ai detenuti è un grosso problema del nostro sistema carcerario ma va affrontato e mai taciuto mettendo al centro sempre la persona. Così scrive un detenuto su Informacarcere.it: “Il giuramento di Ippocrate dice: medico, ricordati che il malato non è una cosa, o un mezzo, ma un fine, un valore, e quindi comportati di conseguenza. In libertà una persona malata, bene o male è assistita. Invece guai al malato in carcere, l'attenzione si trasforma in disprezzo, il male in vergogna,non gode della pur minima protezione e la malattia si trasforma in ulteriore castigo. Alla prima occasione, al minimo lamento o tentativo di conforto per un motivo normalmente di nessuna importanza, la malattia viene rinfacciata come una colpa e si viene additati come simulatori.”
Il carcere , nonostante il grave danno che i sanitari di questa struttura hanno arrecato al detenuto non essendo stati in grado di diagnosticare il carcinoma, continua a negare con estrema disinvoltura il diritto alle cure mediche sancito dalla Costituzione Italiana e dalle leggi della repubblica.
L’atteggiamento tenuto dai responsabili della casa Circondariale di Reggio Calabria rappresenta molto bene il gravissimo e paradossale problema della salute dei detenuti che vede i rappresentati del Ministero della Giustizia violare le leggi dello stato e il dettato Costituzionale.
La legge di riordino della sanità penitenziaria Decreto Lgs nr 230/1999 afferma che “i detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei Piani sanitari regionali e in quelli locali”.
La legge, oltre a questa chiara riaffermazione del diritto alla salute dei detenuti e degli internati, compie una svolta di 360 gradi nel governo della sanità penitenziaria, perché sposta dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario nazionale il compito e la responsabilità di organizzare i servizi che devono produrre le prestazioni per la prevenzione, per la cura e per la riabilitazione.
Purtroppo la legge risulta quasi del tutto inapplicata non solo presso la casa circondariale di Reggio Calabria ma in tutto il territorio nazionale. Il Ministero della Giustizia e i suoi rappresentati locali contrariamente a quanto previsto dalla legge non hanno permesso che il Servizio Sanitario nazionale organizzasse la sanità nelle carceri mantenendo la vecchia sanità penitenziaria autonoma che ha sempre funzionato assai peggio di quella nazionale.
La responsabilità dei rappresentati del Ministero della Giustizia non riguarda solo la mancata attuazione di una legge ordinaria dello Stato, e non è poco, ma anche il mancato rispetto della norma costituzionale, sia negli articoli riguardanti i principi e i diritti sia nel Titolo V che assegna la sanità, tutta la sanità, alle Regioni italiane, senza ombra di equivoci e senza riserve allo Stato, la definizione dei principi generali del SSN e la determinazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria.
Bisogna dire che oggi è sempre più urgente superare la mancata applicazione del Decreto legislativo 230/1999 per metter fine alla pratica negazione del diritto alla salute che si registra nelle carceri, fino a costringere Amnesty International a considerare le carceri italiane al di fuori del diritto civile.
Senza la riaffermazione di questo diritto la stessa missione delle carceri viene meno. Come si può pensare lontanamente che la casa circondariale di Reggio Calabria stia assolvendo al suo compito rieducativo nei confronti dei detenuti se a questi nega il diritto fondamentale di essere curati. Come possono i detenuti apprendere la positività del vivere nel rispetto delle leggi se chi glielo deve insegnare non li rispetta?
L’aspetto generale del problema non diminuisce per niente le responsabilità dei dirigenti della casa circondariale di Reggio Calabria che continuano a non considerare la vita del detenuto. Invitiamo la direttrice della casa circondariale a voler rivedere le sue posizioni e predisporre in tempi brevi il ricovero del detenuto. di Antonino Giacomo Marino, Opera Nomadi di Reggio Calabria
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