Sulle spalle Francesca (nome di fantasia, ndr) ha lo zainetto coi libri; in braccio la gabbia del criceto. Ieri né lei né gli altri due suoi fratelli di 11 e 16 anni sono andati a scuola. C’era altro da fare in quella famiglia di nomadi: racimolare le proprie cose, metterle nei sacchi delle immondizie e dire addio all’appartamento di via Palermo, assegnato dall’Ipes quattro anni fa. A N.G., 4 figli e un marito, è stato notificato lo sfratto. Motivo? La famiglia - secondo l’Istituto - non si è mai adattata alle regole del vivere in condominio. Ipes e Comune non hanno dubbi: sono i campi la soluzione migliore.
Dopo anni passati nei container del campo, stretto tra gli svincoli di autostrada e Mebo, per la famiglia, quattro anni fa, sembrava arrivato il giorno del riscatto. Con quattro figli, un basso reddito e una sistemazione abitativa disastrosa, N.G. ha scalato rapidamente le graduatorie Ipes e ha ottenuto una casa vera al civico 80 di via Palermo. Il guaio è che quella casa tanto agognata si è trasformata quasi subito in una prigione per quei quattro bambini abituati a vivere nel “campo nomadi”.
«La situazione - spiega Stefano Grando, direttore del Centro servizi dell’Ipes - non era più sostenibile. Gli inquilini dello stabile erano ormai all’esasperazione. Urla e caos giorno e notte. Addirittura i ragazzini si arrampicavano lungo le grondaie».
Esagerazioni? «All’inizio - ammette la donna - ci sono stati effettivamente dei problemi: i bambini non erano abituati a vivere in un appartamento. Loro sono cresciuti liberi, al campo. Hanno dovuto adattarsi. Proprio ora che ci erano riusciti, è arrivato lo sfratto».
Ma non si poteva far accompagnare da assistenti sociali l’inserimento della famiglia nel nuovo contesto? «È stata tentata anche quella strada - assicura Grando - ma ad un certo punto anche le assistenti hanno dovuto gettare la spugna. Cosa dovevamo fare? Prima abbiamo parlato con la signora spiegando la situazione; poi, non ottenendo alcun risultato, abbiamo applicato le norme e, dopo la terza lettera, abbiamo dovuto procedere allo sfratto».
Gianfranco Ponte, responsabile del Comitato inquilini dell’Ipes, approva la scelta dell’Istituto: «Hanno fatto l’unica cosa possibile, allontanando la famiglia perché la convivenza con gli altri inquilini era diventata insostenibile. C’è gente che si è rivolta a noi disperata, chiedendo il cambio dell’alloggio».
Sfrattati da via Palermo dove andranno ora? «È questo che mi preoccupa - spiega l’avvocato Marco Boscarol che assiste la famiglia -: qui ci sono tre minorenni che questa notte non sanno dove andare a dormire. Spero intervengano i servizi sociali e trovino una sistemazione alternativa anche se mi rendo conto che non è facile».
E proprio per questo l’Ipes, prima di decidere lo sfratto, ci ha pensato a lungo.
«Ho chiesto - dice la donna - a mia madre se mi può ospitare per qualche giorno nel container, al campo. Poi non so cosa faremo, dove andremo. I miei figli vanno a scuola, ma dal campo sono troppo lontani». Il caso della famiglia sfrattata ieri da via Palermo mette in luce il problema, più volte sollevato dall’Ipes, delle difficoltà di inserimento delle famiglie sinte in particolare, ma anche di extracomunitari. «Per questo alla luce della nostra esperienza - dice Grando - la soluzione migliore è quella di creare dei campi nomadi: strutture fatte ad hoc e gestite secondo determinati criteri». Condivide la linea l’assessore Stefano Pagani: «I nomadi hanno grosse dfifficoltà a adattarsi a vivere in alloggi normali. È un problema per loro e per i vicini: non sopportano le regole di un condominio. Tanto che sono gli stessi nomadi, spesso e volentieri, a chiedere di essere messi in un campo assieme alla loro gente». di Antonella Mattioli
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