Ieri mattina la baraccopoli sorta da alcuni anni sotto il cavalcavia Bacula a Milano è stata smantellata dalle forze dell'ordine, 70 persone sono state allontanate. Per impedire la rioccupazione cominceranno i lavori di recinzione dell'area, che dureranno un mese. Il prossimo sgombero sarà l'ex Marchiondi. In due anni sono stati effettuati sette sgomberi. Nella baraccopoli, secondo le stime del Comune di Milano, trovavano rifugio notturno circa 140 Cittadini rumeni.
Alle operazioni hanno partecipato 60 agenti della Polizia Municipale (Nucleo Problemi del Territorio, Radiomobile, Comandi di Zona 8 e 9) supportati dagli agenti della Polizia di Stato e dei Carabinieri. Presenti sul posto anche la Croce Rossa, Protezione Civile, l'Ufficio minori e adulti in difficolta' dei Servizi Sociali, Associazione medici volontari, Associazione Padri Somaschi, Nuir, Amsa e Ferrovie dello Stato.
Al momento del blitz quasi tutte le persone sono spontaneamente allontanati rifiutando il ricovero negli alloggi del Comune. Solo una famiglia ha chiesto l'aiuto ai Servizi Sociali mentre alcuni nuclei erano già state presi in carico dalla Casa della Carità.
Repubblica, nell’edizione di Milano, ha dato ampio spazio alle dichiarazioni del signor Petre: «Quella mia baracchina, mia casa. Se voi sgombera, io e mio figlio morire». Secondo Repubblica momenti di tensione si sono avuti quando il signor Petre (in foto) ha minacciato di buttarsi sotto al treno in arrivo. Decine di agenti lo hanno circondato. Le assistenti sociali hanno cercato di prendere il figlio, Vale, che si è divincolato e ha seguito il padre verso le rotaie. Dopo mezz’ora Petre si rassegna e raccoglie le poche cose della sua famiglia.
Repubblica racconta anche di Flora, leader della piccola comunità. «Io non ci vado alla Casa della carità, è una prigione. Ci sono il cancello, gli orari e non si può cucinare in cortile con la griglia», si lamenta Flora. Dei cinque figli, due ragazze frequentano la scuola media, uno le elementari. Alla fine del mattino, Flora si commuove per il destino dei suoi figli e decide di accettare l'aiuto di don Colmegna. Carica i sacchi neri con i suoi stracci sul passeggino e si avvia verso il primo domicilio stabile della sua vita. Seguita dal codazzo dei bambini.
Tutte le altre persone rimangono in strada anche perché la Casa della Carità non ha la possibilità di accogliere tutti e l’alternativa alla strada è il dormitorio pubblico. Ma le donne non si rifiutano di distruggere le loro famiglie, separandosi dai mariti e dai figli più grandi.
La Diocesi (Caritas, Casa della Carità, Acli e Padri Somaschi) ha lanciato un appello “L'esperienza dovrebbe insegnare che se ci limiterà all'azione di forza i rom se ne andranno da questo precario insediamento ma troveranno un altro posto ancora più nascosto, ancora più indecente, ancora più inumano, dove tentare di sopravvivere. Parte delle persone accampate ha mostrato la volontà di integrarsi. Vanno riconosciuti e incoraggiati i comportamenti civili e virtuosi di chi non delinque”.
Secondo il Naga molte persone che abitavano lì se ne erano già andate, in seguito alla ripetuta azione di pressione da parte delle forze dell’ordine, che nell’ultimo mese si sono recate più volte nel campo, a qualsiasi ora, effettuando controlli e cercando di “persuadere” le persone ad andarsene da lì, con la promessa di una sistemazione per tutti.
«A più riprese, nei giorni scorsi, a nome delle istituzioni cittadine e del Prefetto, la polizia ha assicurato agli abitanti del campo che sarebbe stata trovata una soluzione abitativa per tutti e che i nuclei familiari non sarebbero stati smembrati» denunciano i volontari del Naga che hanno assistito alla schedatura dei nuclei familiari e hanno ascoltato le rassicurazioni del vice questore di turno.
E, invece, «quattro famiglie hanno trovato, ieri, sistemazione presso la Casa della carità, gli altri quelli che sono rimasti si sono trovati di fronte alle ruspe e a niente altro» dichiarano i referenti del Gruppo di Medicina di Strada del Naga. «Per le altre famiglie la soluzione proposta dal Comune è stata la solita: dividerle, mettendo donne e bambini nei centri di accoglienza e lasciando gli uomini per strada. Una proposta chiaramente inaccettabile: le persone della stessa famiglia non vogliono vivere divise e temono l’allontanamento dei figli» concludono i referenti del Naga che hanno seguito l’intera vicenda.
Ancora una volta le oltre 150 persone che vivevano a Bacula si trovano a vagare per la città, in cerca di un posto dove stare, dopo essere stati illusi con false promesse, senza alcun rispetto per la loro dignità e per i loro bisogni vitali.
Ancora una volta si riafferma il cosiddetto "modello Milano", che si vuole addirittura proporre alle altre città italiane quale buona prassi di gestione: soluzioni apparenti, decise senza il coinvolgimento delle persone direttamente interessate e delle realtà che si muovono sul territorio, ad esclusione di alcune associazioni che si propongono per gestire i campi comunali. Ancora una volta non sono stati proposti accessi allargati a percorsi di inserimento lavorativo e abitativo.
Nei giorni scorsi il Naga, insieme ad altre associazioni, con un atto di diffida e messa in mora ha chiesto il rispetto delle Prescrizioni delle Nazioni Unite in materia di sgomberi forzati e della Raccomandazione 2005 adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che stabiliscono garanzie precise e cogenti a carico delle istituzioni pubbliche nel caso di sgomberi forzati, prime fra tutte la predisposizione di adeguate alternative abitative per i nuclei familiari, e la garanzia della vita familiare e dei diritti fondamentali delle persone. Con lo sgombero di Bacula queste norme sono state, come al solito, violate. Nei prossimi giorni il Naga valuterà le azioni da intraprendere di fronte a questo caso di violazione dei diritti umani. Il Naga continuerà comunque a portare assistenza nelle aree dismesse della città e ribadisce, in opposizione alla retorica istituzionale che solo finge di trovare soluzioni, la sua contrarietà alla politica degli sgomberi effettuati oltretutto senza alternative abitative condivise, accettabili e non forzate.
Il 30 marzo il ministro dell'Interno Maroni aveva proprio parlato di parlato di “Milano come modello di integrazione”. Secondo il Ministro Maroni: “Questa città può diventare un esempio da esportare nel resto d'Italia [...] Si smantellano le baraccopoli abusive, quindi si costruiscono campi attrezzati a autorizzati [...] Noi abbiamo messo a disposizione del prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, dieci milioni di euro affinché, siglando un protocollo con Milano e gli altri Comuni coinvolti, si smantellino tutti i campi rom abusivi e si creino nuove strutture attrezzate. Chi le abiterà dovrà pagare luce, acqua e gas come fanno gli altri milanesi. Se ci sarà questo protocollo daremo il denaro, ecco la condizione. Perché noi non facciamo beneficenza. Sono soldi che servono per demolire il degrado dei campi nomadi attuali e realizzare campi attrezzati. Dove? Si deciderà con prefetto e Comune”.
2 commenti:
Domani su Mahalla la seconda lettera (in 2 settimane) di Amnesty International sul caso.
grazie Fabrizio
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