Stela Anton è rumena, rom, ha 65 anni, e chiedeva l’elemosina a un crocevia di Como. Nel 2008, il sindaco della città, Stefano Bruni, aveva emesso, in accordo col prefetto, una severa ordinanza contro l’accattonaggio per la tutela del “decoro e della dignità cittadini”. Il Corriere della Sera del 12 settembre 2008 annunciava il provvedimento sotto il titolo Tolleranza zero contro mendicanti e clochard: multe da 25 a 500 euro e confisca delle elemosine.
Alcuni mesi dopo, in gennaio, Stela viene sorpresa a mendicare da due vigili urbani. Caricata sull’auto della polizia municipale non è condotta negli uffici per le procedure di rito, ma portata verso la montagna, a Civiglio. Qui uno dei due, Francesco Cibelli, la costringe a togliersi scarpe e calze e a tornare in città a piedi nudi nella neve. Alcuni mesi dopo, in aprile, una lettera anonima indirizzata al Tribunale di Como denunciava dettagliatamente i fatti. Gli investigatori chiesero e ottennero tutte le relazioni di servizio inerenti l’attività anti-accattonaggio. Così, insieme alla dichiarazione di totale disponibilità alla collaborazione pervenuta ai pm dai vertici della Polizia Municipale giunse, tardiva, la relazione sulle violenze commesse ai danni di Stela Anton. Era stesa da Salvatore Canavacciolo, uno dei due vigili coinvolti; quello, pare, che non aveva condiviso gli atteggiamenti persecutori del collega.
Il fatto diventa pubblico solo la settimana scorsa. Il sindaco di Como, Stefano Bruni, di Forza Italia condanna al TG3 l’accaduto che, tuttavia, gli pare essere “spia di un malessere”. La Provincia, il quotidiano locale, in una serie di ottimi articoli nei quali dà voce (raramente accade) anche alla signora rumena vittima del sequestro (le accuse della magistratura ai vigili sono di sequestro di persona e violenza privata), associa il fatto a un altro episodio, gravissimo, del 2006. Sempre l’amministrazione Bruni, sempre i vigili urbani. Ai quali il sindaco aveva chiesto l’attivazione di una squadra anti graffitari; colpire i ragazzini che disegnano sui muri deve essere uno sport molto eccitante se il 29 marzo 2006 uno di loro, Rumesh Rajgama Achrige, dopo un inseguimento, viene colpito alla testa da un colpo partito dalla pistola dell’agente Marco Dianati che sta spingendolo contro il muro con l’arma puntata alla nuca. Le ferite sono gravi e invalidanti. Il sindaco Bruni parlò di tragico incidente e solidarizzò con l’agente.
Troppo spesso il corpo dei Vigili Urbani, in balia di decisioni che le varie amministrazioni comunali adottano in totale autonomia, sta purtroppo assumendo connotazioni da ‘ronde armate’. Basti pensare al violento pestaggio compiuto dai vigili di Parma contro un’inerme ragazzo ghanese e, nella stessa città, alla donna nigeriana fotografata seminuda a terra, abbandonata come uno straccio, sempre nella sede del comando della polizia municipale; o alle selvagge cacce all’immigrato che si sono scatenate, dopo le ordinanze ‘antiborsoni’, in varie città d’Italia contro i venditori ambulanti. Dilaga una cultura della violenza che si autolegittima e che viene alimentata da vari governi locali e da quello nazionale in nome della sicurezza. E, con gli stessi scopi securitari, oltre alle ronde padane, si affacciano alla ribalta quelle della Guardia Nazionale Italiana, con simboli e ispirazioni dichiaratamente nazionalisti, degni della Guardia Nazionale Repubblicana, nata negli anni Quaranta, nell’Italia della Repubblica fascista di Salò.
Furono proprio uomini della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) di Suzzara che nel febbraio del 1943 costrinsero Eler Valentina Giubertoni, una giovane antifascista di Gonzaga, già sottoposta a pesanti sevizie dalla Brigata nera del suo paese, a camminare a piedi scalzi nella neve da Suzzara a Mantova. La storia di Eler è la piccola storia, gloriosa e triste, di una ragazza che non parlò mai sotto tortura, che dedicò ogni sua energia al lavoro nei campi e alla lotta antifascista e che morì, ventiquattrenne, nell’agosto del 1945, dopo la Liberazione: il corpo e la psiche segnati irreversibilmente dalla violenza e dall’arbitrio di chi a ogni costo voleva imporre agli italiani l’ordine dei fascisti e dei loro alleati nazisti. Ma quegli aguzzini, ci siamo detti tante volte, erano nati e cresciuti nel clima di una dittatura nata all’insegna dello squadrismo e dell’umiliazione, se non della soppressione fisica, di ogni forma di dissenso. I vigili di Como, quelli di Parma e di molte altre città sono nati e cresciuti, invece, in un’Italia democratica e antifascista. Da dove sgorga, allora, il sadismo col quale infieriscono su vittime inermi che trasgrediscono a banali regole di “decoro urbano” che, ad esempio, molti costruttori e alcuni commercianti violano in modo ben più grave? Auspichiamo che ogni legge di tutela dei diritti individuali, ogni norma antidiscriminazione, ogni possibilità di risarcimento delle vittime, vengano applicati contro questi sceriffi (e contro i loro mandanti) che seminano paura e generano spirali di violenza. Ma serve anche lavorare più a fondo per arginare il contagio di una incultura dei diritti e della dignità individuale. Curzio Malaparte, di fronte alla violenza e al disprezzo dei nazisti contro gli ebrei che morivano di stenti nei ghetti, usò espressioni che dovrebbero ancora farci riflettere: “Una misteriosa paura degli inermi” induce il “furor d’abiezione” dei nazisti: da dove nasce oggi questa paura dei più deboli in chi avrebbe il compito di proteggerli? di Maria Bacchi, newsletter n. 43, Articolo 3, Osservatorio sulle discriminazioni
1 commento:
Vorrei inviare la mia solidarieta' alla signora Anton e a tutte le altre vittime degli "sceriffi". ciao. cla-
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