Metti assieme un giornalista e un poliziotto a confronto sul tema del razzismo. Ne esce il ritratto impietoso di un italiano medio impreparato a tenere il passo con i tempi. Troppi luoghi comuni, troppi «campanili», tanta paura dell'altro e soprattutto ignoranza.
Ne ha parlato Gian Antonio Stella, giornalista di lungo corso e autore di numerosi best seller tra cui l'ultimo «Negri, froci, giudei & Co. L'eterna guerra contro l'altro», intervenuto martedì sera al teatro Alle Stimate con Giampaolo Trevisi, poliziotto-scrittore, capo della squadra mobile, entrambi ospiti delle associazioni Vivi in Europa e Madri insieme per una Verona civile.
Stella ha passato in rassegna tutte le forme di razzismo: dal terrore dei diversi per colore della pelle e provenienza alle pulizie etniche tra africani e balcanici, dalla costruzione dell'odio basata sulla riscrittura del passato fino ai gruppi allucinanti di Facebook.
«Il punto di partenza è l'insicurezza delle persone. Più sono insicure, più diventano aggressive» ha detto. «Poi c'è il campanile: già i Veneziani si consideravano al centro del mondo. Chi stava sulla terraferma era un campagnolo e chi viveva al di là di questi era "foresto". A sud del Po c'erano i napoletani e i mori. Al di là dell'Adriatico c'erano i s-ciavi, oggi slavi. Insomma, il diverso era già bollato». E ha ricordato i veneti, oggi uniti e compatti. «Nel Medioevo si macellarono letteralmente fra di loro. Ezzelino da Romano arrivò a far mutilare, accecare e castrare i bambini trevigiani e friulani».
Per Stella il razzismo è spesso costruito su aneddoti ridicoli che però hanno alimentato le idee più assurde. Come quelle fasciste dei neri d'Africa da pulire perché scuri, quindi sporchi, agli ebrei riconoscibili dall'orecchio sinistro o perché avevano mani con sei dita... «Sciocchezze, ma poi si è agito come sappiamo».
E mette in guardia dalla memoria corta. «Pensiamo al milione e mezzo di armeni trucidati dai turchi solo perché cristiani. Non servì a molto: 25 anni più tardi Hitler fece la stessa cosa con il quadruplo delle persone. E pensiamo a Karadzic, un medico di provincia che inventò la superiorità serba. Si iniziò con le risate nei bar di Belgrado, si finì con il massacro di Srebrenica e il genocidio di Sarajevo».
E gli italiani? Non fanno queste cose. Italiani brava gente... «Mica tanto. Gheddafi, uomo sgradevole, ha ragione quando parla dei massacri dell'esercito di occupazione italiano in Libia e in Etiopia. Per non parlare delle leggi razziali del '38, o di un Gentilini, già sindaco di Treviso, che voleva eliminare "i zingari"».
La parola è passata poi a Giampaolo Trevisi, per il quale è tempo superare il termine tolleranza. «Meglio parlare di integrazione. Tollerare vuol dire sopportare una persona che si ritiene inferiore. Io non voglio sopportare nessuno: voglio viverci assieme e se possibile anche bene».
E Stella ribatte: «La storia dell'immigrazione italiana nel mondo dice che i nostri hanno creato problemi solo quando si sono concentrati; quando si sono sparpagliati tutto è andato bene. Così dovremmo fare con gli immigrati: sparpagliarli il più possibile sul territorio privilegiando la politica delle quote. Ma per fare questo occorre prima abbattere il razzismo. Gli antirazzisti finora sono stati troppo timidi».
E a chi dice che meno immigrati vuol dire meno reati Stella risponde: «Mi sta anche bene. Ma allora meno immigrati vuol dire anche "meno fatturati". Gli immigrati sono il 7% della popolazione ma producono il 10% della ricchezza nazionale. Vuol dire pure "meno fratturati": sopportano il 17% degli infortuni sul lavoro. E vuol dire anche "meno badanti": se non ci fossero le badanti, solo in Veneto ci vorrebbero almeno 30 mila posti letto in più per anziani non autosufficienti». di Alessandro Azzoni
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