Il cinema ha già mostrato più volte di poter riaccendere il ricordo d’importanti pagine storiche apparentemente destinate all’oblio. Ma quando un regista decide di affrontare un tema come lo sterminio dei Sinti e dei Rom in Europa durante la Seconda guerra mondiale, l’impegno documentario non basta. Occorre anche una conoscenza profonda della cultura sinta e rom assieme a molto talento, tanto è forte il rischio di scivolare presto nella caricatura o in un sensazionalismo grossolano.
A tentare l’impresa di rievocare il "genocidio fantasma" che costò la vita in tutt’Europa a un numero di rom e sinti compreso fra i 250 mila e il mezzo milione, fra cui tanti bambini, è adesso il cineasta Tony Gatlif, nel film intitolato Liberté, appena uscito in Francia. Un’opera che segue la scia di tanti altri film, talora premiati, che Gatlif aveva già dedicato alla sua cultura, di cui è egli discendente per via materna. L’esito è artisticamente felice, spesso sorprendente, poetico molto più che commovente. E non manca già chi scommette che Liberté, considerato dalla critica transalpina come il miglior film di Gatlif, farà strada al di là della stessa Francia, dov’è pure ambientato l’intreccio.
Nel 1943, sotto l’occupazione nazista, una carovana di gitani giunge in un piccolo villaggio rurale. Un luogo dove il corteo variopinto aveva già l’abitudine di recarsi per animare le ballate popolari durante la vendemmia, tentando al contempo di piazzare bestie da tiro e smerciare rigatteria varia. Ma il clima è cambiato e la carovana, per via delle ordinanze emanate dal governo collaborazionista di Vichy, è ormai assediata da insidie e sospetti.
Si tratta del riflesso più visibile delle manovre tedesche d’esecuzione finale già in vista, ma di cui i gitani non avvertono ancora la portata. Fedeli a una certa rettitudine morale intrisa dei valori repubblicani di uguaglianza e libertà, il sindaco e l’istitutrice del villaggio diventano benefattori coraggiosi dei visitatori in costante pericolo. L’istitutrice, che nell’ombra offre pure sostegno logistico ai partigiani, cerca di scolarizzare i bambini. Il sindaco, con un audace artificio amministrativo, riuscirà invece in un primo tempo a salvare i gitani dalla deportazione, ordinata dal presidio tedesco e accelerata dallo zelo di meschini notabili locali collaborazionisti.
Nonostante questo salvataggio, la carovana non sfuggirà per molto al cappio inesorabile degli sterminatori. La destinazione finale sarà la stessa degli ebrei: i lager dell’Est, in particolare Auschwitz-Birkenau, dove l’ultima tappa per migliaia di Sinti e di Rom fu rappresentata dalle baracche del settore II E, denominato pure «campo per famiglie zingare».
Liberté è per natura un film drammatico, ma a spiazzare ben presto lo spettatore è lo sguardo carico di poesia scelto dal regista. Poesia nella descrizione dei personaggi gitani, con la loro umanità e religiosità, a cominciare dall’enigmatico e inventivo Taloche. Poesia ancora nella delicata evocazione, in una scena d’antologia, del genocidio ebreo già in corso. Poesia pure nei dettagli stilistici, come la scelta di far parlare la carovana nella lingua gitana, a costo di costringere lo spettatore ai sottotitoli.
Non mancano scene brutali, soprattutto quella dell’assassinio di Taloche. Ma più spesso la violenza resta una cappa incombente sotto la quale brillano in primo piano i colori di una cultura che non manca a tratti di affascinare ancora i paesani, pur già profondamente contagiati dal razzismo montante. Il film s’ispira a fatti e personaggi realmente esistiti, sia pure rivisitati e ricombinati con una buona dose di libertà.
Gatlif ha spiegato di voler rompere il muro di silenzio sul genocidio che sopravvive quasi inalterato nelle stesse comunità rom e sinte: «Questa storia non è raccontata, ma viene taciuta. I gitani sono fieri e tutto ciò è duro da ammettere, è umiliante. Un uomo violentato non racconta il suo stupro. La fierezza impedisce di raccontare». Il regista ha anche il merito di aver personalmente composto il suggestivo tema musicale del film. In un’Europa dove i Rom e i Sinti rappresentano oggi la prima minoranza etnica e in cui non mancano pagine scure legate a un’integrazione che resta difficile, Liberté può divenire, non solo in Francia, un’occasione preziosa di riflessione. Anche perché il film è molto più carico d’interrogativi incalzanti che d’ammonimenti prevedibili. da Avvenire
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