Domenica undici giugno il Papa Benedetto XVI ha ricevuto in udienza 2000 sinti, rom, manouche, kalè e jenisch provenienti da tutta l'Europa. Per tutti hanno parlato tre persone: Pamela Suffer, Ceija Stojka (in foto) e Carlo Mikic. Queste le loro testimonianze
La testimonianza di Pamela Suffer
E’ una donna cattolica italiana appartenente alla minoranza dei sinti italiani. Giovane mamma, testimonia l’attaccamento ai piccoli e alla fede del suo popolo
Beatissimo Padre, La ringrazio per questo invito eccezionale!
Mi chiamo Pamela, ho 28 anni sono italiana e appartengo alla comunità dei Sinti. La mia famiglia è in Italia da molti secoli. Oggi ho anch’io una mia famiglia, un marito e due bellissimi bimbi.
E’ sempre a loro che penso, al loro futuro, a come cresceranno e a come vivranno.
I bambini sono la speranza delle nostre famiglie e del nostro popolo, ma sono anche molto fragili.
Vorrei per i miei figli e per tutti i bambini rom e sinti un futuro di pace e serenità, in cui possano crescere e vivere insieme agli altri bambini d’Europa e del mondo senza essere esclusi e discriminati. Anche se ho sempre vissuto in un campo, mi ritengo fortunata, ho potuto studiare e sono cittadina, quindi ho documenti e diritti. Quando sono in città nessuno si accorge che sono sinta. E succede anche che qualcuno mi parla male de “gli zingari”!
Santo Padre, sono stata educata alla fede dai miei genitori e ho fatto il catechismo e la comunione con i miei amici della Comunità di Sant’Egidio. Sinceramente davanti al Signore Gesù non mi sono mai sentita diversa, estranea. Io so che l’uomo guarda l’apparenza, ma il Signore guarda il cuore e Lei oggi ce lo dimostra.
So che il beato Zeffirino, un gitano come noi, è riuscito a vivere una vita buona, pur essendo un uomo semplice e mite: credo che dobbiamo ancora imparare tanto da lui.
Padre Santo, voglio ringraziarla per questa occasione con un nostro antico augurio: “Kon lacipè kerel, arakhel les o Del” (Colui che fa del bene, è protetto da Dio) Grazie
La testimonianza di Ceija Stojka
La Sig.ra Stojka appartiene ad una famiglia di rom austriaci. E’ superstite dei campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau e Bergen-Belsen.
Santo Padre! Mi chiamo Ceija Stojka.
Quando sono nata in Austria la mia famiglia contava più di 200 persone. Solo sei di noi sono sopravissuti alla guerra e allo sterminio. Quando avevo 9 anni fui deportata con la mia famiglia prima ad Auschwitz, poi a Ravensbrück ed a Bergen-Belsen.
Ero bambina e dovevo vedere morire altri bambini, anziani, donne, uomini; e vivevo fra i morti e i quasi morti nei campi. E mi chiedevo: perché? Che cosa abbiamo fatto di male? Sento gli strilli delle SS, vedo le donne bionde, le „Aufseherinnen“ (guardie/sorveglianti) con i loro cani grandi che ci calpestavano, sento ancora l´odore dei corpi bruciati.
Come posso vivere con questi ricordi?! Come posso dimenticare quello che abbiamo vissuto?!
Non è possibile dimenticarlo! E l’Europa non deve dimenticarlo!
Oggi Auschwitz e i campi di concentramento si sono addormentati, e non si dovranno mai più svegliare. Ho paura però, che Auschwitz stia solo dormendo
Per dire la verità: non vedo un futuro per i Rom. L’antigitanismo e le minacce in Ungheria, ma anche in Italia ed in tanti altri posti mi preoccupano molto e mi rendono triste triste!
Ma vorrei dire che i Rom sono i fiori in questo mondo grigio. Hanno bisogno di spazio e di aria per respirare.
Se il mondo non cambia adesso, se il mondo non apre porte e finestre, se non costruisce la pace – la pace vera! – affinché i miei pronipoti (il quarto nascerà fra alcuni mesi) abbiano una chance a vivere in questo mondo, allora non so spiegarmi il perché sono sopravissuta ad Auschwitz, Bergen-Belsen e Ravensbrück.
Oggi vedo qui riuniti tante sorelle e fratelli rom e sinti da tutta Europa insieme al Papa: questa è un’immagine di gioia e di speranza per il futuro! Grazie Santità!
La testimonianza di Carlo Mikic
Giovane appartenente alla minoranza dei rom rudari. Pur essendo cresciuto in un campo nomadi, ha studiato e testimonia la voglia di un futuro bello che hanno i giovani
Santo Padre, sono molto contento ed emozionato di essere qui oggi con Lei e di prendere la parola!
Mi chiamo Carlo, ho 18 anni e sono un rom e un cittadino pienamente europeo: ho genitori venuti dalla Jugoslavia e sono nato e ho sempre vissuto a Roma.
Sono cresciuto in quelli che chiamano campi nomadi e non e’ stato semplice.
Quando sei un bambino che vive in un campo, a scuola non sei considerato come tutti gli altri. Quando cresci e cerchi un lavoro e nei documenti vedono nell’indirizzo “campo nomadi”, ti dicono no grazie.
Lo so ci sono dei rom che sbagliano, che si comportano male, ma la responsabilità e’ sempre personale e la colpa non e’ mai di un’etnia o di un popolo.
Noi rom, soprattutto giovani, pensiamo al futuro e sogniamo di poter studiare, lavorare, abitare in una casa, di avere dei documenti.
Sembrano cose banali e scontate, ma per troppi zingari non lo sono ancora.
Io sono nato a Roma, anche se purtroppo non sono ancora cittadino italiano, qui ho studiato, ho tanti amici, e qui sto cercando un lavoro, vorrei mettere su famiglia e vivere la mia vita.
Quando penso al futuro, penso a città e paesi dove ci sia posto anche per noi, a pieno titolo, come cittadini come tutti gli altri, non come un popolo da isolare e di cui avere paura.
Credo che tutti abbiamo la responsabilità di costruire questo futuro nuovo: rom e gage’ insieme!
Ringrazio la Chiesa che insegna a tutti a essere fratelli e sorelle e il Papa che oggi ci ha voluto qui con lui a San Pietro!
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