giovedì 29 dicembre 2011

Storie di ordinaria follia

Stultifera navis, la nave dei folli, battelli che trasportano al proprio interno i folli. Sono queste le modalità con le quali le municipalità dell’alto medioevo colpiscono i lebbrosi, i folli e tutti coloro che sono considerati potenziali untori per la civiltà.

Un concetto quello dell’esclusione dell’anormalità, definito anche come metodo della lebbra, che produce una logica segregazionista di tipo binario: folle/ragionevole, chi non rientra in determinati parametri, chi non è conforme al dispiegamento di una Norma viene espulso.

Nel secolo XVII prendono forma le grandi case d’internamento, nel 1656 avviene la fondazione dell’Hopital General a Parigi, destinato ai poveri, ai vagabondi, a tutti coloro che rifiutano un preciso ordine economico e sociale. Infatti l’internamento è una precisa creazione istituzionale del XVII secolo, intesa sia come misura economica, che come protezione sociale, ossia la follia viene percepita nell’orizzonte sociale della povertà, dell’incapacità al lavoro, dell’impossibilità di integrarsi al gruppo.

Tutti gli oziosi, i vagabondi, i poveri coloro che rappresentano il segno di contraddizione di un preciso ordine economico vengono esclusi/inclusi in nome di una Ragione Assoluta, di una precisa Ideologia (M. Foucault, Storia della Follia.

Nel secolo XVIII si parla di inclusione dell’anormalità, il metodo della peste, si circoscrive un territorio e lo si chiude. All’interno di questo territorio avviene un indagine minuziosa, di individuazione e osservazione ravvicinata per dividere i malati dai sani.

Trattasi di un tentativo di massimizzare la salute, la longevità, la vita degli individui e ‘normalizzare’ ogni individuo, costatando se è conforme alla regola, alla norma di salute stabilita. È l’arte di governare, un dispositivo finalizzato alla normalizzazione delle persone, è un potere di normalizzazione (M. Foucault, Gli anormali).

La stessa psichiatria ai suoi albori non si configura come una scienza medica, ma come una branca specializzata dell’igiene pubblica, si è istituzionalizzata come campo particolare della protezione sociale.

Facciamo un salto temporale, intorno agli anni ’60-‘70 del ‘900, Franco Basaglia fautore dell’antipsichiatria e dell’umanizzazione della medicina, ricordiamo a tal proposito la famosa legge 180, che sancisce la soppressione dei manicomi e altre idee importanti.

Nel 2011, ad Orta Nova, il Centro Salute Mentale mostra tutte le sue difficoltà. Il personale è composto da quattro infermieri, un medico psichiatra e due assistenti sociali, di cui uno a tempo pieno, mentre l’altro è presente al centro una volta a settimana, a fronte di 900/1000 persone abituali che hanno bisogno di assistenza sanitaria. Piuttosto di parlarvi delle difficoltà operative e gestionali del Centro, evidenziate dall’ottimo articolo di Savino Sciusco (Il mattino di Foggia), vorrei mettere in risalto due aspetti, che ritengo siano spettrali per una società che si dice ‘civile’.

Le istituzioni non si prendono cura dei pazienti psichiatrici, fondamentalmente per due motivi:
- perché non sono una minaccia per la sicurezza sociale, ossia non compiono atti per i quali bisogna intervenire (come succede per i tossicodipendenti);
- non vengono considerati come forza produttiva, pertanto sono inutili al soddisfacimento dei bisogni economico-produttivi di una comunità.

Per essere riconosciuti socialmente dovrebbero essere pericolosi, altrimenti non sono istituzionalmente riconosciuti, sono extra-istituzionali, e non rientrano in una prospettiva di cura istituzionale perché non sono produttivi, la loro forza lavoro non può essere impiegata. Le persone tra l’altro ricevono pochissimi euro, con i quali è impossibile vivere una vita degna di essere tale.

Esclusione ‘normalizzata’ della diversità, inclusa in un vuoto istituzionale inteso come autentica pratica dell’istituzione e non come semplice dimenticanza. Anche dimenticarsi di qualcuno è un atto violento che potrebbe sottendere una volontà di non prendersi cura di alcune persone.

Devo ringraziare la dott.ssa Assunta Mancini, assistente sociale del CSM che assieme alle altre persone del personale medico e paramedico cercano di garantire quel sacrosanto diritto all’assistenza sanitaria, per questa digressione su una problematica messa ai margini o derubricata dalle priorità istituzionali e politiche.

La domanda che deve posarsi nelle nostre coscienze, nei nostri pensieri, nelle nostre riflessioni in quanto cittadini di una comunità, si fa critica, drammatica e investe il nostro senso di umanità: chi sono i folli? Noi o quelli che riteniamo tali? di Arturo Gianluca Di Giovine

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