In questi giorni, riflettevo sulla
natura del pregiudizio e sulla sua diabolica capacità di asservire a
sé l’animo della gente. I rom rapiscono i bambini e sono sporchi,
i tunisini spacciano, le nigeriane si prostituiscono e i gagè sono
gente cattiva contro cui bisogna combattere. Per chi non fosse
pratico della questione, l’ultima parola che ho usato, gagè, non è
altro che il modo con cui i rom etichettano i non-rom, cioè
l’appellativo generico con cui ci chiamano, italiani, tedeschi,
francesi o russi, poco importa.
Insomma, sia noi che i rom compiamo
delle indebite generalizzazioni cognitive, dividendo il mondo
circostante, cangiante e vario, in due sistemi contrapposti e in
lotta fra loro. Che lo si voglia o meno, il modo di pensare
dell’individuo è fortemente radicato nella comunità di
appartenenza, a tal punto che anche il ragazzo più ribelle e
anticonformista si adagia presto o tardi alle rassicuranti certezze
della coscienza collettiva, se non vuole essere catalogato come
“strano” o “non troppo giusto”. Ecco perché, ad esempio, è
molto difficile che i rom e i gagè stringano un rapporto vero e
sincero tra di loro. La diffidenza e la scarsa fiducia che aleggia
attorno a questo scambio culturale fa sì che molto spesso si erigano
barriere laddove la natura ha previsto ponti, odio laddove Dio ha
creato amore.
A voler esaminare la questione con
realismo, non si può sfuggire da una constatazione pessimistica:
l’unico elemento che la forma mentis rom sembra possedere in comune
con quella dei gagè è il pregiudizio. Esso risulta estremamente
difficile da scalzare, possedendo un grado di verità apparentemente
altissimo. Alcuni studiosi, tra cui Alessandro Dal Lago e Roberto
Escobar hanno creato il termine “tautologia della paura” per
identificare in modo univoco il grado di certezza su cui sembra
fondarsi il pregiudizio. Una tautologia in linguaggio
logico-matematico è una verità necessaria, un’affermazione che è
sempre vera qualunque sia il contesto nel quale la collochiamo.
2+2=4, per intenderci. O la somma degli angoli interni di un
qualsivoglia triangolo è uguale a 180 gradi. Nella nostra vita
scolastica abbiamo spesso avuto a che fare con le tautologie e ne
siamo sempre usciti indenni, poiché esse rivestivano solo l’aspetto
di leggi da apprendere per prendere un bel voto in matematica o
geometria. Le tautologie sociali, del tipo “i rom puzzano e
derubano la gente”, non ci garantiscono un bel voto. Anzi, esse
squalificano la nostra coscienza, perché prendono il sopravvento
sulla libertà della mente individuale e la conducono a considerare
assolutamente valide affermazioni prive di fondamento. Prive di
fondamento nella misura in cui le generalizziamo e le eleggiamo a
parametri con cui valutare determinate persone o popoli.
Le tautologie sociali hanno un’origine
meno nobile rispetto a quelle logico-matematiche. Esse nascono dalla
paura e si coltivano e propagano con la stessa velocità con cui
etichettiamo un individuo ancora prima di conoscerlo. Il mancato
incontro con l’Altro, con la sua irripetibile unicità, porta a
formulare “tipizzazioni” che danneggiano il mondo, perché lo
privano del fascino dell’ignoto e della bellezza delle differenze.
Le tautologie sociali, dunque, non producono conoscenza, ma
l’annullano.
Dietro il pregiudizio si nasconde solo
lo sguardo codardo di chi sfugge all’incontro con l’Altro, per
paura di riconoscerlo troppo simile a sé e di veder crollare, come
un castello di sabbia, tutte le proprie rassicuranti certezze. La
tautologia della paura limita la Vita e impoverisce la multiformità
delle nostre esperienze, rendendoci schiavi di un’appartenenza come
di una circostanza. di Stefano Airoldi
2 commenti:
http://letterariamenteblog.wordpress.com/2012/12/23/lamore-in-noi-e-natale/
...Visto che ci ritroviamo sempre a parlare di problemi sociali, voglio regalarvi anche un po' di "benessere esistenziale". Buon Natale!!!!
Grazie Alessandro, contraccambio di cuore a nome di tutto lo staff di U Velto. Auguri per un 2013 proficuo!!!
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