sono una cittadina
italiana e vivo nel cosiddetto “campo nomadi” di Mantova, in
Lombardia.
Quando sono nata,
settantuno anni fa, la mia famiglia era internata nel campo di
concentramento di Prignano sulla Secchia, in Provincia di Modena. Un
campo di concentramento istituito dalla dittatura fascista del Regno
d'Italia solo per noi sinti, perchè eravamo ritenuti una “razza
inferiore” che rischiava di “infettare gli italiani”. Dopo l'8
settembre 1943 la mia famiglia è scappata ed è riuscita a
nascondersi e a non subire la deportazione nei campi di sterminio.
Vivo sola e secondo quanto
previsto dalla Sua proposta di legge regionale, non avendo figli in
età scolare, dovrei dopo tre mesi di permanenza nel mio luogo di
residenza, appunto il “campo nomadi” di Mantova, andarmene perchè
secondo Lei io sono “nomade”.
Da quando mi sono sposata
ho sempre vissuto nel mantovano, prima giravo con le giostre. Poi con
la crisi economica degli Anni Settanta ho dovuto fermarmi a Mantova,
appunto nel “campo nomadi”. Con i miei figli ho cercato di
costruirmi un percorso abitativo autonomo, fuori dal cosiddetto
“campo nomadi”, ma l'Amministrazione comunale di Mantova ci
osteggia.
Ora chiedo a Lei che
dovrebbe rappresentare tutti i bisogni di noi lombardi, io dove
dovrei andare? Dovrei andare in strada con la mia casa, la casa
mobile, per essere cacciata ogni giorno?
Attendo una Sua risposta,
cordialmente Marsilia Del Bar
P.S.
I “nomadi” sono
un'invenzione razzista, noi siamo sinti italiani.
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