giovedì 30 ottobre 2008

Furio Colombo (PD): “Quando la roulotte si ferma, di notte, i vigili picchiano sulla roulotte e spaventano i bambini”

Attacco nell'Aula della Camera di Furio Colombo (Pd) in difesa di una famiglia sinta. “Mentre noi stiamo parlando - ha detto Colombo - una roulotte con una famiglia, madre, padre e cinque figli, viene tenuta dal sindaco di Chiari, il senatore leghista Sandro Mazzatorta, in continuo movimento. Si tratta di cittadini italiani sinti. Quando la roulotte si ferma, di notte, i vigili picchiano sulla roulotte e spaventano i bambini”.
La famiglia, fino al 2004, era legalmente residente in un'area sulla quale la precedente amministrazione comunale (nel 2001) utilizzando un finanziamento regionale aveva anche collocato cinque case. Ma, nel 2006, l'attuale amministrazione ha consegnato l’ingiunzione di sgombero dal campo a questa e ad altre quattro famiglie e il 25 settembre del 2007 il sindaco di Chiari ha ordinato la cancellazione della residenza.
La Lega non tarda a rispondere, dichiarando che sulla vicenda Colombo sta mentendo. "Non è vero che a Chiari i vigili vanno a picchiare la gente. Noi chiediamo legalità". Claudio D'Amico (Lega) sostiene "che tre famiglie risedevano in un piccolo campo nomadi, in modo abusivo, e quando il neo-sindaco gli ha chiesto di regolarizzare la situazione gli hanno creato problemi".
La famiglia, dice D'Amico, "non ha rispettato" il nuovo regolamento comunale per il funzionamento del campo nomadi e l'amministrazione "li ha sfrattati. Loro hanno fatto ricorso al Tar che ha dato ragione all'amministrazione. L'amministrazione ha offerto loro tre case che sono state rifiutate. Hanno chiesto qualcosa per lasciare il campo. L'amministrazione gli ha dato 18mila euro a fondo perduto ma ora quando tornano in luoghi non consentiti vengono allontanati, non con i bastoni, non con la forza, ma in modo molto fermo".
Purtroppo è la Lega Nord che dice bugie perché le famiglie non erano tre ma erano nove (quattro famiglie allargate). Il Comune ha offerto tre case che potevano essere utilizzate da meno della metà dei componenti delle stesse famiglie. Le famiglie hanno accettato i 18mila euro (due mila euro a famiglia) dopo pressioni non indifferenti attuate dal Comune e dalla Prefettura di Brescia. Sucar Drom, insieme alle famiglie e ai volontari di Chiari, ha presentato l’anno scorso una denuncia alla Procura della Repubblica di Brescia. Per i lettori che volessero approfondire, invitiamo alla visita nello spazio web di Arturo Zinelli.

Oshadogan, il razzismo esiste

Oshadogan di nome fa Joseph Dayo. E Dayo in nigeriano sta per “sii felice”. Un nome e uno stato d’animo, quello del difensore centrale della Virtus Lanciano. Papà nigeriano e mamma italiana, lui è stato il primo calciatore di colore a vestire la maglia azzurra, nel 1996. E’ nato a Genova, ma è pisano a tutti gli effetti. E durante la carriera è stato protagonista di un braccio di ferro con la Ternana, la squadra contro la quale giocherà domenica.
Oshadogan, dopo una stagione in serie B chiusa con la retrocessione dei rossoverdi, è stato messo fuori rosa nell’estate del 2006, insieme ad altri giocatori.
Sotto contratto, ma impossibilitato ad allenarsi con i compagni per ordine della società. Una vicenda di mobbing finita nelle mani dei giudici della Figc che hanno dato ragione al calciatore. L’ex tecnico della Ternana Raggi arrivò ad ironizzare sul conto di Oshadogan, dicendo che era un buon golfista. E lui si presentò all’allenamento in tenuta da golf con tanto di mazza al seguito. A distanza di tempo, però, Joseph Dayo non serba rancore. E, alla vigilia della sfida del Biondi, ricorda l’esperienza rossoverde senza alimentare veleni.
Oshadogan, come è arrivato a Terni?
«Conoscevo mister Sala che mi ha voluto. Ma è stata una stagione (2005-2006 in serie B, ndr) con alti e bassi. Anzi, più bassi che alti. Un casino, un campionato nato male e finito peggio».
Nell’estate del 2006, dopo la retrocessione, l’hanno messo fuori rosa.
«Senza motivo, dalla sera al mattino».
E lei si è rivolto alla giustizia sportiva.
«Che mi ha dato ragione su ogni fronte. Non porto rancore, perché tutti mi hanno aiutato. Anche la gente di Terni con la quale ho avuto un rapporto splendido, nonostante il braccio di ferro con la società. Da parte mia, ho solo cercato di tutelare il mio lavoro».
Con la Ternana non ha più giocato.
«No, perché ho ottenuto lo svincolo e sono andato a giocare in Polonia. Io cerco sempre di trarre l’aspetto positivo in qualsiasi esperienza. E se la Ternana non mi avesse messo fuori rosa non avrei mai avuto la possibilità di conoscere Boniek e di andare a Lodz».
Ex senza rancore, esulterà se farà gol?
«Ultimamente, sono stato all’estero e non ho ben capito questa moda di non esultare quando si fa gol a un’ex squadra. Personalmente, potrei non festeggiare solo perché con i ternani ho avuto un rapporto speciale».
E’ stato il primo calciatore di colore a vestire la maglia azzurra.
«Ma la mia emozione è stata forte perché ho indossato la casacca dell’Italia, il mio Paese. Non per il colore della pelle diverso da quello degli altri».
E quell’esperienza è entrata a far parte di un libro.
«Sì, Black Italian’s di Mauro Valeri, un sociologo della Sapienza di Roma. 39 storie di atleti di colore che nelle varie discipline sportive sono arrivati fino alla Nazionale. Tra l’altro, è diventato un libro di testo in qualche università».
Ha dovuto fare i conti con episodi di razzismo?
«Si ostenta un non razzismo che, però, nella quotidianità c’è sempre. Culturalmente, infatti, l’Italia non si identifica con il colore scuro della pelle. E’ inutile prendersi in giro, è questo il problema».
Lei ne ha sofferto?
«Il problema è tutto degli altri, non mio».
L’ultimo episodio di cui è stato protagonista?
«L’anno scorso a Pisa, la mia città. Sono andato a vedere Pisa-Spezia, una partita a rischio di ordine pubblico e quindi riservata solo ai residenti. Ho acquistato il biglietto in prevendita, esibendo un documento. Vado allo stadio con mio figlio e gli amici. Ai cancelli fanno entrare tutti, ma non il sottoscritto. I carabinieri mi chiedono: “Ma lo sa che possono entrare solo i residenti?”. Ho impiegato un po’ di tempo per far capire che sono italiano e pisano doc. Ma loro si sono fatti ingannare dal colore della mia pelle».

Il momento più bello della carriera?
«Le tre gare in Nazionale, l’esordio in serie A. E poi la panchina nella semifinale di Champions League, quando giocavo nel Monaco, contro il Chelsea. Pillole di felicità calcistica».
Il miglior allenatore che ha avuto?
«Bersellini, a Pisa, per me è stato fondamentale. Ma ho imparato tanto anche da Caso, da Capello e da Deshamps».
E il miglior presidente?
«Il mitico Romeo Anconetani. Quando ero a Pisa ha indirizzato la mia vita e la mia carriera. E’ stato importante per me».
Che cosa la fa arrabbiare in mezzo al campo?
«Odio perdere, mi fa star male. Anche perché mi affeziono alle maglie che indosso. Per me è come avvertire un senso di appartenenza».
Dicono che lei abbia un bel caratterino.
«Mi piace dire le cose in faccia. E non sopporto che qualcuno decida per me. Nel mondo del calcio, dove regna la diplomazia, le spigolature del mio carattere mi hanno creato dei problemi. Sono dell’avviso che non si può andare d’accordo con tutti».
Anche lei, come tanti calciatori, è pieno di tatuaggi.
«Ne ho cinque, di cui uno è una croce pisana con dentro i numeri che rappresentano la mia vita».
Tatuaggi, ma niente veline in passato.
«Non sono il tipo. Anche se ne ho avuto la possibilità, non ho mai frenquentato certi ambienti. Ho altri hobby: mi piace giocare a golf, suonare il violino, andare a teatro e ascoltare la musica classica. E poi...».
E poi che cosa?
«Spero di arrivare alla laurea, ce la metterò tutta».
E la Virtus Lanciano?
«E’ stata una mia sfida, credo di poterla vincere».
Non sta andando bene.
«Ho vissuto tante situazioni difficili. L’esperienza maturata in tanti anni nel mondo del calcio mi dà fiducia: ne usciremo fuori bene». di Rocco Coletti

mercoledì 29 ottobre 2008

Roma, Nicolae Romulus Mailat è stato condannato

Nicolae Romulus Mailat è l'assassino di Giovanna Reggiani (in foto), uccisa a Tor di Quinto la sera di un anno fa. La corte ha riconosciuto anche il vincolo della continuazione per i tre reati contestati, omicidio, violenza sessuale e rapina.
I giudici hanno inoltre dichiarato il rumeno in stato di interdizione legale durante la pena e ne hanno sospeso la potestà genitoriale per lo stesso periodo. In più, si legge nel dispositivo della sentenza, si ordina ''l'espulsione di Mailat dal territorio dello Stato a pena espiata''. La Corte ha inoltre disposto una provvisionale di 500mila euro a titolo di risarcimento al marito di Giovanna Reggiani, l'ammiraglio Giovanni Gumiero, che comunque dovrà essere risarcito in separata sede. Mailat dovrà inoltre pagare mille euro di multa, oltre alle spese processuali e di custodia cautelare. Entro 60 giorni sarà depositata la motivazione della sentenza.
L'avvocato difensore di Mailat, Piero Piccinini, ribadendo che a carico del suo cliente non c'è nulla di concreto, ha detto che non appena la motivazione sarà depositata farà ricorso in appello.''La condanna esemplare inflitta per l'omicidio Reggiani rende giustizia al principio della certezza della pena, specie in relazione ad un reato cosi' atroce''. Così commenta la sentenza l'onorevole Barbara Saltamartini, Responsabile delle Pari opportunità di An. ''Come donna e come cittadina - prosegue - non posso che esprimere soddisfazione".

Femminicidi: Meredith Kercher e Giovanna Reggiani, se il colpevole è il “negro” o lo “zingaro” è più facile fare giustizia

Ieri Rudi Guede è stato condannato a trent’anni di carcere in quanto colpevole di stupro e assassinio di Meredith Kercher a Perugia. Parallelamente è stato chiesto l’ergastolo per Romulus Nicolae Mailat, con ogni probabilità stupratore e assassino di Giovanna Reggiani a Roma. Sono due crimini orribili e due condanne (se anche quella di Mailat sarà confermata) ineccepibili anche per gravità. Di sicuro l’esposizione mediatica ha in questi casi favorito una giustizia rapida e senza tergiversazioni ed evitato che le difese potessero attuare tattiche dilatorie.
Resta la considerazione, scomoda, che sia molto più facile far giustizia per un femminicidio in Italia quando il colpevole è un outsider, il “negro” o lo “zingaro”, e molto meno facile quando è un insider, un membro della comunità. Perciò vedremo (senza prevenzione) se sarà usato lo stesso metro per il ragazzo borghese difeso dall’avvocatessa e parlamentare di grido (Raffaele Sollecito e Giulia Buongiorno) o per la bella americanina (chissà perché usano il vezzeggiativo, come fidanzatini) Amanda Knox.
Sheryl Grana ha studiato come: “i femminicidi sono ignorati o sensazionalizzati a seconda della razza, classe sociale e attrattiva della vittima”. E’ una costatazione che ci porta a concludere che la rappresentazione mediatica del femminicidio elude sempre i contorni e la portata del fenomeno per ragionare con i canoni dell’infotainement, dell’informazione intrattenimento. Esistono femminicidi glamour, per pruriti sessuali o speculazioni politiche, e altri che è interesse di troppi sopire. Esistono femminicidi con vittime e colpevoli perfetti e ne esistono altri che non corrispondono all’allarme sociale fatto percepire dall’opinione pubblica. di Gennaro Carotenuto, continua a leggere…

martedì 28 ottobre 2008

Roma, incontro con il Prefetto Mosca

Il 27 ottobre 2008 alcuni operatori delle associazioni firmatarie della "Lettera aperta al Prefetto Mosca" hanno personalmente incontrato il Commissario Straordinario per l’emergenza nomadi a Roma, consegnando un dossier in cui si documenta in modo circostanziato l’attività svolta negli ultimi mesi da forze di polizia, incluse unità dell’esercito, nei confronti degli abitanti di insediamenti di fortuna, culminata con la distruzione delle baracche.
Il Prefetto, pur affermando di non aver finora trovato riscontro a quanto denunciato, si é detto disponibile a ricevere altre eventuali segnalazioni, impegnandosi ad impedire che vi siano sgomberi senza l’individuazione di una soluzione abitativa alternativa dignitosa, come prevede il diritto internazionale.
I firmatari del comunicato dal canto loro ribadiscono l’impegno a monitorare e informare su quanto si muove intorno ai cosiddetti “campi abusivi”, nella prospettiva di politiche che abbiano come obiettivo esplicito e coerentemente perseguito la tutela dei diritti delle persone e l’inclusione sociale.
ARPJ – Tetto ONLUS, Popica ONLUS, Gruppo EveryOne, ARCI Roma e Antica Sartoria Rom

Sotto la soglia, a casa degli immigrati

Come e dove abitano gli immigrati nel Sud d'Italia. Tutti i numeri nell'indagine "Sotto la soglia" coordinata da un network di associzioni.
Un’emergenza a macchia di leopardo quella della casa per gli stranieri al Sud. Così la fotografa la cooperativa Alisei che nell’ambito di un progetto finanziato dal Ministero del Lavoro, assieme ad altre realtà non profit (Cidis Onlus, Cipac, Cles s.r.l, Promidea Soc. coop, e Solco) ha curato un’indagine, “Sotto la soglia”, sul disagio abitativo al Sud. Sono stati 8.420 gli immigrati intervistati in quattro regioni del Sud: Calabria, Campania Puglia e Sicilia. Oltre ad essi, il gruppo di ricerca coordinato da Carla Barbarella, ha intervistato anche 100 osservatori, tra amministratori locali, dirigenti sindacali, e operatori del Terzo settore
L’emergenza è tale in tutto il Sud, anche se la percentuale di stranieri residenti è molto inferiore rispetto al Nord (varia dal 2 e il 3% contro il 6% attestata nel Nord-Est). Ma le sue caratteristiche variano da Regione a regione in base alle caratteristiche insediative, economiche, occupazionali delle aree regionali di riferimento. Il 60% degli immigrati trova un alloggio grazie alle segnalazioni di amici e conoscenti, il 17% grazie ai datori di lavoro e i restanti attraverso i canali tradizionali. Per molti di essi, la mobilità è uno stile di vita: più della metà degli immigrati intervistati ha cambiato casa 2 o 3 volte in 5 anni. Il più delle volte la qualità abitativa si costruisce col tempo: la maggior parte all’inizio si accontenta di posti letto o coabitazioni forzate. Le soluzioni abitative trovate sono spesso irregolari, soprattutto in campagna dove il 40% degli intervistati non ha un contratto d’affitto: la percentuale scende al 27% nelle periferie urbane e al 22 nelle città.
In Campania, oltre il 50% degli immigrati non dispone di un appartamento in affitto (89mila in totale), ed è costretto ad accontentarsi di un semplice posto letto, oppure a vivere nella stessa abitazione del datore di lavoro. Il disagio è soprattutto urbano. Nell’area metropolitana di Napoli e provincia si riscontra una vera e propria emergenza: gli immigrati sono costretti a vivere in edifici industriali abbandonati, in cantieri navali in costruzione o in baracche costruite sotto cavalcavia e tangenziali.

In Puglia la situazione è molto variegata. Nei pressi delle grandi metropoli (Bari in primo luogo), è facile trovare una sistemazione ma bisogna rinunciare alla privacy. Il sovraffollamento è il problema principale: solo l’1% degli immigrati intervistati vive da solo e il 28, 5% convive con persone che non fanno parte del suo nucleo famigliare. Nelle aree rurali, c’è più spazio, ma soprattutto nel Foggiano si tratta di edifici fatiscenti e privi di servizi utilizzati come basi di appoggio da braccianti e lavoratori stagionali.
In Calabria l’emergenza si consuma soprattutto nelle aree rurali dove si concentrano campi rom e insediamenti temporanei. Il 40% degli stranieri vive in una situazione di disagio abitativo grave. Si tratta di un numero che, a seconda delle stime, oscilla tra le 14 mila e le 22mila persone, concentrate soprattutto nella piana di Gioia Tauro e nella Sibaritide: la maggior parte vive in casolari abbandonati o diroccati, in attesa di un “caporale” che li assuma a giornata. In Calabria, solo un immigrato su tre riesce a trovare una soluzione abitativa soddisfacente.
Infine in Sicilia (più che altrove) il disagio abitativo è legato alla stagionalità del lavoro. In totale colpisce circa 60mila persone, soprattutto nelle zone rurali dove il 58% degli immigrati è costretto a spostarsi periodicamente all’interno dei confini regionali seguendo i cicli colturali. Nei grandi centri urbani, il problema principale è quello del sovraffollamento, soprattutto in quartieri storici come Ballarò Borgo Vecchio e Vucciria. Ma qui, spesso, ci sono strutture non profit ad arginare il disagio. Nelle zone dove è il lavoro stagionale è più diffuso (Comiso, Vittoria o Alcamo), invece, tra il 40 e il 60% degli immigrati è costretto ad vivere in campi attrezzati o ad occupare abusivamente ruderi disabitati. L’alternativa, per molti di essi, è la strada. di Daniela Verlicchi

Roma, tavola rotonda “i nostri diversi, come i media li raccontano”

Chi sono i nostri “diversi”? Come vengono descritti o raccontati da giornali, televisioni e radio? Esistono stereotipi radicati nell’immaginario collettivo su chi è “diverso” da noi come disabili, immigrati o rom: se ne discuterà domani, mercoledì 29 ottobre, alle ore 16.30, in una tavola rotonda organizzata dall’Associazione Premio Claudio Accardi presso l’Aula Wolf della Facoltà di Scienze della Comunicazione - Sapienza Università di Roma in via Salaria 113, Roma.
L’incontro, patrocinato dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Roma e con il contributo dell’INPGI - Istituto Nazionale Previdenza Giornalisti Italiani, sarà introdotto da Bruno Mazzara, vice preside della Facoltà, e da Claudio Cecchini, assessore alle Politiche sociali e per la Famiglia della Provincia di Roma.
Interverranno: Ileana Argentin (deputata Pd), Massimo Ghirelli (presidente dell’Archivio Immigrati), Mariano Benni (direttore di Misna), Beppe Giulietti (portavoce di Articolo 21) e Marco Binotto (docente di Processi culturali e comunicativi, Sapienza Università di Roma) oltre ai giornalisti Alessandro Barbano (Il Messaggero), Laura Maragnani (Panorama), Ilaria Sotis (Radio Rai) e Gabriella Simoni (Mediaset). Moderatore: Cristina Poli (Tg2).
Per informazioni Andrea D'Agostino, Ufficio stampa Premio Claudio Accardi, telefono 333 1707767, e-mail ufficiostampa@premioclaudioaccardi.it

Roma, senza luce dalle cinque di pomeriggio

Le istituzioni? Non pervenute! La lettera è accorata, l’ha scritta una mamma del quartiere Talenti (si chiama Orietta Pacioselli), periferia residenziale a nord est della Capitale: “Noi mamme non siamo razziste, lo diciamo subito – ha spiegato a Dnews – e lo vogliamo precisare, ma nella seconda D della scuola media statale ‘Renato Fucini’ ci sono tre ‘zingari’. Il problema – continua la signora Orietta nella sua missiva – è che purtroppo vivono in una condizione molto brutta: hanno la corrente fino alle cinque del pomeriggio e quindi, quando ritornano al campo, non possono farsi la doccia e vanno a letto vestiti per non morire di freddo”.
In classe sono giunte lamentele a causa dell’odore sgradevole “e noi genitori non sappiamo a chi altro rivolgerci (abbiamo scritto una mail anche al sindaco che naturalmente non ci ha risposto). Noi non vogliamo che se ne vadano, ma vogliamo più pulizia. Se devono stare nei campi che gli lascino la corrente 24 ore su 24: l’anno scorso sono andati in gita scolastica e la professoressa ci ha riferito che si facevano più docce al giorno, quindi non è che vogliono essere sporchi – conclude – è che per forza di cose lo devono essere”.
Secondo le stime della Caritas di Roma, lo riferiva proprio ieri Famigliacristiana.it, gli insediamenti spontanei e in seguito ‘attrezzati’ (con acqua, luce e fogne) sarebbero circa 33 con più di 8 mila presenze.
Circa 400 gli Rom e Sinti italiani; 2-3 mila i romeni; gli altri provengono quasi tutti dalle diverse Repubbliche dell’ex Jugoslavia. “Si tratta di persone particolarmente esposte al rischio di esiti negativi per la salute, a causa delle condizioni di marginalità sociale e del ridotto accesso ai servizi”, ha spiegato Salvatore Geraci, medico, responsabile dell’area sanitaria della Caritas romana e curatore, insieme con le Asl locali, di una ricerca presentata a maggio sui risultati di una campagna per l’accessibilità dei servizi socio-sanitari da parte della popolazione rom e sinti.
“La campagna – ha raccontato il settimanale dei Paolini nella sua versione online – dal titolo Salute senza esclusione ha dato risultati significativi, tanto che il collaudato modello di prevenzione e cura attuato a Roma verrà esportato a Firenze, Palermo, Messina e Trento”.
Eppure, dopo gli sgomberi agostani, “i risultati raggiunti sono stati vanificati – ha aggiunto Geraci – e siamo tornati indietro di quindici anni sul coinvolgimento delle Asl competenti nei campi e sul rapporto fiduciario e di continuità creatosi con i rom. Se ci fosse una prospettiva non ci troveremmo ora in questa situazione: i nomadi non sono un’emergenza in Italia, almeno nelle grandi città, dove sono insediati da tempo”.
Tuttavia le resistenze si constatano anche nella comunità cristiana: “I pregiudizi – ha concluso – sono trasversali, purtroppo. Invece la conoscenza di una popolazione al di là dei luoghi comuni, basata sull’incontro e sulla relazione, ci cambia sempre”. di inviatospeciale

Playboy riapre con un’inchiesta sul mondo rom

«In tempi di crisi, lo so, tutto ciò che non è necessario è superfluo. Ma non è il nostro caso: noi possiamo giocare una carta pesante...». Basta intendersi sul significato della parola carta e si capisce come mai, al primo piano di un ufficio di periferia, sullo stradone che porta all’aeroporto di Linate, da qualche giorno ci siano le fregole dell’eccitazione. Gian Maria Madella, brizzolato navigatore di quotidiani, settimanali e mensili, conta i giorni da qui al 5 dicembre e sfoglia le prime pagine di prova: «Stiamo tornando». Sta tornando l’edizione italiana di Playboy. E la carta pesante, l’ammazzacrisi, s’intuisce quale sarà.
«In fondo è sempre stato così, quando c’è crisi aumenta la voglia d’evasione», dice Madella. E anche qui, sull’evasione, basta intendersi. Le bellone, le bellissime, le foto. Una volta, quando Hugh Hefner se l’è inventato nel 1953, Playboy era il primo passo d’avvicinamento al nudo. Poi è diventato qualcosa di più e di diverso, il mensile che intervista Fidel Castro o John Lennon o Arafat, che sconvolge l’America bacchettona, che provoca e scandalizza. Ora, 55 anni dopo, è il secondo marchio più conosciuto del mondo, appena dietro la Coca Cola. Potenza della carta pesante. 27 edizioni, Filippine comprese.
«In Italia era naufragato negli Anni ‘80 con la Rizzoli - spiega Madella - negli Anni ‘90 un tentativo di rientro si era rivelato poco più che un mensile pornosoft, e nelle edicole lo mettevano accanto alle videocassette». Insomma, robaccia. Adesso, e ci mancherebbe che non la raccontassero così, l’editore Alessandro Ferri di Play Media Company e il suo direttore sessantenne sono sicuri del successo. «I diritti li abbiamo presi sette mesi fa - dicono - e appena si è sparsa la voce abbiamo capito che ce la potevamo fare. La sfida è tra edicola e pubblicità. Puntiamo a 130 mila copie al mese, ma dei primi tre numeri ne stamperemo mezzo milione».
Con quella italiana Playboy arriva a 28 edizioni nel mondo. «Qui ci sono la moda, l’auto, le moto. Per l’editore americano l’Italia è una postazione strategica». Grazie alla solita carta pesante vanno alla caccia di pubblicità. «Che in tempi di crisi non è vero che sparisce, si fa più selettiva». E loro sono lì, pronti a infilarla tra le foto delle pupone. «Non più di tre servizi di nudo, però». E tutto il resto, promettono, è attualità, provocazione, gioco, ironia. «Saremo irriverenti, spregiudicati e mai volgari. E ci piacerebbe ripetere il Playboy degli anni d’oro, quando ogni numero era uno schiaffo».

Playboy Usa intervista Barak Obama, Playboy Francia intervista Nicolas Sarkozy, inevitabile che dal vialone che porta a Linate parta una richiesta per Silvio Berlusconi. O no? La risposta, al momento, è un forse. «Stiamo mettendo in piedi una squadra interessante, con forze fresche, e il Palazzo lo cureranno da Roma quelli di Radio 102,5». Dove lavora Federico Vespa, figlio di Bruno, e non è indispensabile la malizia per immaginare una certa facilità di buone relazioni. «Ma non ci metteremo a inseguire il pettegolezzo». Anche perchè ormai è dappertutto, e con i tempi di un mensile rischierebbero il fuori tempo massimo.
A questo punto, come per tutte le novità, si dovrebbero mettere in fila le prestigiose firme della prestigiosa testata. «Se ne stanno offrendo parecchie, si vede che non conoscono il nostro budget», prova a scherzare Madella. È pronto un librone per i pubblicitari e si possono leggere un paio di nomi. Il primo è lo scrittore Niccolò Ammaniti, il secondo lo psichiatra Paolo Crepet, il terzo Vittorio Sgarbi, il quarto il comico Enrico Bertolino, il quinto l’altro scrittore Andrea Pinketts... definiti, nella presentazione, «squadra decisamente diversa, coraggiosa, nuova». Anche in questo caso basta mettersi d’accordo sulle parole.
La prima copertina sarà «per un’attrice italiana famosa vista da un fotografo famoso». Un’inchiesta sul mondo Rom. Un reportage dagli Usa sui primi giorni del nuovo Presidente. Ma c’è ancora tempo, il 5 dicembre non è domani. «Ma arriveremo prima di quel giorno e ve ne accorgerete», avvisa il direttore Madella. Una campagna in stile, così dice, “marketing guerriglia”: «Happening nelle strade, vere e proprie incursioni delle nostre conigliette». E poi tv, radio, giornali, internet. E lo slogan «Il coniglio sta tornando», sicuro di sbancare. Sicuro come il direttore: «Perchè quando le borse vanno giù la nostra carta pesante sale...». di Giovanni Cerruti

Scuola, le classi-ponte sono una forma di discriminazione

Critiche di “Famiglia cristiana” contro la mozione proposta dalla Lega e approvata alla Camera a proposito del trattamento speciale per i bambini stranieri: “Le classi-ghetto favoriscono la discriminazione”. La classe politica eletta nelle istituzioni parlamentari, come è giusto che sia, è chiamata a legiferare. E’ meno comprensibile che lo faccia con approssimazione, senza prendersi neanche la briga di sondare gli umori dei soggetti interessati ai provvedimenti in discussione.
Un esempio? La mozione proposta dalla Lega nord e approvata per una manciata di voti alla Camera. Il partito di Bossi ha proposto l’istituzione di una sorta di “classe-ponte” nelle scuole elementari, per favorire la futura integrazione dei bambini immigrati in difficoltà con la lingua italiana. Al termine della “quarantena”, un test dovrà decidere se i medesimi bambini saranno o meno ammessi nelle classi “normali”.
Nel corso di una trasmissione televisiva, il capogruppo leghista a Montecitorio Roberto Cota (primo firmatario della mozione) ha difeso a spada tratta il provvedimento, sostenendo che “a scuola si va per imparare” e che, perciò, un bambino straniero poco avvezzo alla lingua del Paese ospitante rallenterebbe l’intera classe. All’obiezione, rivoltagli da pedagogisti, insegnanti e presidi, Cota ha replicato che l’indicazione da lui proposta rappresenterebbe un aiuto (e non un ostacolo) all’inserimento dei minori immigrati.
Sul caso interviene anche il periodico cattolico Famiglia Cristiana, che - nel numero in edicola pochi giorni fa - boccia senza mezzi termini le classi-ponte definendole “classi-ghetto”. La mozione approvata alla Camera, scrive il settimanale, “fa scivolare pericolosamente la scuola verso la segregazione e la discriminazione”.
“La ‘fantasia padana’ – denuncia il giornale - non ha più limiti, né‚ pudore e la Lega cavalca l’onda e va all’arrembaggio dell’immigrato”, dopo aver proposto le impronte ai rom, il permesso a punti e aver ostacolato i ricongiungimenti familiari.
“Il problema dell’inserimento degli stranieri a scuola è reale – si legge ancora su Famiglia Cristiana - ma le risposte sono ‘criptorazziste’, non di integrazione. Chi pensa a uno ‘sviluppo separato’ in Italia, sappia che quel concetto in altra lingua si chiama ‘apartheid’”. di inviatospeciale

lunedì 27 ottobre 2008

Roma, Maroni e Alemanno vogliono cacciare il Prefetto Mosca

Inizia oggi quella che probabilmente sarà l'ultima settimana di Carlo Mosca nella carica di prefetto di Roma. Dopo le indiscrezioni degli ultimi giorni sul trasferimento del prefetto, per altro mai smentite dal ministro dell'Interno Roberto Maroni, sembra infatti che dal Viminale abbiano deciso di accelerare le procedure.
Lo scorso fine settimana, infatti, il capo di Gabinetto del ministero, Giuseppe Procaccini, si è recato di persona a Palazzo Valentini per incontrare Mosca. Nel corso dell'incontro, a quanto si apprende, Procaccini avrebbe confermato al prefetto di Roma l'ineludibilità della scelta di Maroni, proponendogli una serie di alternative, tra le quali il Gabinetto del ministero dello Sviluppo economico. E già al prossimo Consiglio dei ministri, previsto per venerdì salvo modifiche dell'ultimo minuto, il provvedimento di sostituzione di Mosca potrebbe arrivare sul tavolo.
Il prefetto di Roma però, un'intera carriera trascorsa agli Interni, non sarebbe disponibile ad accettare un'alternativa, e d'altronde ha già manifestato più volte la volontà di restare in carica nella Capitale: Mosca, insomma, non opterà fino alla fine per un altro incarico, e potrebbe addirittura decidere di andare in pensione con due anni d'anticipo sul previsto.
Chi vuole la sua sostituzione, d'altra parte, non ha la strada del tutto spianata: il sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Gianni Letta, è un estimatore di Mosca, così come l'attività del prefetto a Roma è stata finora apprezzata da altri esponenti della maggioranza di governo.
La morsa Maroni-Alemanno, però, si fa sempre più stringente: il sindaco di Roma si è spesso lamentato, con il suo entourage, per il fatto che Mosca "non mi ha sostenuto abbastanza", mentre Maroni non avrebbe gradito, su tutto, la contrarietà di Mosca alla misura delle impronte per i bambini Rom. E intanto si allarga il toto-nomi per la successione a Palazzo Valentini: accanto a quelli di Giuseppe Pecoraro e Mario Morcone (che perde quota), spunta ora il nome di Giosuè Marino, ex prefetto di Palermo.

Bolzano, avanza la destra xenofoba

La Südtiroler Volkspartei vince le elezioni provinciali 2008 in Alto Adige con il 48,1% dei voti e conquista 18 seggi, la maggioranza assoluta dei 35 disponibili, restando alla guida del Governo dell'Alto Adige. Lo farà ancora una volta con Luis Durnwalder (in foto), lanciato, seppur con un calo di preferenze (dalle 110.051 del 2003 scende alle 97.865 per una differenza di -12.186), verso il suo quinto mandato.
Risultato elettorale senza sorprese per la Sinistra dell’Alto Adige. Nessun consigliere è stato eletto e il risultato complessivo è di 2226 voti, pari allo 0.7%. Discreto il risultato elettorale di Radames Gabrielli che su trentasei candidati, si è attestato al nono posto con 104 preferenze personali.
Ma in Alto Adige ad avanzare considerevolmente è la destra di "Die Freiheitlichen" che con il 14,3% dei voti triplica i consensi rispetto al 2003. Primo partito di lingua italiana è il Pdl con l'8,3% e 3 seggi, mentre il Pd è il quarto partito con il 6,0% e 2 seggi.
Il risultato provinciale ha provocato reazioni politiche a livello nazionale, con la capolista del Pdl, Michaela Biancofiore, che commenta la «grande soddisfazione per il ritorno del Popolo della libertà ad essere il primo partito della comunità italiana dell'Alto Adige», riferendosi al fatto che alla politiche del 2008 il centro-sinistra aveva avuto la maggioranza nella regione.
Di altra opinione Dario Franceschini del Pd, che ai microfoni di Youdem.tv ha detto che nonostante i sondaggi diano la maggioranza sempre in crescita, le elezioni nella provincia di Bolzano dimostrano che il Pdl è in calo di consensi: «Bolzano è particolare per la presenza di partiti in lingua tedesca - osserva Franceschini - e il dato preoccupante è la crescita del partito di estrema destra. Negli elettori di lingua italiana invece c'è una crescita di due punti e mezzo delle forze di centro sinistra mentre il Pdl alla prima prova elettorale è in flessione, ottiene gli stessi voti che aveva preso An da sola l'ultima volta. Il Pd invece cresce».
Tre i dati principali che emergono dalle consultazioni in Alto Adige: il primo è legato al fatto che dopo 60 anni la Svp è scesa sotto il 50%, il secondo alla netta crescita dell'estrema destra di lingua tedesca con i Freiheitlichen, partito liberal-autonomista che prese modello di quello austriaco guidato da Jörg Haider e il terzo, il calo del Popolo della Libertà che comunque resta il primo partito di lingua italiana in provincia. Da sottolineare la crescita di Unitalia e di Suedtiroler Freiheit, il partito secessionista che vede a capo la "pasionaria" Eva Klotz.

Roma, Veltroni: la madre del razzismo è la paura

In Italia si sta creando un "drammatico cortocircuito" e questo "per colpa di un'equazione tanto ingiusta quanto sbagliata: più immigrazione uguale insicurezza, straniero uguale estraneo, diverso, 'altro' da sé, minaccia per il proprio territorio, la propria casa, la propria incolumità. E quindi nemico da allontanare, da respingere, da cacciare".
Lo ha detto il leader del Pd, Walter Veltroni, parlando del tema della sicurezza nel discorso di sabato al Circo Massimo.
"Non ci stancheremo mai - ha aggiunto - di ripeterlo e mai di fare di tutto per rendere concreto questo principio: la sicurezza è un diritto fondamentale di ogni cittadino. Chiunque lo colpisce va perseguito, qualunque sia la sua nazionalità. E basta con la vergogna di troppi delinquenti, non importa se italiani o stranieri, arrestati dalla polizia e poi scarcerati dopo pochi giorni, o di condannati che evitano il carcere grazie a una serie infinita di premi e benefici".
"Però - ha detto ancora - quell'equazione no, non si può fare. Non si può negare uno dei fondamenti della nostra civiltà: sono gli individui che commettono un crimine che vanno puniti. Mai i gruppi, mai le comunità etniche, sociali o religiose".
"La madre del razzismo - ha aggiunto - è la paura. Il problema è che ad alimentarla c’é anche l'uso politico dell'immigrazione. Il massimo dell'ipocrisia in chi, come il governo, dovrebbe avere l'onestà di dire che da quando ci sono loro gli sbarchi sono raddoppiati, le espulsioni sono ferme e si sta creando una nuova bolla di clandestinità".
Infine, citando diversi episodi di questi ultimi mesi che hanno riguardato cittadini immigrati come quello del giovane Abdoul "ucciso per una scatola di biscotti", ma per i quali, "si è detto 'il razzismo non c'entrà, Veltroni ha detto che il centrosinistra contro il razzismo "combatterà sempre". "L'Italia - ha concluso - non è e non sarà mai un Paese razzista".

Bologna, sospeso dall’ATC il controllore razzista

Il giorno stesso in cui è stata pubblicata su Repubblica la lettera di denuncia di una passeggera, l’Atc ha sospeso dal servizio e dallo stipendio il controllore che ha trattato un gruppo di rom, adulti e bambini, con frasi ingiuriose e razziste. «Comportamenti estranei ad Atc», dice una nota dell’azienda di trasporti. L’episodio era accaduto martedì scorso alle ore 8 di mattina sulla linea 35, quando tre controllori sono saliti a bordo in via dello Scalo.
La signora Linda Serra ha raccontato con molta accuratezza le frasi che uno dei tre controllori (numero di matricola 09043) ha rivolto ai rom e che hanno evidentemente trovato riscontro in una rapida istruttoria eseguita dai superiori del dipendente Atc.
Proprio mentre stava verificando il biglietto della signora, il controllore ha iniziato col dire «adesso vi liberiamo di un po´ di puzza», poi rivolto ad una coppia rom con un bambino ha detto, sempre secondo la lettera della signora, «tu sacco di pulci o cacci il biglietto oppure vieni in questura» e alla donna «ma stai zitta tu e vai a farti una doccia» e ancora «vieni adesso ti dico anche dove abito così quando vieni a casa ti punto la doppietta che ho nel cassetto, vieni con i tuoi amici che ho i cani che hanno fame... tornate al tuo paese sacco di pulci... adesso andiamo in questura e vediamo che ti succede... te la faccio passare io la voglia di venire in Italia».
Un uomo si è ribellato e dopo aver ammesso di non avere il biglietto ha chiesto che cosa avessero fatto di male, ma l’altro l’avrebbe rintuzzato: «Dovete rispondere delle offese che ci avete fatto, ci avete offeso». La signora Serra a questo punto è intervenuta e ha preso le difese delle persone insultate: «Siete voi che state offendendo e ci state sottoponendo ad una scena degradante».
La scena è stata ricostruita dai responsabili del settore verifiche dell´Atc che hanno preso molto a cuore il caso e hanno emesso un primo verdetto molto duro nei confronti del dipendente: «Il fatto segnalato è molto grave e a seguito di questa segnalazione il verificatore che dovrà rendere conto sul piano disciplinare del comportamento tenuto, è stato comunque da subito sospeso dal servizio e dalla retribuzione. Frasi come quelle riportate non sono tollerabili da Atc che per suo mestiere e tradizione offre il servizio di trasporto indiscriminatamente a tutte le persone, alle quali è richiesto solamente di essere in regola con le norme di utilizzo di biglietti e abbonamenti sul bus».
Atc non si identifica con il titolo attribuito alla lettera pubblicata («Razzismo Atc») «essendo essa stessa danneggiata da un comportamento individuale di cui è chiamato a rispondere personalmente il dipendente che se ne è reso responsabile. Generalmente i verificatori espletano il loro lavoro con riconosciuta professionalità e dovuta cortesia». di Luigi Spezia

Nel Belpaese dell'intolleranza il microrazzismo quotidiano

Il giorno in cui H., cittadino tunisino con regolare permesso di soggiorno, chiese di partecipare al bando comunale da sessanta licenze per taxi, scoprì che tassisti, qui da noi, si diventa solo se cittadini italiani. Il giorno in cui F. ed L., coppia nigeriana residente in Veneto, risposero a un annuncio per cuochi, scoprirono che l'albergo che li cercava, di neri non ne voleva.
E "non per una questione di razzismo", gli venne detto dalla costernata direttrice della pensione, "perché in giardino, ad esempio", lavoravano "da sempre solo i pachistani". Il giorno in cui S., deliziosa adolescente napoletana, finì nella sala d'attesa di un pediatra di base di Roma accompagnata dal padre, alto dirigente del Dipartimento della pubblica sicurezza, realizzò che insieme a lei attendevano soltanto bambini dal colore della pelle diverso dal suo. E ne chiese conto: "Papà, perché da quando ci siamo trasferiti a Roma siamo diventati così sfigati?".
Il Razzismo italiano è un "pensiero ordinario". Abita il pianerottolo dei condomini, le fermate dell'autobus, i tavolini dei bar, i vagoni ferroviari. "Negro", una di quelle parole ormai pronunciate con senso liberatorio nel lessico pubblico, non nelle barzellette. Volendo, da esporre sulle lavagne del menù del giorno di qualche tavola calda, per allargare a una parte degli umani il divieto di ingresso ai cani.
L'Italia Razzista è la geografia di un odio di prossimità, che nei primi dieci mesi di quest'anno ha conosciuto picchi che non ricordava almeno dal 2005. Un odio "naturale", dunque apparentemente invisibile, anche statisticamente, fino a quando non diventa fatto di sangue. Il pestaggio di un ragazzo ghanese in una caserma dei vigili urbani di Parma; il linciaggio di un cinese nella periferia orientale di Roma; il rogo di un capo nomadi nel napoletano; la morte per spranga, a Milano, di un cittadino italiano, ma con la pelle nera del Burkina Faso; l'aggressione di uno studente angolano all'uscita di una discoteca nel genovese.
Dunque, cosa si muove davvero nella pancia del Paese? Al quinto piano di Largo Chigi, 17, Roma, uffici della presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per le pari opportunità, lavora da quattro anni un ufficio voluto dall'Europa la cui esistenza, significativamente, l'Italia ignora. Si chiama "Unar" (Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale). Ha un numero verde (800901010) che raccoglie una media di 10 mila segnalazioni l'anno, proteggendo l'identità di vittime e testimoni. È il database nazionale che misura la qualità e il grado della nostra febbre xenofoba. Arriva dove carabinieri e polizia non arrivano. Perché arriva dove il disprezzo per il diverso non si fa reato e resta "solo" intollerabile violenza psicologica, aggressione verbale, esclusione ingiustificata dai diritti civili.

Nei primi nove mesi di quest'anno l'Ufficio ha accertato 247 casi di discriminazione razziale, con una progressione che, verosimilmente, pareggerà nel 2008 il picco statistico raggiunto nel 2005. Roma, gli hinterland lombardi e le principali città del Veneto si confermano le capitali dell'intolleranza. I luoghi di lavoro, gli sportelli della pubblica amministrazione, i mezzi di trasporto fotografano il perimetro privilegiato della xenofobia. Dove i cittadini dell'Est europeo contendono lo scettro di nuovi Paria ai maghrebini.
In una relazione di 48 cartelle ("La discriminazione razziale in Italia nel 2007") che nelle prossime settimane sarà consegnata alla Presidenza del Consiglio (e di cui trovate parte del dettaglio statistico in queste pagine) si legge: "Il razzismo è diffuso, vago e, spesso, non tematizzato (...) La cifra degli abusi è l'assoluta ordinarietà con cui vengono perpetrati. Gli autori sembra che si sentano pienamente legittimati nel riservare trattamenti differenziati a seconda della nazionalità, dell'etnia o del colore della pelle". Privo di ogni sovrastruttura propriamente ideologica, il razzismo italiano si fa "senso comune".
Appare impermeabile al contesto degli eventi e all'agenda politica (la curva della discriminazione, almeno sotto l'aspetto statistico, non sembra mai aver risentito in questi 4 anni di elementi che pure avrebbero potuto influenzarla, come, ad esempio, atti terroristici di matrice islamica). Procede al contrario per contagio in comunità urbane che si sentono improvvisamente deprivate di ricchezza, sicurezza, futuro, attraverso "marcatori etnici" che si alimentano di luoghi comuni o, come li definiscono gli addetti, "luoghi di specie".
Dice Antonio Giuliani, che dell'Unar è vicedirettore: "I romeni sono subentrati agli albanesi ereditandone nella percezione collettiva gli stessi e identici tratti di "genere". Che sono poi quelli con cui viene regolarmente marchiata ogni nuova comunità percepita come ostile: "Ci rubano il lavoro", "Ci rubano in casa", "Stuprano le nostre donne". Dico di più: i nomadi, che nel nostro Paese non arrivano a 400 mila e per il 50% sono cittadini italiani, sono spesso confusi con i romeni e vengono vissuti come una comunità di milioni di individui. E dico questo perché questo è esattamente quello che raccolgono i nostri operatori nel colloquio quotidiano con il Paese".
L'ordinarietà del pensiero razzista, la sua natura socialmente trasversale, e dunque la sua percepita "inoffensività" e irrilevanza ha il suo corollario nella modesta consapevolezza che, a dispetto anche dei recenti richiami del Capo dello Stato e del Pontefice, ne ha il Paese (prima ancora che la sua classe dirigente). Accade così che le statistiche del ministero dell'Interno ignorino la voce "crimini di matrice razziale", perché quella "razzista" è un'aggravante che spetta alla magistratura contestare e di cui si perde traccia nelle more dei processi penali. Accade che nei commissariati e nelle caserme dei carabinieri di periferia nelle grandi città, il termometro della pressione xenofoba si misuri non tanto nelle denunce presentate, ma in quelle che non possono essere accolte, perché "fatti non costituenti reato".
Come quella di un cittadino romeno, dirigente di azienda, che, arrivato in un aeroporto del Veneto, si vede rifiutare il noleggio dell'auto che ha regolarmente prenotato perché - spiega il gentile impiegato al bancone - il Paese da cui proviene "è in una black list" che farebbe della Romania la patria dei furti d'auto e dei rumeni un popolo di ladri. O come quella di un cittadino di un piccolo Comune del centro-Italia che si sveglia un mattino con nuovi cartelli stradali che il sindaco ha voluto per impedire "la sosta anche temporanea dei nomadi".
La xenofobia lavora tanto più in profondità quanto più si fa odio di prossimità (è il caso del maggio scorso al Pigneto). Disprezzo verso donne e uomini etnicamente diversi ma soprattutto socialmente "troppo contigui" e numericamente non più esigui. Anche qui, le statistiche più aggiornate sembrano confermare un'equazione empirica dell'intolleranza che vuole un Paese entrare in sofferenza quando la percentuale di immigrazione supera la soglia del 3 per cento della popolazione autoctona. In Italia, il Paese più vecchio (insieme al Giappone), dalla speranza di vita tra le più alte al mondo e la fecondità tra le più basse, l'indice ha già raggiunto il 6 per cento. E se hanno ragione le previsioni delle Nazioni Unite, tra vent'anni la percentuale raggiungerà il 16, con 11 milioni di cittadini stranieri residenti.
Franco Pittau, filosofo, tra i maggiori studiosi europei dei fenomeni migratori e oggi componente del comitato scientifico della Caritas che cura ogni anno il dossier sull'Immigrazione nel nostro Paese (il prossimo sarà presentato il 30 ottobre a Roma), dice: " È un cruccio che come cristiano non mi lascia più in pace. Se la storia ci impone di vivere insieme perché farci del male anziché provare a convivere? Bisogna abituare la gente a ragionare e non a gridare e a contrapporsi. Non dico che la colpa è dei giornalisti o dei politici o degli uomini di cultura o di qualche altra categoria. La colpa è di noi tutti. Rischiamo di diventare un paese incosciente che, anziché preparare la storia, cerca di frenarla.
Si può discutere di tutto, ma senza un'opposizione pregiudiziale allo straniero, a ciò che è differente e fa comodo trasformare in un capro espiatorio. Alcuni atti rasentano la cattiveria gratuita. Mi pare di essere agli albori del movimento dei lavoratori, quando la tutela contro gli infortuni, il pagamento degli assegni familiari, l'assenza dal lavoro per parto venivano ritenute pretese insensate contrarie all'ordine e al buon senso. Poi sappiamo come è andata".
Se Pittau ha ragione, se cioè sarà la Storia ad avere ragione del "pensiero ordinario", l'aria che si respira oggi dice che la strada non sarà né breve, né dritta, né indolore. I centri di ascolto dell'Unar documentano che nel nord-Est del paese sono cominciati ad apparire, con sempre maggiore frequenza, cartelli nei bar in cui si avverte che "gli immigrati non vengono serviti" (se ne è avuto conferma ancora quattro giorni fa a Padova, alle "3 botti" di via Buonarroti, che annunciava il divieto l'ingresso a "Negri, irregolari e pregiudicati"). E che nelle grandi città anche prendere un autobus può diventare occasione di pubblica umiliazione, normalmente nel silenzio dei presenti.
Come ha avuto modo di raccontare T., madre tunisina di due bambini, di 1 e 3 anni. "Dovevo prendere il pullman e, prima di salire, avevo chiesto all'autista se potevo entrare con il passeggino. Mi aveva risposto infastidito che dovevo chiuderlo. Con i due bambini in braccio non potevo e così ho promesso che lo avrei chiuso una volta salita. L'autista mi ha insultata. Mi ha gridato di tornarmene da dove venivo. E non è ripartito finché non sono scesa". T., appoggiata dall'Unar, ha fatto causa all'azienda dei trasporti. L'ha persa, perché non ha trovato uno solo dei passeggeri disposto a testimoniare. In compenso ha incontrato di nuovo il conducente che l'aveva umiliata. Dice T. che si è messo a ridere in modo minaccioso. "Prova ora a mandare un'altra lettera", le ha detto. di Carlo Bonini

Roma, la parrocchia di San Cleto a San Basilio

Cinquanta anni fa, al quartiere San Basilio, per poter partecipare alla Messa, la gente la domenica accorreva davanti ai pulmini. «Li aveva messi a disposizione l’Azione Cattolica femminile per le borgate romane. Erano una specie di "chiesa mobile"», racconta il parroco di San Cleto, padre Giovanni Ferraresso. Di abitanti se ne contavano pressappoco 3mila. Per lo più marchigiani ed abruzzesi. I servizi primari mancavano. Le case erano state costruite su un’area abusiva. «Ma allora si respirava un’aria di paese. Tutte le grandi feste le celebravamo tutti insieme».
Oggi qualcuno tira fuori pure le foto in bianco e nero di un gruppo di bambini dell’oratorio, in calzoni corti. «Questo qui ero io», dice con orgoglio Marcello Matteucci, ministrante e catechista, che qui tutti chiamano ancora «Marcellino». Dopo cinque decenni, la comunità che ormai ha visto trasformare quel paese di borgata in un quartiere di 10mila abitanti («al catechismo - sottolinea il parroco - ora vengono capoverdiani, brasiliani, asiatici, c’è stato un interessante rimescolamento della zona») ha voglia di festeggiare ancora insieme. E così, domenica scorsa, per il cinquantenario della parrocchia, affidata alla congregazione di Gesù Sacerdote, in 150 circa si sono ritrovati a pranzare nei locali della parrocchia. I festeggiamenti hanno preso il via con la celebrazione della Messa, presieduta da padre Gian Luigi Pastò, superiore generale della Congregazione fondata da padre Mario Venturini nel 1926 «per la santificazione dei sacerdoti».
«L’attività parrocchiale - spiega padre Pastò - non è insita nella nostra Congregazione». Per questo, «quando 50 anni fa si prospettava per i giovani preti di fare un’esperienza pastorale, i sacerdoti di allora rimasero perplessi». Ma i giovani religiosi «furono accolti subito familiarmente dalla gente del posto», come ricorda Rossana Pieragostini, catechista. Oggi il contesto sociale è cambiato: «Manca la coesione sociale - spiega il parroco -, è difficile aggregare popoli e lingue diverse».
Ma la parrocchia continua a mantenere fede allo spirito di accoglienza. I volontari del gruppo Caritas ogni settimana distribuiscono indumenti e pacchi viveri a circa 30 famiglie. «Si tratta per lo più di stranieri, soprattutto rom», spiega Sandra Torrice, una dei 25 volontari. In realtà, negli ultimi 5 anni le richieste sono aumentate. Ma la comunità continua a darsi da fare per accontentare tutti. «Ora - sottolinea Silvana Ceci - vorremmo riuscire a potenziare anche il Centro di ascolto». Tra i vari gruppi presenti in parrocchia, oltre a quello delle famiglie e dei giovani, attivi l’Apostolato della Preghiera, l’associazione San Filippo Neri, il gruppo dei Cavalieri di Malta.

Rende (Cs), intelligence, diritto, democrazia

''Intelligence, Diritto, Democrazia''. Questo il titolo del 2* Modulo di studio del Master in Intelligence dell'Università della Calabria, diretto dal Prof. Mario Caligiuri, che si è aperto con le lezioni di Carlo Mosca e Marco Valentini.
Il Prefetto di Roma ha espresso il convincimento che il diritto alla sicurezza sia da considerare un diritto sociale, in quanto tale diritto di legalità, da mettere sul medesimo piano degli altri diritti di libertà.
In un sistema plurale come quello delle nostre Istituzioni, ha aggiunto il Prefetto Mosca, anche la sicurezza, come diritto di libertà vanno coniugate al plurale, nella loro accezione positiva, cioè quale strumento di realizzazione della persona nel quadro dei valori della Costituzione.
E' questo che pensiamo di fare con i bambini rom, ha anche detto il Prefetto di Roma riferendosi all'esperienza di Commissario delegato per l'emergenza nomadi. Rimuovere le cause di abbandono e di degrado, aiutare le famiglie a prendersi cura dei bisogni fondamentali, cioè un operazione che porti al medesimo tempo sicurezza e libertà.
Il dott. Valentini ha invece illustrato i profili innovativi della legge di riforma dell'Intelligence Nazionale, auspicando la crescita di una cultura della sicurezza condivisa che renda virtuosi i processi riformatori alla prova dei fatti. Nel corso della lezione il professor Mario Caligiuri ha presentato il volume ''I Servizi di Informazione e il Segreto di Stato'', edito recentemente quale primo commento alla legge di riforma, di cui il Prefetto Mosca e il Dott. Valentini sono autori insieme a G. Scandone e S. Gambacurta.

venerdì 24 ottobre 2008

Elezioni a Bolzano, io sto con Radames

Domenica si votano le provinciali a Bolzano, ci sarà molta agitazione negli schieramenti e nei candidati per il risultato finale. Scoprire se ce l’hai fatta oppure no, forse è il bello della politica: sapere alla fine se veramente hai convinto le persone con le tue idee.
Tra questi candidati c’è anche Radames Gabrielli un sinto che vive a Bolzano, conosciuto come musicista affermato e come Presidente dell’associazione Nevo Drom.
Radames Gabrielli da anni è impegnato nella promozione delle culture sinte, lottando contro chi ha degli stereotipi negativi nei confronti delle nostre minoranze, perchè vuole il rispetto dei diritti nella diversità, pari opportunità ed uguaglianza, condizioni indispensabili per garantire un futuro migliore per tutti i popoli del mondo.
Domenica i bolzanini hanno un’importante occasione, quella di far partecipare alla vita politica un appartenente alle minoranze sinte, presenti in Alto Adige da centinaia di anni.
Votare Radames vuol dire non avere paura del diverso, ma demolire quelle barriere che ancora oggi dividono i nostri due popoli.
Votare Radames vuol dire garantire la partecipazione politica ad una minoranza che è stata sempre esclusa da qualsiasi decisone.
Votare Radames vuol dire interculturalità, che in questo momento in Italia manca.
Votare Radames vuol dire libertà di espressione per una minoranza che può portare elementi culturali importanti nella vita politica di tutti i giorni.
Spero che Radames sia eletto, come ci sono riuscito io a Mantova. Almeno cosi non possono più dire che sono l’unico in Italia e possiamo dire finalmente che un Sinto è Consigliere provinciale.
Voglio ringraziare la Sinistra per l’Alto Adige per la candidatura dell’amico Radames, una scelta coraggiosa che sarà sicuramente ricambiata dal lavoro di Radames. di Yuri Del Bar, Consigliere Comunale a Mantova (in foto con Radames Gabrielli)

Razzismo, argomento difficile da trattare in Italia

Tutto è cominciato per 'Famiglia Cristiana' con il numero 27 dell’anno 2008, in data 27 luglio, e con il “Primo Piano”, la rubrica con cui si apre ogni settimana quella rivista: un appuntamento abituale, anonimo e dunque da attribuire direttamente alla direzione oggi condivisa fra due sacerdoti paolini, don Antonio Sciortino (in foto), direttore, e don Giusto Truglia, condirettore.
Quel “Primo Piano” recava questo titolo: “Prima però le impronte dei parlamentari e dei figli”, preceduto dall’occhiello: “Silenzio assordante contro l’indecente proposta di Maroni” (cioè il ministro dell’Interno).
Quell’aggettivo, “indecente”, ha fatto scoppiare il caso. Un caso di cui si è parlato a lungo per tutta la scorsa estate ed ha fatto arrivare alla rivista della Pia Società San Paolo, il più diffuso settimanale italiano, una pioggia di articoli, editoriali, interviste su giornali, tv e radio, più migliaia di lettere, di telefonate, di e-mail, non esagero, da tutto il mondo (ne ho ricevuta una io personalmente dall’Australia, dove un amico mi aveva visto mentre una mia intervista veniva diffusa da Rai International).
Di questo caso parliamo qui stasera, con una precisazione rispetto a quanto ho appena detto: quella enorme massa di interventi, pubblici e privati, di politici, opinionisti, semplici cittadini, ma anche sacerdoti, religiosi e religiose, ha espresso in buona maggioranza una piena, cordiale, spesso affettuosa approvazione, l’incoraggiamento ad andare avanti con la critica libera, non faziosa ma democratica, alle decisioni dei governi di qualunque colore, così come era stato fatto ad esempio con quello precedente di Romano Prodi, in più occasioni.
Qualcosa di simile era del resto stato fatto poco prima, nel numero del 15 giugno, non nei confronti del governo ma del maggior partito di opposizione, il Partito democratico, e in particolare il suo segretario Veltroni, accusato di tenere i cattolici in secondo piano per favorire i radicali, con i quali del resto aveva confezionato prima delle elezioni quel “pasticcio veltroniano in salsa pannelliana” che la stessa Famiglia Cristiana aveva denunciato il 2 marzo senza tuttavia sollevare troppi scandali, benché il giorno dopo il voto non si potesse dire che non era stata profetica: l’80 per cento dei voti dei cattolici praticanti e impegnati in politica era andato a Berlusconi.
Non erano mancate, in quelle due occasioni, risposte polemiche in ambito politico, compresi i cattolici del Partito democratico che potevano sentirsi in imbarazzo venendo giudicati ininfluenti nella formazione parlamentare in cui erano confluiti, ma in quelle voci non c’era nulla di paragonabile con le reazioni suscitate dalla critica alle impronte digitali da prendere ai bambini rom. In quest’ultimo caso molti messaggi contrari, sia di lettori della rivista, sia di persone che non la leggono mai, come alcuni articoli di giornali del centrodestra, ci hanno dolorosamente colpito, non perché esprimevano opinioni diverse dalle nostre, e anche opposte – il che era perfettamente naturale in un Paese democratico - ma per il tono, il linguaggio, la durezza delle offese, l’augurio di malanni. Su tutto, dominava l’accusa di “cattocomunismo”, che mai ci saremmo aspettati con il nostro passato. di Beppe Del Colle, continua a leggere…

Ue, la sinistra non vota per Premio Sakharov a Hu Jia

I vertici della sinistra del Parlamento europeo hanno accolto molto freddamente, oggi a Strasburgo, la decisione di assegnare al dissidente cinese Hu Jia il Premio Sakharov per la difesa dei diritti dell'uomo. Durante il voto sull'attribuzione del Premio, avvenuto stamattina nella Conferenza dei presidenti dei gruppi politici (l'organo di autogoverno dell'Europarlamento), il presidente del Pse, Martin Schulz, e la tedesca Sylvia-Yvonne Kaufmann a nome della Sinistrea unitaria europea (Gue), si sono astenuti, visibilmente poco contenti della decisione.
L'astensione in questo caso non è un gesto di significato minore, visto che tradizionalmente (questa era la ventesima edizione del Premio Sakharov) l'attribuzione viene decisa per consenso: quando diventa chiaro quale candidato è sostenuto dai capigruppo rappresentanti la maggioranza dell'Europarlamento, tutti votano per quel candidato. Freddina, poi, è apparsa stamattina anche l'accoglienza dello 'stato maggiore' del Pse nelle prime file dell'Aula, al momento dell'annuncio ufficiale da parte del presidente dell'Europarlamento, Hans-Gert Poettering, tra gli applausi dell'Assemblea.
Sulle questioni riguardanti i diritti umani e le libertà civili, in genere, il Parlamento europeo si pronuncia poggiando su una solida maggioranza di centro sinistra (Pse, Gue, Verdi e Liberaldemocratici), a cui si aggiunge quasi sempre il Ppe, gruppo di maggioranza relativa, nei casi che riguardano più in particolare la difesa della dignità umana. E' piuttosto inedito, dunque, in questo caso, questa sorta di 'scollamento' del Pse e del Gue.
In questo caso, fra l'altro, l'attribuzione del Premio a Hu Jia era quasi obbligata, viste le furiose (se non minacciose) pressioni che hannpo cercato di esercitare le autorità cinesi sui membri più influenti del Parlamento europeo. Il 16 ottobre, in particolare, l'ambasciatore di Pechino presso l'Ue, Song Zhe, aveva inviato una lettera a Poettering e ai capigruppo politici in cui si affermava che l'eventuale attribuzione del Premio a Hu Jia avrebbe "offeso inevitabilmente il popolo cinese e deteriorato gravemente le realzioni fra la Cina e l'Ue". Song Zhe aveva anche avvertito che "non riconoscere i progressi realizzati in Cina in materia di diritti dell'uomo e insistere sulla confrontazione non potrà che approfondire l'incomprensione fra la Cina e l'Ue".

Le pressioni senza precedenti di Pechino sono state denunciate in particolare dal capogruppo liberaldemocratico, lo scozzese Graham Watson, e dai co-presidenti dei Verdi europei, Monica Frassoni e Daniel Cohn-Bendit, che erano stati i tre 'sponsor' iniziali della candidatura di Hu Jia (insieme ad altri 55 europarlamentari). Lo stesso Poettering, a margine della sessione plenaria del Parlamento europeo, ha dichiarato che "il Premio è attribuito a Strasburgo, non a Pechino", mentre un suo portavoce ha definito "controproducenti" le pressioni cinesi.
Il leader eurosocialista Schulz, da parte sua, aveva candidato inizialmente la franco-colombiana Ingrid Betancourt, ormai libera dopo essere stata sequestrata per anni dai guerriglieri delle Farc nella foresta colombiana, mentre un altro dirigente eurosocialista, l'olandese Jan Marinus Wiersma, aveva puntato sul bielorusso Aleksandr Kozulin (ex candidato alla presidenza del suo paese, condannato a cinque anni e mezzo di prigione), che era sponsorizzato anche dai popolari polacchi. I comunisti del Gue, invece, avevano proposto il Centro europeo per i diritti dei rom (Errc), una candidatura avanzata dall'italiano Vittorio Agnoletto, ma un'altra europarlamentare italiana dello stesso gruppo, Luisa Morgantini, aveva appoggiato Padre Apollinaire Malu Malu, presidente della Commissione elettorale indipendente del Congo. Su quest'ultima candidatura erano poi confluiti anche i socialisti, dopo che Betancourt era stata considerata esclusa (e in compenso invitata a intervenire davanti all'Europarlamento, ormai libera).
"Noi abbiamo sempre spinto - ha detto Monica Frassoni oggi a Strasburgo - affinché il Premio fosse attribuito a persone che stanno ancora nel mezzo della loro battaglia, e spesso nei guai, in modo da aiutarli rendendo più nota, più universale la loro azione. Siamo contrari, invece, a dare il Premio per favorire chi ha concluso, per così dire, il suo lavoro, ed è già iperconosciuto". Quanto alle pressioni di Pechino, la capogruppo verde ha rilevato che "se la situazione dei diritti umani in Cina non fosse drammatica, definirei quasi ridicoli questi tentativi di influenzare Parlamento europeo. Ora è chiaro che l'urgenza della questione dei diritti umani e delle libertà civili in Cina non è finita con le Olimpiadi".
Riguardo all'atteggiamento 'freddo' dei dirigenti del Pse, Frassoni ha osservato: "Francamente non lo capisco: forse erano stizziti per non aver ottenuto che il Premio andasse al loro candidato, com'era sempre avvenuto negli anni scorsi, e forse sono delusi per non essere riusciti a portarsi appresso il Ppe, come cercano spesso di fare. Ma soprattutto - ha concluso la capogruppo dei Verdi europei - mi sembra che temessero di contrariare la Cina, con quello stesso riflesso di 'realpolitik' che frena i governi dei Ventisette quando si tratta di denunciare gli abusi di Pechino".

Lucca, grande successo per Santino Spinelli

Grande successo per «Viandare», il seminario-concerto che ha permesso di avvicinarsi alla cultura Rom, o come più correttamente si è appreso si dica «romanì», che si è tenuto martedì scorso a Palazzo Ducale, organizzato dagli assessorati alle Politiche sociali e alla Pubblica istruzione della Provincia di Lucca.
L’incontro si è svolto durante l’intera giornata, con una mattina dedicata alle scuole, mentre la sera era aperta a tutti coloro che vogliono conoscere meglio questa cultura. Nonostante l’occupazione che sta avvenendo negli istituti scolastici, molti studenti hanno preso parte alle sessioni mattutina e pomeridiana della manifestazione, mentre numerose persone, anche appartenenti alla comunità rom lucchese, hanno partecipato al seminario-concerto della sera.
La particolarità dell’incontro di Palazzo Ducale è stata quella di unire le parole alla musica e alle danze: grande protagonista, infatti, è stato Alexian Santino Spinelli, musicista e docente universitario di lingua e cultura romanì, accompagnato da due danzatrici. Santino Spinelli (in foto), accompagnato dalla fisarmonica, ha dimostrato come echi della musica dei rom si trovino in numerose composizioni classiche dei secoli scorsi.
Le parole, invece, sono state affidate a Daniela Lucatti, scrittrice e psicoterapeuta, che ha letto alcuni brani tratti da libri che trattano la cultura rom. Molto partecipato il dibattito aperto da padre Luciano Meli, membro dell’Ufficio nazionale per la pastorale tra Rom e Sinti. Il seminario di Lucca ha rappresentato anche l’occasione per vedere il documentario “Building Resistance”, reportage della ricostruzione delle case di Gerusalemme est, da parte di associazioni di pacifisti, presentato dal giornalista di ‘Report’ Giuliano Marrucci.

Roma, Cassazione: lecita polemica "aspra" su razzismo

Quando si parla dei temi “caldi” dell'integrazione e del razzismo è lecita la polemica politica anche se condotta con toni aspri. Lo sottolinea la Cassazione che ha annullato la condanna per diffamazione inflitta alla segretaria di una sezione romana dei Ds, dalla corte d'appello di Roma il 18 settembre 2007, per aver diffuso un volantino nel quale si affermava che due esponenti locali di An alimentavano l'odio e l'intolleranza razziale appoggiando un gruppo di genitori contrari all'inserimento, nella scuola elementare frequentata dai loro figli, di un gruppo di bambini rom.
Per Giorgio Benvenuti e Luigi Celori, i due politici di An che condividevano la presa di posizione dei genitori in questione, avevano sporto denuncia chiedendo il risarcimento danni per diffamazione. A rispondere del volantino è stata la segretaria diessina Maria Colonna della sezione 'Porto Fluvialè della capitale, che si era occupata di quanto stava accadendo nella scuola elementare “Vincenzo Cuoco” dove era stato avviato il contestato progetto di inserimento dei bambini rom. Con successo la militante dell'attuale partito di Walter Veltroni ha sostenuto, innanzi ai supremi giudici di non essere punibile per avere legittimamente esercitato il diritto di critica.
Piazza Cavour - con la sentenza 38938 - le ha dato ragione rilevando che è «evidente che la polemica innestatasi sul tema si è mossa e sviluppata nell'ambito del confronto politico». Siccome - prosegue la Cassazione - «il diritto di critica assume connotazione di maggiore opinabilità quando si svolge in ambito politico, poiché risulta preminente l'interesse generale al libero svolgimento della vita democratica, non si richiede che l'esternazione si attenga a una fedele riproposizione di accadimenti reali essendone lecita l'elaborazione in un giudizio non necessariamente imparziale, in quanto espressione del retroterra culturale e politico di chi lo formula». Pertanto, l'accusa di alimentare l'odio e l'intolleranza razziale è stata ritenuto dal 'palazzacciò «strettamente attinente allo specifico della contesa politica e non eccedente i limiti di una normale contrapposizione ideologica». Maria C. è stata, dunque, assolta.

Roma, anche il Commissario pensa alla concentrazione di Sinti e di Rom

Lavoro finito: oggi il prefetto Carlo Mosca consegnerà al ministro dell´Interno, Roberto Maroni, il consuntivo del censimento nei campi nomadi romani da cui emerge un quadro desolante: metà dei 2.500 bambini trovati nei 50 campi visitati non erano mai stati vaccinati, il tasso di scolarizzazione è risultato molto basso e le condizioni di vita nei 40 insediamenti abusivi è apparso a livelli di estremo degrado. Il censimento è propedeutico alla "fase due", quella degli sgomberi e della riorganizzazione dei campi, punti salienti nei programmi di Maroni e del sindaco Alemanno. E a Roma, la ricognizione delle aree disponibili per è già partita.
Chiaro l´obiettivo dell´amministrazione: man mano che i campi abusivi verranno sgomberati, i 2.200 Rom e Sinti in condizioni di forte degrado identificati dal censimento saranno traslocati temporaneamente nei campi attrezzati già esistenti, e saranno poi accolti in una delle grandi proprietà comunali fuori dal Raccordo che la giunta provvederà ad attrezzare. Un elenco che, una volta completato, verrà consegnato al generale Mario Mori, come da lui richiesto. È infatti dell´ex capo del Sisde chiamato a dirigere l´ufficio Sicurezza la regia del piano mirato a stroncare gli insediamenti abusivi che spuntano come funghi negli angoli più nascosti della città.
Una strategia diversa da quella finora messa in campo dal gabinetto del sindaco. Secondo il generale Mori, infatti, non ci si può limitare ad interventi spot, con i Rom allontanati dalle baracche improvvisate sugli argini del Tevere o negli anfratti più nascosti a suon di cariche dei vigili urbani: inevitabilmente, non sapendo dove andare, i senza fissa dimora si spostano di qualche metro ricreando la stessa situazione di prima.
Ieri il capo della Sicurezza capitolina lo ha spiegato chiaramente al sindaco Alemanno e agli assessori Belviso e Marsilio durante la riunione riservata in Campidoglio: occorre dare una risposta più complessa coniugando sgomberi e accoglienza, repressione e politiche sociali. Individuando, appunto, un´area fuori dal Raccordo, il più distante possibile dai centri abitati...

giovedì 23 ottobre 2008

Bolzano, gli impegni di Radames Gabrielli

Questo sarà il mio impegno per voi:
- tutelare i diritti delle famiglie in disagio;
- favorire la ricerca di soluzioni abitative adeguate;
- incentivare la creazione di opportunità lavorative;
- combattere il razzismo dilagante in tutte le sue forme.
A pochi giorni dalle elezioni che si terranno domenica prossima a Bolzano per eleggere il Consiglio provinciale, pubblichiamo gli impegni politici assunti dal candidato Radames Gabrielli, Sinistra per l’Alto Adige. E’ indicativo che Radames Gabrielli si impegni davanti agli elettori di combattere tutte le forme di razzismo perché questo è un tema molto caldo della campagna elettorale che risente della morte di Haider, il leader della destra xenofoba austriaca.
Radames Gabrielli subito spiega le ragioni dei suoi impegni: «Sono un sinto, spregiativamente uno "zingaro" come mi chiamerebbero in molti. La mia famiglia vive da generazioni in Alto Adige, qui sono nato e cresciuto, così come i miei figli e nipoti. Ho conosciuto sulla mia pelle i problemi delle famiglie numerose e senza un reddito fisso, discriminate nella vita di tutti i giorni, nella ricerca di un lavoro e nel trovare un'abitazione adeguata».
Per queste ragioni Radames afferma: «Adesso voglio fare qualcosa per chi come me non vuole più essere discriminato, per chi vuole la possibilità di un lavoro adatto, per chi desidera un'abitazione dignitosa».
Votami perché sono come te.
Votami perché sono diverso da te.

Brescia, Sinti: impossibile diventare invisibili

"Abbiamo cercato di procurarci la vernice per diventare invisibili, ma purtroppo non l'abbiamo ancora trovata". Ci scherza sopra Sergio Suffer, dell'associazione Nevo Gipen (Nuova vita) che aderisce alla federazione “Rom e Sinti Insieme".
Nel campo di via Orzinuovi la Camera del Lavoro ha incontrato la stampa per ribadire che "c'è la necessità di una discussione tra l'amministrazione e le famiglie, se un incontro è andato male non bisogna chiudere la porta ma aprirne un'altra".
Secondo il segretario della Cgil bresciana, Marco Fenaroli, "le basi del dialogo dovrebbero iniziare con la fine delle stigmatizzazioni, bisogna smetterla di parlare male dei nomadi, dei rom e dei sinti, altrimenti il confronto non può nemmeno iniziare. Come dialogare", ha aggiunto Fenaroli, "con chi affigge sui muri i manifesti della demolizione del campo di via Girelli, e ci scrive -Uno in meno-?"
L'amministrazione comunale vuole il superamento dei “campi nomadi”, e in questo anche le famiglie sono d'accordo, "ma il superamento non può arrivare manu militari". La Cgil non vuole essere portavoce dei nomadi, ha continuato Fenaroli, "perché ogni famiglia si rappresenta da sé"; e questo rende la situazione più complicata perché l'assessore ai Servizi Sociali Giorgio Maione (in foto) "vorrebbe parlare con una sola persona, ma qua non c'é un rappresentante unico e allora bisogna parlare con tutti".
A raccontare le loro storie ci sono alcuni sinti di Brescia. Sergio Suffer si chiede dove possono andare: "Hanno detto no a tutto ora, con la nuova ordinanza, anche ai parcheggi. Verrebbe da dire che ci vogliono in mezzo alla strada ma anche in mezzo alla strada non possiamo più stare. L'ho detto, non siamo ancora riusciti a diventare invisibili".

C'erano delle bambine, nel campo, in età scolare, nonostante fosse mattina e dovrebbero essere a scuola; si sono giustificate con un "abbiamo perso l'autobus". "Ma di sicuro non riusciremo a mandare i bambini a scuola stando in mezzo ad una strada", ha aggiunto Suffer. La soluzione, secondo i Sinti, potrebbe essere quella di trovare micro aree dove lasciare le famiglie; un'ipotesi che pare essere già stata scartata dall'amministrazione. Nel campo ora abitano due o tre famiglie allargate, il che significa circa centoventi persone, anche se il numero preciso nessuno è sembrato in grado di darlo.
Francesco Held ha raccontato che "mio padre era nomade, quindi io sono nomade, se fosse stato avvocato non sarei stato qui". Di lavoro è giostraio, e un po' di tempo fa si era comprato un'area agricola in via Serenissima, a Buffalora, "per dare stabilità e un futuro a mia figlia. Un'area edificabile non potevo permettermela, così ho messo su la mia casetta in un'area non autorizzata. A quel punto è arrivata questa lettera, mi hanno sequestrato il terreno, mi hanno detto di portare via la mia casa, ma come faccio? Addirittura han detto che la casa la demoliscono e io devo pagare la demolizione!"
Come vivono i sinti del campo? Secondo Suffer, "la maggior parte si occupano della raccolta del ferro"; proprio in quel momento un furgone stava entrando. "Quell'uomo ha settant'anni e da quaranta raccoglie il ferro. Poi c'è la solidarietà delle famiglie, che aiutano i loro parenti più in difficoltà. Noi qui siamo controllati in continuazione", ha concluso poi, con amarezza, indicando le telecamere all'entrata, "c'è il Grande Fratello, ma nessuno di noi diventa famoso". di fr. zam

Roma, no al razzismo

Soffia sull’Italia il vento del razzismo. Afferma il tuo no al razzismo, l’appuntamento è per sabato 25 ottobre, alle ore 13.45, a Piazza della Repubblica, davanti alla Chiesa di S. Maria degli Angeli, dietro allo striscione “No al razzismo”.
Il pregiudizio etnico, il rancore sociale, l’odio per il diverso, si sono lentamente diffusi nel Paese, con intensità allarmante in alcune regioni.
E’ avvenuto per ragioni sociali, demografiche, culturali, di grande complessità, sulle quali è necessario riflettere e -per quanto possibile- intervenire. Ma ci sono anche fattori politici, soprattutto l’irresponsabile scelta di partiti e esponenti istituzionali di investire sulla xenofobia e sulla paura per conquistare più facilmente consensi elettorali.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. E ciò che vediamo non è una casuale combinazione di episodi di intolleranza, come il governo sostiene.
E’, invece, una impressionante e coerente sequenza di atti di violenza, compiuti sulle persone per la diversità della loro pelle, religione, cultura. Sono atti che avvengono in un preciso contesto culturale, linguistico, simbolico, a lungo alimentato da messaggi di ostilità, inimicizia, divisione. Per lacerare il Paese anziché unirlo. Per produrre nuove marginalità, anche tra i giovani e i bambini, fin dai banchi di scuola.
La Repubblica italiana non aveva mai conosciuto il razzismo in queste forme e dimensioni. Il Partito democratico ripudia questa degenerazione della convivenza civile, che offende i principi della dichiarazione universale dei diritti umani e quelli della Costituzione repubblicana. Perciò intende impegnarsi con tutte le sue energie affinché il razzismo venga riconosciuto, combattuto e sconfitto, in linea con le grandi scelte di civiltà che hanno ovunque segnato la storia dei partiti democratici.

Per questo invitiamo i cittadini che vogliano assumere questo impegno come prioritario per riaffermare i fondamenti della democrazia in una società multietnica e multiculturale, a partecipare alla grande manifestazione del 25 ottobre dietro lo striscione che porterà la scritta “NO AL RAZZISMO”. Un grande, sentito “no” che sarà anche un grande, sentito “per”. Per l’eguaglianza, per l’accoglienza, per una sicurezza civile e libera dai veleni dell’odio razziale.
Primi firmatari: Marcella Lucidi (in foto), Nando Dalla Chiesa, Jean Leonard Touadì, Livia Turco, Mario Scialoja, Moni Ovadia, Tobia Zevi, Claudio Cecchini, Paolo Masini, Cristina De Luca, Marguerite Lottin, Andrea Masala, Enrico Petrocelli, Alessia Marra, Francesco Spano, Alberto Martinelli, Giuseppe Ferrara, Daniele Cini, Nello Correale, Claudio Camarca, Liliana Ginanneschi, Associazione culturale “Rinascimento”, Darif Aziz, Emiliano Boschetto, Antonella Bucci, Khalid Chaouki, Victoria Chioma Ezenoko, Leonardo Dini, Emanuela Droghei, Abdelali El Asri, Innocent Eke, Federica Gaspari, Massimo Ghirelli, Madison Godoy, Luz Maria Gutierrez Escolastico, Sibi Mani Kumaramangalam, Tetyana Kuzyk, Giovanni La Manna, Stefano Mastrantonio, Ndjok Ngana, Christian Okpara, Carla Ortelli, Alberto Restovin, Gabriel Rusu, Romulo Salvador, Gabriella Taricone, Laura Terzani, Anna Maria Volpe Frignano, Zituni Zuani.
Per aderire all’appello, scrivi a: uguaglianze@partitodemocratico.it

Israele, inaccettabile la beatificazione Pio XII

''Il tentativo di far diventare santo Pio XII (in foto) è inaccettabile''. Suonano come una scomunica nei confronti di Pio XII le parole pronunciate contro la beatificazione di Papa Pacelli dal ministro per gli Affari sociali di Israele Isaac Herzog, che è anche responsabile degli Affari della Diaspora, della lotta all'antisemitismo e dei rapporti con le comunità cristiane. A riportare le dichiarazioni del ministro e' il quotidiano israeliano Hareetz.
''Durante il periodo dell'olocausto il Vaticano sapeva molto bene quello che stava accadendo in Europa'', ha aggiunto l'esponente del governo di Gerusalemme che poi ha spiegato: ''e non vi è alcuna prova, per ora, di alcun provvedimento preso dal Papa che, come Santa Sede, avrebbe potuto ordinare''. Quindi il ministro ha affermato: ''Il tentativo di far diventare santo Pio XII è una forma di ''sfruttamento dell'oblio'' rispetto a quei fatti e testimonia ''una assenza di consapevolezza''. ''Invece di essere coerente con il verso biblico nel quale si afferma 'Tu non permetterai che si versi il sangue del vicino' - ha detto ancora il ministro - il Papa rimase in silenzio e forse fece anche peggio''.
Parole durissime pronunciate questa volta non da un esponente di qualche organizzazione ebraica o da un rabbino, ma da un rappresentante del governo in carica di Israele che, peraltro, ha anche per mandato governativo il compito di gestire le relazioni con le comunità cristiane. Del resto le affermazioni di Herzog arrivano dopo settimane di polemiche intorno alla figura di Pio XII e ai ripetuti interventi del Papa e del Segretario di Stato vaticano in difesa di Pacelli e del suo operato durante la Seconda guerra mondiale.
Sul fronte israeliano la presa di posizione pubblica del Pontefice in favore di Pio XII ha fatto pensare a una sua imminente beatificazione. Da qui una serie di reazioni critiche verso la Santa Sede e la Chiesa cattolica. Ancora, ha destato scalpore l'ipotesi che il Papa non andasse in visita in Israele a causa della didascalia contenuta al memoriale della Shoah di Gersualemme, lo Yad Vashem, nella quale si leggono parole fortemente critiche verso Pio XII e il suo comportamento nel secondo conflitto mondiale.

Successivamente è intervenuto anche il presidente di Israele, Shimon Peres, per ribadire l'invito rivolto a Benedetto XVI a visitare la Terra Santa, tuttavia Peres ha confermato le riserve su Pio XII classificando però l'intero''l'affaire'' come vicenda del passato che non può incrinare gli attuali buoni rapporti con la Chiesa di Roma.
Da parte sua la Santa Sede, attraverso il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, provava a spegnere le polemiche specificando che il Papa aveva deciso di approfondire ulteriormente l'analisi su Pio XII - rimandando quindi la beatificazione - e osservando che la didascalia allo Yad Vashem, pur assolutamente non condivisa dalla Santa Sede, non poteva considerarsi un ostacolo al viaggio del Papa. E tuttavia nei giorni scorsi altri episodi hanno complicato la situazione. Un sito internet di sostenitori del partito di governo Kadima ha pubblicato un fotomontaggio raffigurante Benedetto XVI con una svastica. L'immagine è stata prontamente rimossa e il Primo ministro, Tzipi Livni, ha spiegato subito che l'immagine vergognosa non rappresentava in alcuno modo il suo pensiero o quello del suo partito.

Maroni si prepara a cacciare e a concentrare

I Rom e Sinti che hanno «il diritto» di stare in Italia vivranno in «villaggi attrezzati» dotati di acqua e luce, servizi igienici e servizio di raccolta rifiuti. Per tutti gli altri l'unica soluzione è lo sgombero perché tutti i campi abusivi saranno chiusi: e «va da se che non sarà consentita l'apertura di nuovi insediamenti.
Quattro mesi dopo l'annuncio che sarebbe stato eseguito un censimento dei “campi nomadi” presenti a Roma, Milano e Napoli - iniziativa che ha sollevato anche le proteste dell'Unione Europea, poi rientrate dopo le spiegazioni fornite dal Viminale - il ministro dell'Interno Roberto Maroni sottolinea che «l'ottimo lavoro» svolto dai commissari straordinari nominati dal governo, i prefetti delle tre città, Carlo Mosca, Gianvalerio Lombardi e Alessandro Pansa.
E presentando i numeri del censimento ricorda che l'ordinanza di protezione civile che ha stabilito le 'regole' per le rilevazioni «non è mai stata modificata, neanche dopo l'intervento della Commissione europea».
Il censimento ha accertato la presenza di 167 campi, di cui 124 abusivi e 43 autorizzati in cui erano presenti al momento della rilevazione 12.346 persone di cui 5.436 minori. Ma, ed è questo che preme di più a Maroni, almeno altrettante persone si sono allontanate dai campi quando hanno saputo dell'iniziativa.
«È un effetto importante» dice infatti il ministro, secondo il quale la maggioranza di quelli che sono spariti erano cittadini romeni di etnia rom che sarebbero andati in Francia, Spagna e Svizzera. Nei prossimi giorni - aggiunge Maroni - definiremo gli ambiti e i progetti da mettere in atto, in modo da procedere in maniera spedita e arrivare a completare gli interventi entro maggio dell'anno prossimo».
Il primo passo sarà lo sgombero dei campi abusivi e l'individuazione dei siti idonei dove realizzare quelli attrezzati. Intervento questo, assicura Maroni, che verrà fatto 'd'intesa con gli enti locali. Successivamente verranno realizzati quegli interventi necessari per il ripristino delle condizioni socio-sanitarie all'interno dei campi autorizzati e partirà la scolarizzazione dei minori.

«Il nostro obiettivo - dice ancora il ministro - è di passare dai campi nomadi semplicemente autorizzati o tollerati ad una struttura che sarà un vero e proprio villaggio attrezzato dove potranno vivere in condizioni civili tutti coloro che hanno il diritto di rimanere in Italia. È un piano ambizioso che vuole mette fine a questo sconcio e creare un modello che possa essere d'esempio come 'best practice' per tutta l'Europa».
Ma secondo l'opposizione la questione dei Sinti e dei Rom non si risolve sfidando l'Europa. Così il capogruppo del Pd nella commissione Politiche europee della Camera, Sandro Gozi, risponde al ministro Maroni. «Non è sfidando l'Europa che il governo potrà risolvere la questione nomadi - sottolinea - non è dichiarando di trascurare le regole europee che potremmo tutelare il nostro interesse nazionale in materia di sicurezza. Al censimento deve seguire un vero programma di integrazione e proposte costruttive per una vera sicurezza sul nostro territorio che si può assicurare solo attraverso una forte cooperazione con i governi e le istituzioni europee e non contro o a prescindere da loro. Abbiamo bisogno di capire quale sia la linea del governo in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari dato che al momento - conclude - c'è solo una serie di dichiarazioni contraddittorie». di l’Unità