«Abbiamo fatto di tutto per cercare un dialogo, ma non c’è stato nulla da fare. Questa è gente che non vuole integrarsi, sono persone arroganti che vivono nell’illegalità, ho anche subito un’aggressione qui in municipio da uno di loro e ho presentato denuncia alla magistratura».
Ha i nervi a fior di pelle Giuseppe Caridi, primo cittadino Ds di Pessano con Bornago, ottomila abitanti a una ventina di chilometri da Milano. Da anni, come molti dei suoi colleghi sindaci dell’hinterland, combatte una battaglia persa contro gli insediamenti abusivi dei rom nelle campagne ai confini del paese, senza in realtà venire a capo di nulla e ingoiando bocconi amari uno dopo l’altro.
«Tutto è cominciato diversi anni fa quando due o tre famiglie rom hanno comprato un terreno agricolo in piena campagna e ci hanno costruito delle baracche - racconta -. Noi abbiamo subito cercato di trovare un dialogo. Speravamo che col tempo la situazione sarebbe rientrata nella legalità, che avrebbero abbandonato il terreno, normalizzandosi. Così, all’inizio, abbiamo nominato un insegnante a scuola per integrare i bambini, abbiamo disposto un bagno con doccia a loro uso esclusivo perché arrivavano in classe sporchi, li abbiamo inseriti nelle associazioni sportive del paese per non farli stare per strada e gli abbiamo pure dato i buoni alimentari per fare la spesa. Ma non c’è stato nulla da fare. Da parte loro solo un muro. Ci avevano promesso che sarebbero rimaste tre famiglie, e invece adesso ci sono almeno cento persone».
Parabola di un’integrazione difficile, se non impossibile. Che accomuna, uno dopo l’altro, tutti i sindaci dell’hinterland, angosciati da insediamenti abusivi in crescita, preoccupati che i rom cacciati da Milano si riversino in provincia e poco disposti ad accoglierne altri nei loro territori già in emergenza.
Secondo Giorgio Bezzecchi (in foto) dell’Opera Nomadi di Milano: «Sono circa in tremila, tra rom, sinti e romeni, i soggetti che vivono nei paesi della provincia. Pochissimi sono i gruppi ancora dediti al nomadismo, molti sono quelli che acquistano pezzi di terreno in campagna e poi ci costruiscono casupole, e poi c’è una terza via, quella dell’occupazione abusiva di aree abbandonate».
Come a Pioltello, per esempio, dove, a ridosso della statale 11, centocinquanta romeni si sono infilati tre anni fa in una cascina diroccata di proprietà privata e da allora non se ne sono mai andati tormentando di furtarelli l’Auchan, che si trova a due passi.
«Alla Cascina Bareggiate vivono stabilmente e abusivamente almeno 150 romeni - spiega il sindaco Ds Antonio Concas -, a loro abbiamo detto che li tollereremo finché non avremo raggiunto un accordo con il proprietario dell’immobile. Il nostro progetto è di acquisire l’area per costruire un parco pubblico di 10mila metri quadrati. A quel punto dovranno andare via e fino ad allora le famiglie ci hanno promesso che impediranno nuovi arrivi. Ma la situazione non è facile. Pioltello mette insieme più di 60 etnie, proprio l’altro giorno in via Mozart un gruppo di abitanti maghrebini si è messo a ripulire l’intero quartiere, ma con gli abitanti della cascina Bareggiate è diverso. A loro il concetto di integrazione va spiegato da zero».
Un’insofferenza ormai ai limiti quella dei comuni che, da soli, non sono in grado di gestire un disagio sempre più grande. A parte i tentativi (falliti) di creare un dialogo, il ricorso a sgomberi che però si rivelano inconcludenti (perché i rom tornano ad occupare le aree da cui sono mandati via), nessuno di loro è riuscito finora a trovare soluzioni valide per sanare il problema.
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