Ieri mattina alla Facoltà di Scienze Statistiche della Sapienza di Roma si è tenuta la conferenza stampa del Coordinamento Rom Capitolino che ha denunciato la gravissima situazione vissuta dalle popolazioni sinte e rom. Interventi durissimi di Bruno Morelli e Graziano Halilovic (Comitato Rom e Sinti Insieme) nel denunciare le politiche governative e capitoline.
Morelli si è detto "indignato" di fronte ad una società "che considera un'etnia come un branco di pecore, senza identità, e li ammassa e li recinta, in quello spazio contenitore che è il campo, annullando le differenze di tradizione, cultura e pratiche religiose, annullando cioè la storia di ciascuna comunità". Per Morelli tutto questo significa soltanto "razzismo, intolleranza, odio verso la diversità. In una società sempre più omologata non c'è posto per un popolo, il nostro, che si ostina ad essere se stesso".
"La legge 482 del 1999 tutela la lingua e la cultura delle minoranze albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo - ha continuato Morelli - ma alle minoranze storiche rom e sinti, stanziali in Italia sin dal quindicesimo secolo, non è riconosciuto nessun diritto ad esistere. Finché non si riconosce l'esistenza di una minoranza etnica e linguistica, rom e sinti saranno sempre trattati come pezzenti da reprimere e recintare".
Graziano Halilovic ha dichiarato "Basta lucrare sulle nostre spalle. Vogliamo case, non campi. Le associazioni ci dicano da che parte stanno". Undici milioni di euro in tre anni dalla Regione Lazio, quattro milioni dal Comune di Roma e un ulteriore contributo da parte della Provincia di Roma, per rivedere l'assetto dei campi rom.
In tutti gli interventi della mattinata ci sono attacchi alla amministrazione capitolina e al governo per i contenuti, ma anche per il processo decisionale, del Patto per la sicurezza. “Il processo che ha portato a questo documento – spiega Graziano Halilovic– è passato sopra le nostre teste. Si tratta di un comportamento degno di uno stato autoritario che ha prodotto un risultato dal sapore ancora più autoritario. Ho sentito le istituzioni parlare spesso di solidarietà e integrazione, ma l’intento mi sembra quello di isolare e nascondere il diverso. Di integrazione non c’è traccia. Stiamo lavorando a un progetto comune, con il comitato “Rom e Sinti insieme” nato a marzo, per presentare delle proposte alternative alla questione a livello nazionale. Deve esserci lasciata la libertà di scelta, ci devono permettere di elaborare vie alternative, altrimenti il pericolo che la situazione si faccia difficile è altissimo”.
Alla conferenza stampa erano presenti i rappresentanti di alcuni dei cosiddetti "campi nomadi" della Capitale. “Per noi sembra che non ci debba essere nessuna integrazione, ma solo lager in cui perdere la dignità di esseri umani”, hanno denunciato i rappresentanti rom che hanno fatto emergere tutti i pericoli insiti nella “deportazione” dei Rom della Capitale in quattro grandi “Villaggi della solidarietà”, fuori dal raccordo anulare, prevista nel Patto per la sicurezza firmato dal sindaco capitolino Walter Veltroni con il ministro dell’interno Giuliano Amato.
Uno dopo l’altro i rappresentanti dei campi hanno raccontato il loro percorso, sottolineando le difficilissime condizioni di vita che si sono protratte per decenni. Il 95 per cento dei Rom presenti nella Capitale è stanziale, con particolare riferimento al grande insediamento di Castel Romano, proposto da alcuni come modello, per struttura e dimensioni, dei “Villaggi” previsti nel Patto per la sicurezza.
“Non abbiamo acqua potabile, siamo isolati dal mondo – ha deninciato Meo Hamidovic di Castel Romano – ci siamo spostati nel 2005 da vicolo Savini, sradicando i nostri bambini dal tessuto sociale nel quale si erano faticosamente inseriti, in quella che doveva essere un’area ‘attrezzata’. Qui però abbiamo trovato 220 container per oltre mille persone, a otto chilometri dal centro abitato più vicino, senza neanche un filo d’ombra e una fermata dell’autobus. Ma soprattutto nel campo non c’è acqua: l’unica che possiamo avere è quella fornita da un pozzo, per due ore al giorno, che non è potabile ed è inquinata”.
Una situazione difficile che verrà raccontata e denunciata nel corso di una manifestazione, giovedì 19 luglio dalle ore 19.00, organizzata all’interno del "campo", al km 20 della via Pontina, in cui l’acqua del pozzo verrà imbottigliata come “Acqua della fonte della solidarietà” e donata alle autorità politiche e istituzionali responsabili. Gli ospiti verranno accolti con cibi tradizionali, cortei musicali itineranti e poesie delle culture rom.
In foto Graziano Halilovic (a destra) con Demir Mustafa (Arci Toscana)
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