Quando ci riferiamo a “minoranze etniche” intendiamo tutti coloro che fanno parte di minoranze nazionali la cui tutela viene garantita dalla Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e relativi Protocolli, dalle convenzioni e dichiarazioni delle Nazioni Unite, dalla Conferenza sulla sicurezza la cooperazione in Europa e dalla Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, approvata a Strasburgo il 1º febbraio 1995 e ratificata dall’Italia con legge 28 agosto 1997, n. 302, nel cui preambolo si legge che “una società che si vuole pluralista e genuinamente democratica deve non solo rispettare l'identità etnica, culturale, linguistica e religiosa di ogni persona appartenente ad una minoranza nazionale ma anche creare condizioni appropriate che le consentano di esprimere, di preservare e di sviluppare questa identità”.
La stessa Convenzione –quadro introduce tuttavia un principio che è quello che qui ci interessa: “Nell'esercizio dei diritti e delle libertà che scaturiscono dai princìpi enunciati nella presente Convenzione quadro, le persone appartenenti ad una minoranza nazionale rispettano la legislazione nazionale ed i diritti altrui, in particolare quelli delle persone appartenenti alla maggioranza o ad altre minorità nazionali (Art. 20)”. Il nodo problematico da superare specie fino agli anni ’90 del XX secolo era costituito dalla necessità di riconoscere la condizione di iteranti di queste minoranze, spesso in movimento e dunque in certo modo in una condizione di transfrontalieri in un momento nel quale la stanzialità e soprattutto l’inviolabilità dei confini si identificava con forza con il concetto di Stato nazionale.
In tal senso si comprende allora lo spirito dell'art. 18, comma 2 della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, che riconosce nella promozione della cooperazione transfrontaliera e interregionale e nella stipulazione di intese con Stati esteri lo spirito fondamentale per la tutela di queste minoranze.
A queste si affiancano la direttiva sull’uguaglianza razziale (2000/43/CE), che vieta, nella vita di tutti i giorni, la discriminazione fondata sulla razza o sull’origine etnica, e la direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione (2000/78/CE), che vieta la discriminazione, in materia di occupazione e formazione, fondata sulla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.
È altresì vero che la condizione dei rom costituisce forse il nodo più cruciale sul quale la stessa Unione europea si è spesso interrogata ed ha stilato rapporti illustrando la condizione di queste minoranze. di Paola Balbo, continua a leggere...
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