La significativa presenza, all’interno delle scuole, di bambini stranieri ha evidenziato e fatto emergere prepotentemente la questione della cultura e della lingua come elementi basilari da tenere nella dovuta considerazione nel percorso scolastico, tanto che le parole educazione e pedagogia interculturale sono ormai entrate nel linguaggio complessivo della scuola.
I Rom e i Sinti, pur essendo, per la maggior parte Cittadini Italiani, possono essere considerati gli stranieri più vecchi (in Italia dal 1400) per quanto riguarda LA LORO CULTURA E LA LORO LINGUA anche se questi due aspetti non sono mai stati sufficientemente accreditati se non per gli aspetti più appariscenti e folcloristici quali il nomadismo, l’abbigliamento, le abitazioni…
Ma, gli insegnanti con bambini rom in classe, prima ancora che iniziasse l’immigrazione da altri paesi e non si fosse sviluppato un dibattito così forte sulla cultura, sulla lingua altra e sull’apprendimento dell’italiano come seconda lingua (L2), dovevano comunque fare i conti con questi due fattori. I bambini stessi li ponevano quotidianamente e, a meno che uno non chiudesse occhi ed orecchie, non era possibile ignorarli.
Come si fa ad ignorare una bambina che si pone e ti pone questa domanda:
"Perché Maria Grazia devo imparare a parlare come gli altri bambini e gli altri bambini invece non devono imparare a parlare come parlo io?" E quasi per una forma di protesta o per farci capire il suo disagio psicologico e le sue oggettive difficoltà, a volte, si rapportava con me e con i docenti solo in lingua romanés: io le chiedevo qualcosa e lei parlava e rispondeva solo utilizzando la sua lingua romanés. La risposta potrebbe sembrare facile, bastava dire che nessuno conosceva la sua lingua, ma in realtà non era solo questo, la richiesta esprimeva un bisogno più interiore rispetto alla sua identità.
Ancor oggi, infatti, nonostante l’interculturalità sia una concetto acquisito e condiviso in una realtà sociale e scolastica multiculturale, sembra che il progetto interculturale arrivi fino ad un certo punto oltre il quale ci sono i rom e i sinti.
Nell’unica e superata C.M. 207/86 “Scolarizzazione degli alunni nomadi e zingari” i bambini rom vengono definiti come “soggetti svantaggiati sul piano socioculturale”, ma l’appartenenza ad una cultura diversa e il parlare una lingua diversa, peraltro antichissima, può determinare uno svantaggio socioculturale?
Con quali parametri viene valutato lo svantaggio? Qual è la cultura di riferimento rispetto alla quale la cultura rom è inferiore?
Non c’è forse il rischio di confondere gli elementi propri della cultura romanì con gli effetti dell’emarginazione e dell’esclusione sociale, propri di qualsiasi comunità costretta a vivere in determinate condizioni?
La scuola, e non solo, avrebbe il compito e il dovere di chiarirsi sul modello culturale a cui fare riferimento e dimostrare che l’educazione interculturale può tradursi in forme organizzative e strategie didattiche di lavoro quotidiano, NON solamente come interesse e scelta del singolo docente più sensibile e motivato perché ha il bambino rom/sinto in classe, ma come progetto anche dove non frequentano bambini rom, sinti o bambini stranieri. Solo in questo modo si concorrerà a costruire quel dialogo necessario ad una civile e positiva convivenza, eliminando qualsiasi forma di barriera fisica, mentale, culturale, che ci impedisce di conoscere ed interagire con chi è diverso.
Non è quindi possibile parlare di didattica interculturale relativamente ai rom e ai sinti senza un legittimo riconoscimento della culturale e della lingua romanì, condizione inderogabile per la costruzione e la condivisione del progetto educativo interculturale tra le comunità Rom-Sinte e la scuola .
La Didattica interculturale
Diventa però superficiale e riduttivo parlare di DIDATTICA INTERCULTURALE facendo riferimento solamente alla canzonetta, al balletto, alla poesia, o alla costruzione della maschera africana…, in quanto tali interventi potrebbero fissare e non contrastare gli stereotipi e i pregiudizi.
Un progetto interculturale dovrebbe, a mio giudizio, innanzitutto contemplare la DIMENSIONE RELAZIONALE tra i docenti della scuola e le famiglie dei i bambini rom /sinti.
Come può fare un insegnante a progettare il suo intervento educativo e didattico se non conosce le modalità educative dei bambini rom?
Come fa ad interpretare i loro comportamenti ed atteggiamenti nel momento in cui si differenziano dagli altri bambini?
Come predisporre gli interventi per motivarli, per gratificarli, per valorizzarli! Quali modalità deve mettere in campo per rimproverarli e in quali circostanze è doveroso farlo?
Rispetto a questi interrogativi risulta troppo sbrigativo e teorico sostenere ed esigere il rispetto delle regole in base al principio di uguaglianza di tutti gli alunni: tale affermazione diventa irrealizzabile se non si parte dal presupposto che “a volte” il punto di partenza della maggior parte degli alunni non rom/sinti costituisce il punto di arrivo per gli alunni rom/sinti, traguardo che richiede una progettazione specifica sulle competenze sociali e comportamentali da acquisire all’interno della scuola.
Non si chiede agli insegnanti di accettare o di condividere le scelte educative dei rom e dei sinti, anzi si potrebbe anche essere contrari ai loro stili educativi, ma si richiede conoscenza, comprensione e rispetto per chi ha adottato un modello educativo adeguato alla vita di un “popolo nomade”, secondo convinzioni e motivazioni storiche, culturali e sociali.
Come si può adeguare il nostro intervento educativo e non conoscere che il bambino rom viene educato all’autonomia, ad essere responsabile delle sue scelte, che difficilmente viene obbligato a fare ciò che non vuole, che diverse sono le modalità del rimprovero, che è innanzitutto educato al vincolo del sangue, alla solidarietà della sua famiglia e del suo gruppo di appartenenza in opposizione alla società stanziale spesso ritenuta minacciosa e nemica…
Ecco quindi l’importanza della conoscenza e del dialogo innanzitutto con le famiglie dei bambini rom e sinti e, dove non fosse possibile, attraverso il rapporto con i mediatori culturali dello stesso gruppo rom/sinto, grazie ai quali diventa più semplice la disponibilità, l’apertura e l’interazione per realizzare il percorso di continuità educativa tra ciò che il bambino apprende nel suo contesto familiare e ciò che deve imparare a scuola.
Un secondo aspetto che la DIDATTICA INTERCULTURALE dovrebbe considerare riguarda la METODOLOGIA DELLE SINGOLE DISCIPLINE : si può forse sottovalutare che il bambino rom/sinto appartiene ad un popolo con una cultura orale?
Un’approfondita e seria riflessione pedagogica sullo stile cognitivo di bambini di cultura orale, probabilmente potrebbe scandagliare meglio le loro difficoltà di apprendimento (nelle nostre scuole) e di conseguenza ricercare e sperimentare le strategie adeguate da adottare.
Nella scuola infatti si registrano tra i vari docenti posizioni differenziate: alcuni sostengono che i bambini rom/sinti hanno uno stile cognitivo uguale a qualsiasi altro bambino e di conseguenza si devono adottare gli stessi metodi per l’apprendimento; altri invece sono convinti che la causa dell’insufficiente apprendimento è da addebitare allo stile cognitivo diverso; altri ancora considerano le difficoltà di apprendimento come dei disturbi e quindi propongono metodologie ed interventi simili a quelli che si utilizzano con i bambini disabili o con percorsi individualizzati fuori dalla classe.
Escludendo però che tutti i bambini rom possano avere deficit intellettivi, i dati oggettivi relativi all’apprendimento, sono estremamente al di sotto degli standard minimi richiesti per tutti gli alunni: nella maggior parte dei casi i bambini rom/sinti raggiungono un livello nettamente inferiore a quello degli altri bambini, pur restando spesso a scuola per tempi più lunghi rispetto agli altri; in molti casi non riescono ad acquisire nemmeno la strumentalità della lettura e della scrittura, motivazione primaria per cui i rom mandano i loro figli a scuola.
Si può ignorare che nel loro gruppo si esprimono e comunicano in romanés e che la competenza nella lingua italiana potrebbe essere molto limitata?
Considerando poi che nella maggior parte dei casi sono bambini che hanno esperienze esclusivamente con i coetanei del loro gruppo e che i bambini non rom difficilmente fanno amicizia con loro, anzi spesso li temono, non si può non intervenire a livello metodologico con modalità socializzanti e di lavoro cooperativo.
Tutto questo potrebbe richiedere un’organizzazione della classe più flessibile, per piccoli gruppi o attività di insegnamento personalizzato, con orari di lavoro ben definiti ed con criteri valutativi adeguati al percorso didattico delineato.
Infine parlare di DIDATTICA INTERCULTURALE, significa non trascurare i percorsi di EDUCAZIONE ALLE DIVERSITÀ, come sfondo integratore delle discipline, non come spazio a parte, non come qualcosa che si aggiunge, ma qualcosa che va a modificare, a integrare le discipline scolastiche seguendo due livelli:
- livello base secondo il principio che non siamo tutti uguali, ma TUTTI DIVERSI, allo scopo di far acquisire agli alunni gli strumenti di base, l’alfabeto e quelle competenze utili per affrontare tematiche più impegnative. Se la finalità educativa per interiorizzare che “diversità” non è sinonimo di inferiorità, ma costituisce una risorsa utile per tutti, è necessario in questa fase, a mio parere, lavorare su un terreno neutro, utilizzando più codici, dai semplici racconto ai film, che favoriscano la riflessione sulle dinamiche e sui comportamenti tra soggetti diversi: “la rana che vuole diventare grande come il bue, l’elefantino Dumbo che viene deriso per le sue orecchie… il traghetto sputa acqua che per sentirsi accettato deve uccidere…” o film sull’identità, sulla difficoltà di comprensione, sui pregiudizi…
- livello specifico per la conoscenza del mondo rom, della cultura e della storia, cultura che si confronta ed interagisce alla pari con altre culture, a cui è dovuto rispetto e considerazione.
Testimonianze Sinte/Rom
“NON ASSIMILATECI” chiede Yuri Del Bar, Mediatore Culturale Sinto, attualmente Consigliere Comunale nella città di Mantova “costruiamo insieme una scuola interculturale, una scuola dove vi siano tracce della nostra cultura e della nostra storia di rom e sinti italiani. La mia è una cultura orale, non una cultura scritta. La scuola per la cultura sinta non ha lo stesso valore che ha nella cultura maggioritaria, dove è anche uno strumento sociale. La scuola, per la mia cultura adesso, è vista come strumento per imparare a leggere, scrivere e far di conto, pura istruzione. La nostra associazione, ed io come mediatore culturale, tende ad aiutare i ragazzi ad avere un’esperienza positiva nella scuola perché loro saranno i genitori di domani. Se un genitore ha avuto una buona esperienza scolastica quando era bambino, aiuterà il proprio figlio nella sua esperienza scolastica. Un’ultima cosa rivolta agli insegnanti: un bambino sinto per sentirsi bene a scuola, deve sentirsi ACCETTATO. Provate ad immaginare per un attimo un mondo dove la mia cultura, maggioritaria in senso numerico, obblighi i vostri figli, minoranza in senso numerico, a frequentare la nostra “scuola”, il nostro modo di educare.”
Anche Giorgio Bezzecchi , Mediatore culturale e linguistico rom e consulente presso scuole, Enti locali, Associazioni… afferma “una particolare ATTENZIONE ALLA CULTURA ED ALLA LINGUA DEI ROM E DEI SINTI non soltanto incoraggerà la frequenza, ma potrà fornire agli stessi un valido aiuto perché acquistino una piena coscienza culturale dell’oggi e del domani La sfida culturale che la scuola dovrebbe percorrere è innanzitutto quella di accogliere il bambino rom e sinto col suo bagaglio culturale, la sua lingua, le sue condizioni di vita spesso difficili e conflittuali con la società maggioritaria…”
di Maria Grazia Dicati, insegnante
2 commenti:
Non sapendo come fare a comunicarvelo lo faccio qui.
Trovo la disposizione delle pagine non facile.
Forse sarebbe meglio che venisse visualizzato il titolo e le prime righe dell'articolo, trovo infatti difficile a volte recuperare l'articolo di pochi giorni prima.
E' solo un 'osservazione che non sapevo come comunicare...eliminate quindi pure questo commento in totale OT con l'argomento trattato.
Saluti
Stefano
ciao Stefano, ti ringraziamo per questo commento.
sappiamo che il nuovo blog ha diversi problemi e tu li hai subito evidenziati con efficacia.
inoltre, è evidente che un blog dovrebbe essere uno spazio di discussione aperto che aiuti a tutti noi il confronto e la crescita; non riuscire a visualizzare gli ultimi commenti dei lettori è un grosso limite di questa piattaforma.
in queste settimane stiamo cercando di risolvere i problemi da te segnalati con l'aiuto di Fabrizio di Mahalla ma non è semplice.
per questa ragione stiamo anche valutando la possibilità di chiedere la consulenza di un esperto in linguaggio htlm.
ti chiediamo di avere pazienza, anche per quanto riguarda la risoluzione video, e continuare a seguirci.
speriamo di risolvere tutti i problemi entro il prossimo mese.
grazie, sucardrom
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