martedì 16 ottobre 2007

Mai più bambini in carcere

Il diritto all'infanzia cambia ancora di più se si tratta del figlio di una rom o di una italiana. Nel primo caso si finisce dentro, col proprio piccolo, anche per un tentativo di furto di telefonino (sic!), nel secondo caso, per fortuna, ciò non avviene anche per reati ben più gravi.
In un paese che ama definirsi la culla della civiltà giuridica e che pone la famiglia e l'infanzia al primo posto, ci sono ancora circa 40 bambini in carcere di età inferiore ai 3 anni. Bimbi in cella con le loro madri, colpevoli di essere figli di straniere in attesa di giudizio. Persone alle quali non vengono concessi gli arresti domiciliari perché non hanno una fissa dimora e i servizi sociali non sono intervenuti.
Intanto l'estate scorsa a Rebibba due detenute straniere hanno partorito nell'infermeria del carcere perché la magistratura di sorveglianza non ha fatto in tempo ad autorizzare il trasferimento in ospedale delle gestanti. Attualmente a Rebibbia ci sono venti mamme e rispettivi figli in tre stanze sovraffollate.
Nel frattempo politici di turno affilano pacchetti sicurezza che estendono l'applicazione della custodia cautelare in carcere (già oggi il 60% dei detenuti è ancora in attesa di giudizio) come soluzione dei problemi della comunità. Dimenticando che il vero male della nostra società è il crimine organizzato e che in carcere i detenuti appartenenti alla criminalità organizzata rappresentano soltanto il 2,5% dei condannati.
Dimenticando che i detenuti per crimini contro la pubblica amministrazione rappresentano soltanto il 3,5% del totale, gli stranieri oltre il 35%. Una giustizia dunque su due livelli, debole con i forti, implacabile con i più deboli anche se in attesa di una sentenza definitiva, anche se con prole sotto i 3 anni.
Oggi, più di ieri, viviamo in un paese che dimentica con troppa facilità le pre-regole del gioco democratico, il rispetto della dignità della persona che dovrebbe essere il "meta valore", come insegna Bobbio, di un sistema democratico.
Nessuna maggioranza può decidere di uccidere o torturare un uomo. Nessuno dovrebbe costringere un bambino a vivere i primi anni di vita dietro le sbarre. Eppure la prima volta che sono entrato in un nido di un carcere (a Bellizzi Irpino) i bambini sono scoppiati a piangere. Da rinchiusi non erano abituati a vedere facce nuove e maschili. A Roma, per fortuna, non si è ripetuto lo stesso dramma probabilmente perché i bambini di Rebibbia frequentano l'asilo pubblico e il sabato escono dal carcere accompagnati da volontari.
Intanto a Milano è nata una casa famiglia per le madri detenute, senza sbarre e con personale della polizia penitenziaria senza divisa.. Iniziative del genere stanno per prendere luce a Roma, Venezia e Firenze. Ad Avellino, invece, non esiste nessuna convenzione tra carcere e asili pubblici, e i bimbi sono dentro per 360 giorni all'anno perché gli enti locali e la società civile continuano a dormire, nonostante le denunce e i solleciti dell'associazione Antigone.Così il diritto all'infanzia cambia a seconda che la detenuta madre venga "spedita" a Milano, Roma o Avellino. Il diritto all'infanzia cambia ancora di più se si tratta del figlio di una rom o di una italiana. Nel primo caso si finisce dentro, col proprio piccolo, anche per un tentativo di furto di telefonino (sic!), nel secondo caso, per fortuna, ciò non avviene anche per reati ben più gravi.Ormai da più di un anno alla Camera giace un disegno di legge per la tutela del rapporto tra detenute madri e propri figli. Una legge che permetterebbe di porre fine all'aberrante detenzione di piccoli innocenti. Ma l'attuale coalizione di maggioranza sembra essere attenta solo alla propaganda e il 23 ottobre prossimo discuterà il nuovo pacchetto sicurezza. di Gennaro Santoro, continua a leggere…

Nessun commento: