martedì 23 ottobre 2007

Moni Ovadia, chi attacca i Rom è razzista

«Tutti coloro che attaccano e insultano i Rom esordiscono dicendo di non essere razzisti: invece sono sempre e solo dei fottuti razzisti».
Non ha mezze misure Moni Ovadia, drammaturgo di origine ebraica da molti anni attivo in Italia, nel parlare dell’«Altro e il suo ingombro», al centro della Lectio magistralis per una laurea ad honorem ricevuta oggi dall'Università di Pavia.
«Per noi l'altro è sempre ingombrante - afferma Ovadia - basta assistere a una qualsiasi riunione di condominio. Ma oggi il più ingombrante di tutti è l'immigrato perchè porta una cultura diversa e, soprattutto, i Rom, che vengono attaccati senza misura in tutto il Paese».
Il drammaturgo, attore, musicista, studioso e divulgatore della cultura yiddish, fa anche provocatoriamente appello «alla coerenza di questo Paese ricco di buoni sentimenti cristiani: i peggiori criminali dei nostri tempi non sono Rom o Sinti, ma di ricchi Paesi occidentali. E se Gesù tornasse oggi - si chiede - rinascerebbe in una sezione della Lega Nord o in accampamento di nomadi?»
Ma, anche se è una generalizzazione assai sommaria, in molti sottolineano, con statistiche alla mano, che un'importante percentuale dei reati degli ultimi tempi nel nostro Paese è stata compiuta da cittadini rumeni. «Non nego - risponde Ovadia - che vi possono essere problemi da quelle nazioni che escono da una dittatura come quella di Ceausescu, ma gli alti tassi di delinquenza portati all'estero hanno riguardato in passato altre etnie uscite da situazioni difficili. A partire dagli italiani, dagli irlandesi e anche dagli ebrei che esportavano una loro mafia non trascurabile.
Non appena la Romania avrà sistemato i suoi problemi, specie economici, le cose torneranno nella norma. E noi non dobbiamo abbandonare l'utopia di un mondo migliore», dice Ovadia, che ha appena concluso al Piccolo di Milano le recite di uno spettacolo intitolato proprio “La bella utopia”, incentrato sul “sogno” comunista-socialista.
«Una conferma che non bisogna scoraggiarsi - afferma il drammaturgo, arrivato da bambino a Milano durante la Seconda guerra mondiale con la famiglia prima residente in Bulgaria - viene dall'emancipazione femminile: solo un secolo fa si sosteneva che le donne avessero un'intelligenza assai inferiore agli uomini. Molte cose sono cambiate, anche se uscite come quelle del premio Nobel Watson sull'inferiorità intellettuale dei neri sono delle vere pugnalate alle spalle, almeno per me - spiega Ovadia - che da ragazzo ho anche tradotto in italiano i sui libri. Ma il razzismo è una brutta piaga e l'Italia non è esente».
Ora Ovadia, che non definisce Milano come la sua città, a parte l'oasi del Piccolo Teatro, porterà in Italia lo spettacolo sull'utopia comunista, ma ha nel cuore un progetto ambizioso: la nascita di una struttura didattica creativa per attori-musicisti, che sappia creare un ambiente nel quale musica e scena teatrale interagiscano con forza. «E che alla base della cultura Rom vi sia questo connubio, forse non è un dettaglio».

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