In merito all’intervista del giornalista Francesco Paolillo al sindaco Giuseppe Scopelliti, pubblicata su “Il quotidiano della Calabria” in data 06/11/2007, vorremmo pubblicaste alcune nostre considerazioni.
Riteniamo che le dichiarazioni del primo cittadino e del leader di An Gianfranco Fini sono in linea con la campagna mediatica di criminalizzazione delle comunità rom in atto in questi ultimi giorni, in seguito anche alla tragica morte della sig.ra Giovanna Reggiani.
Gli slogan pubblicitari e propagandistici del Sindaco Scopelliti, a seguito della demolizione dell’ex Caserma Cantaffio, lasciano più che mai perplessi dopo le sue ultime affermazioni. Sostenendo, in più occasioni, che la delocalizzazione non è altro che un progetto ideato e sostenuto da questa amministrazione, non fa che negare ciò che antropologi e sociologi affermano ormai da decenni. Vale a dire che le comunità Rom possiedono una flessibilità culturale tale da darsi una struttura “a polvere”, cioè tendenzialmente sono portati a vivere a stretto contatto con la società che li circonda.
La dislocazione come modello di inclusione sociale è quindi semmai un merito da attribuire ai rom. A Reggio infatti, è da 30 anni che la comunità rom chiede di essere dislocata tra i non rom. Noi “gagè” lo abbiamo recepito, in parte, solo oggi.
La concentrazione dunque non è altro che la conseguenza di politiche ghettizzanti delle amministrazioni che alimentano la paura e il pregiudizio nei confronti dei rom. Sostenere che in linea di principio i rom sono gente che «considera lecito il furto e non si fa scrupoli di rapire bambini o generare figli per destinarli all’accattonaggio» significa appunto questo.
Non abbiamo mai negato l’esistenza di criminalità anche all’interno della comunità rom ma crediamo sia altrettanto grave da parte dell’istituzioni accusare un’intera comunità di reati che, ovviamente, non tutti i rom commettono, così come accade per tutti i cittadini, al di là dell’etnia di appartenenza.
Dire che qui a Reggio i rom vengono “fatti lavorare” è abbastanza significativo del trattamento che in generale i rom ricevono. E’ vero che il comune ha sostenuto e ha dato l’opportunità alla Rom 95, cooperativa fondata dall’Opera Nomadi, di continuare a svolgere la propria attività ma è altrettanto vero che molti rom pur cercando un’occupazione, spesso si vedono chiusa ogni opportunità di accesso al lavoro e, in alcuni casi, sono costretti a nascondere il proprio cognome.
Non dimentichiamo che i rom del 208, sono cittadini italiani a tutti gli effetti e, come tali, hanno diritto anche loro ad una casa e ad un lavoro.
La situazione di Arghillà non aiuta certo a migliorare i rapporti tra rom e non rom. Nel quartiere infatti si concentrano quasi cento famiglie rom, di cui circa 35 (e non venti come sostiene il sindaco) sono state trasferite durante l’amministrazione Scopelliti.
Questa situazione, nel disagio e nell’abbandono generale del quartiere, non fa che aggravare l’esclusione dei rom ai quali si nega l’opportunità di mettersi positivamente in relazione con gli altri. Per quanto riguarda i cittadini europei, rom della Romania, un elemento su cui riflettere dovrebbe essere la condizione di schiavi che hanno subito nella loro patria fino alla metà del XIX sec. e le discriminazioni ancora forti che continuano a subire. Basta sentire le dichiarazioni di disprezzo sui rom da parte di autorità, giornalisti o semplici cittadini rumeni i quali non li considerano neanche cittadini della loro nazione, nonostante quei rom siano nati e cresciuti nel loro Paese.Troppo spesso parlando dei rom, italiani o stranieri, dimentichiamo che anche loro sono esseri umani e che il vivere in baracche è una questione di sicurezza anche per loro. La demolizione delle baracche e l’espulsione di chi non ha altra colpa se non quella di essere povero non può essere una soluzione. Ente Morale Opera Nomadi Sezione di Reggio Calabria
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