Intervento forte della Delegazione regionale della Caritas alle parrocchie toscane: l’accoglienza dei Rom. Il documento (che ha per titolo Abbattere il muro. La «buona notizia» dell’accoglienza di un popolo che c’interpella: i Rom) «vuole essere l’invito – spiega il delegato regionale don Emanuele Morelli (Presentazione lettera sui Rom) – ad iniziare un riflessione, alla luce della Parola di Dio, sulla nostra relazione con il popolo “zingaro”».
Ma la Lettera «ha anche – dice ancora don Morelli – l’obiettivo di favorire il confronto con le istituzioni della scoietà civile, perché, oltre i pregiudizi, si realizzino politiche sapienti e coraggiose».
«Gli “zingari” fanno clamore, perché fanno paura – si legge nella Lettera –. Eppure si tratta di una minoranza», in percentuale appena lo 0,2% della popolazione italiana. Inoltre bisogna distinguere fra le persone che appartengono al popolo rumeno (circa 600 mila in Italia) e quelle che appartengono appunto al popolo Rom. Si respira invece «una gran confusione riguardo a questo argomento».
Qual è allora il motivo di tanto clamore e di tanta paura? Forse «non c’è un motivo unico, ma un concorrere anche irrazionale di cause di diversa natura, il cui frutto resta una generale diffidenza e un pericoloso isolamento».
Per superarlo, la Lettera della Caritas regionale cerca di spiegare «L’identità zingara», anche se non è facile a causa soprattutto delle varie etnie (sinti e rom e a loro volta slavi, kosovari, rumeni). Ciò non toglie che possa essere sottolineato come tra i Rom siano forti, tra gli altri. il senso della famiglia e la dimensione religiosa.
«Nella loro diversità e peculiarità i Rom – si legge ancora della Lettera – ci interpellano almeno a due livelli: a) dopo sei secoli di vicinanza e convivenza nel mediesimo ambito geografico, questo popolo ci è ancora sconosciuto; b) la presenza degli “zingari” è sempre più vista come un problema da rimuovere, quasi una maledizione inevitabile, come drammaticamente testimoniano i casi di intolleranza, le vere e proprie campagne denigratorie in alcuni casi contro cittadini a tutti gli effetti italiani, che vivono in questi luoghi anche da 30 anni».
La Caritas regionale invita pertanto le singole Chiese locali ad interrogarsi «su quale ruolo possa giocare la Chiesa, nel suo essere comunità, e ogni cristiano, nella sua personale responsabilità: se si sceglie il rifiuto, la contrapposizione, il silenzio, la vicinanza, la condivisione».
In ogni caso, «la questione dei diritti dei popoli “zingari” non esime dal considerare le necessità dell’affermazione e del rispetto dei doveri, per questo – si legge ancora nel documento – riteniamo fondamentale realizzare con Rom e Sinti un vero e proprio patto sociale».
A giudizio della Caritas, è giunto il tempo «di iniziare a prendersi cura del popolo nomade, di viverne la presenza come un segno, di avvicinarsi a questa realtà itinerante con rispetto, con un punto di vista sapiente, che ci riporti all’origine del nostro essere Popolo di Dio, nell’atteggiamento biblico di porci in ricerca, in cammino con loro».
Rimaniamo stupiti che si utilizzi ancora il termine “zingari”, dispregiativo ed etnocentrico, che non rispecchia il doveroso avvio di politiche partecipative e rispettose.
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