lunedì 17 dicembre 2007

Discriminazioni, il "pasticcio" di Palazzo Madama

Il 6 dicembre il Senato della Repubblica ha votato con non poche sofferenze il cosiddetto “decreto sicurezza”. Oggi il provvedimento è alla Camera dei Deputati. Il provvedimento, nato sull’onda emotiva del delitto Reggiani, rischia di compromettere tutta la legislazione a contrasto delle discriminazioni su base etnica/razziale.
In quattro punti offriamo a tutti, compresi i parlamentari, una lettura critica di un provvedimento affrettato e pasticciato. Il commento è stato redatto a partire da un documento dell’ASGI (associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), elaborato in particolare dagli avvocati Alessandro Maiorca, Enrico Varali con Federica Panizzo e Sergio Briguglio.

Punto 1
È da valutare in maniera insoddisfacente il mancato inserimento nel testo del d.lgs. 215/03 di una disposizione in merito all’inversione dell’onere della prova, laddove la modifica non presenta particolari caratteri di novità:
La direttiva 2000/43/CE, in merito all’attuazione del principio di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, all’art. 8 faceva esplicito riferimento alla necessità di stabilire, all’interno dei procedimenti riguardanti i casi di discriminazione, un principio di inversione dell’onere della prova che favorisse realmente la persona che lamentava di essere stata vittima di una condotta discriminatoria, e stabiliva che innanzi all’esposizione di fatti dai quali si potesse (anche solo) presumere che ci fosse stata una condotta discriminatoria, spettasse al convenuto l’onere di provare di non aver violato il principio di parità di trattamento. Quindi, inversione dell’onere della prova in senso pieno.
Il decreto legislativo 215/2003, nel dare attuazione interna alla normativa europea, ne aveva completamente disatteso l’intenzione originaria, facendo riferimento, al 3° comma dell’art. 4, semplicemente al meccanismo delle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. e rimettendo così alla prudente valutazione del giudice solo quei fatti gravi, precisi e concordanti da cui si potessero trarre conseguenze logico - fattuali.
L’emendamento inserito in sede di conversione del decreto legge non sembra però apportare le modifiche richieste dalla Commissione Europea:
“Art. 2-ter. Al decreto legislativo n. 215 del 2003, all’articolo 4, comma 3 è sostituito con il seguente: «3. Qualora il ricorrente al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, deduca in giudizio elementi di fatto in termini gravi, precisi e concordanti incombe alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento”.
E’ infatti evidente che la norma così come modificata non cambia per nulla la sostanza del problema, finendo per riproporre il consueto schema di ripartizione dell’onere probatorio fra attore e convenuto e evitando una volta ancora di introdurre un vero e proprio sistema processuale realmente favorevole alle vittime di discriminazioni.

Punto 2
Una piccola modifica anche a quanto previsto dall’art. 2 comma 3:
“Art. 2-bis. All’articolo 2 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, al comma 3 le parole: «umiliante e offensivo» sono sostituite con le seguenti: «umiliante o offensivo»”.
Viene corretto quello che già veniva considerato alla stregua di un refuso. Al massimo, eviterà quantomeno che qualcuno interpreti in modo del tutto restrittivo il testo della norma (laddove si fa riferimento a condotte che, poste in essere per motivi di razza o origine etnica, avessero lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante e offensivo), finendo per considerare gli attributi negativi del clima creato dal comportamento discriminatorio o molesto non come fra loro alternativi, ma come necessariamente compresenti perché ci possa essere una molestia o condotta discriminatoria.
Ecco allora come appare il testo definitivo dell’art. 2 comma 3 del decreto legislativo 215/03:
Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Punto 3
Una piccola modifica anche per quel che riguarda quelle condotte discriminatorie o moleste poste in essere come ritorsione a precedenti azioni oppositive:
“Art. 2-quater. Al decreto legislativo n. 215 del 2003, all’articolo 4 comma 5, sono soppresse le parole: «del soggetto leso»”.
La modifica amplia l’ambito di tutela rispetto alle ritorsioni o azioni di rivalsa poste in essere come reazioni ad attività oppositive iniziate dal soggetto leso lesa dalla condotta discriminatoria (condotta evidentemente preesistente).
La modifica in esame, eliminando il riferimento esclusivo alla vittima della condotta, comporta che siano vietate anche le condotte discriminatorie di rivalsa che colpiscono il singolo in ragione di quelle azioni contro le discriminazioni che vengano portate avanti non da lui medesimo, ma da soggetti terzi, come associazioni o enti esponenziali.
Il testo dell’art. 4 , n. 5 del d.lgs. 215/03 diviene pertanto:
Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma 4, che l’atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.

Punto 4
L’ultimo punto, forse quello che sta suscitando maggiori polemiche per il riferimento alla sanzione per le condotte cosiddette “omofobe”, ma non solo, riguarda la modifica della legge 654/75:
“Art. 1 bis: All'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni, il comma 1 è sostituito dal seguente:
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione dell’articolo 4 della convenzione è punito:
a) con la reclusione fino a tre anni chiunque, incita a commettere o commette atti di discriminazione di cui all’articolo 13, n. 1 del trattato di Amsterdam;
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, in qualsiasi modo incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per i motivi di cui alla lettera precedente
”.
Rispetto alla dicitura della normativa penale com’era finora, è stato tolto il riferimento all’elemento della nazionalità. E’ tutto da vedere cosa questo comporterà in futuro.
Altro aspetto che suscita estremo stupore è che sembra che, con la modifica così come presentata nel testo, venga abrogato sic e simpliciter il reato di diffusione/propaganda di idee discriminatorie! Sembra infatti che la norma del disegno di legge sostituisca in toto il precedente art. 3 comma 1 della legge 654/75 con la previsione di illiceità penale della sola condotta dell'incitamento, dimenticandosi però di fare riferimento alla condotta di "diffusione" di idee razziste. Non ci si può augurare altro se non che si sia di fronte ad una semplice svista (seppur madornale!) cui dar subito rimedio.
Si è ritornati, sia dal punto di vista delle sanzioni, che da quello delle condotte, a quanto prevedeva la legge Reale prima della modifica operata dalla legge 85/2006, con il reingresso della previsione del divieto dell’"incitamento" in luogo della "istigazione" introdotta dalla norma dello scorso anno, con la previsione della pena detentiva nuovamente fissata fra i sei mesi e i quattro anni, rispetto a quella più mite precedentemente prevista, e la contestuale eliminazione dell’alternanza fra reclusione e multa.
In ultimo, il riferimento all’articolo 13 del Trattato di Amsterdam è errato. Infatti, l’articolo del Trattato di Amsterdam (a modifica l’articolo 13 del Trattato CEE) è l’articolo 2, comma 7:
"7) inserito il seguente articolo:
Articolo 6 A
Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell'ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali
".
Essendo il richiamo legislativo europeo errato ci chiediamo se non cadano automaticamente i motivi a cui si dovrebbe far riferimento, ovvero quelli basati su sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali (o l’orientamento sessuale, come pare di capire).
Per altro il Trattato non ha il valore delle delibere europee, cioè di costruire indirizzo normativo per gli Stati membri. Ora sarà da verificare se questa modifica non comprometta tutta la legislazione, in particolare la Legge 654/1975, sul contrasto alle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, in quanto se il “decreto sicurezza” diventasse legge avremmo una norma che parla genericamente di discriminazione.

Nessun commento: