Vanno rispettate maggiormente le preoccupazioni degli immigrati causate dalla paura di "intervento repressivo della pubblica autorità". A spezzare una lancia nei confronti degli immigrati spesso sottoposti a minacce pretestuose è la Cassazione che, con una sentenza della quinta sezione penale di ieri, stila una sorta di vademecum su come comportarsi nei loro confronti.
In particolare mettendo in evidenza come ciò che per un Cittadino italiano non costituisce minaccia spesso lo diventi per un Cittadino immigrato, scrive che la "manifestata volontà di chiamare la polizia se appare irrilevante per un cittadino italiano che non si sia macchiato di alcun reato, potrebbe costituire una minaccia quando venga rivolta nei confronti di un cittadino extracomunitario, che, anche se estraneo a quel fatto specifico, spesso si trova in condizioni di difficoltà e, comunque, di preoccupazione per l'intervento repressivo della pubblica autorità".
A chiedere, dunque, maggiore tolleranza nei confronti degli immigrati è la quinta sezione penale che, con la sentenza 46405, si è occupata del caso di una sorvegliante di un supermercato milanese, Laura A. condannata in appello per sequestro di persona di una cittadina extracomunitaria che, rileva la sentenza, era stata sorpresa dalla sorvegliante nell'atto di "riporre nella borsetta un rossetto prelevato da un banco di vendita e perciò -ricostruisce ancora la Suprema Corte-, dopo che quest’ultima ebbe superato la linea delle casse", l'addetta alla sorveglianza "la invitò a seguirla in altro locale del supermercato per i necessari controlli".
Se nonché i controlli diedero esito negativo e "l'attesa della polizia, in realtà mai convocata, divenne lunga e inutile". E solo dopo un battibecco tra le due donne la extracomunitaria lasciò il supermercato.
Immediata la denuncia dell'immigrata che in primo grado finiva con una assoluzione piena per la sorvegliante (Tribunale di Milano, settembre 2004). La situazione si complicava per l'addetta alla sorveglianza con la sentenza della Corte d'Appello di Milano, aprile 2005 che condannava Laura A. per il reato di sequestro di persona in quanto, nonostante l'assenza di refurtiva, l'immigrata veniva trattenuta nel supermercato in attesa dell'arrivo della polizia mai convocata.
Una condanna ingiusta secondo Laura A. che si è rivolta alla Cassazione sostenendo di essere stata nel giusto nel minacciare l'arrivo della polizia in quanto voleva indurre l'immigrata a confessare il reato.
La Suprema Corte, che comunque ha disposto un nuovo processo perchè non è stata motivata adeguatamente la "limitazione della libertà fisica" dell'immigrata, ha comunque bacchettato il comportamento dell'addetta alla sorveglianza del supermercato. E questo perchè "la manifestata volontà di chiamare la polizia, effettuata dopo l'esito negativo dei controlli, o meglio l'invito ad attendere l'arrivo della polizia, mai in realtà sollecitato, se appare irrilevante per un cittadino italiano che non si sia macchiato di alcun reato, potrebbe costituire minaccia se è rivolto nei confronti di un cittadino extracomunitario".
Invece, spiega la Cassazione, l'esito negativo dei controlli avrebbe dovuto consigliare alla sorvegliante "un atteggiamento diverso non essendovi più alcun motivo per trattenere" l'immigrata nei locali del supermercato. A questo punto sarà un'altra sezione della Corte d'Appello di Milano a riesaminare la vicenda verificando se il reato contestato non configuri addirittura violenza privata nei confronti dell'extracomunitaria costretta "a confessare il preteso e presumibilmente inesistente furto".
Tutte le agenzie stampa, la Magistratura e le Forze dell’Ordine hanno ritenuto di salvaguardare la privacy della sorvegliante non indicando il cognome della condannata dalla Corte di Appello di Milano e nemmeno indicando l’appartenenza geografica della stessa (milanese, bergamasca, varesotta…) come invece succede quotidianamente per i Cittadini rom, sinti e immigrati.
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