giovedì 6 dicembre 2007

Monsignor Montenegro, "anche l'indifferenza è violenza"

Monsignor Montenegro, o “Padre Franco” come più semplicemente ama chiamarlo chi gli è più vicino, sa sempre trovare le parole giuste. Il Vescovo ausiliare di Messina la Parola l'ha portata in giro per il mondo, l'ha fatta ascoltare a coloro che hanno sempre vissuto nella sofferenza, e alle parole ha sempre fatto seguire le azioni. Per questo oggi è presidente della Caritas Italiana, ma anche presidente della Commissione Episcopale per il servizio della carità e la salute, della Consulta Nazionale per la pastorale e la sanità, della Consulta Ecclesiale degli organismi socio-assistenziali. In un periodo storico come questo, in cui la città è ansimante, si sente precaria, senza una guida politica, in balia degli eventi, la parola di “Padre Franco” diviene illuminante per affrontare la quotidianità.

Partiamo proprio dai concetti di assistenza, di accoglienza. La questione Rom nelle ultime settimane è balzata agli onori della cronaca, a Roma come a Messina. L'impressione è che si sia passati da una preoccupante indifferenza ad una ancora più preoccupante intolleranza.
«L'intolleranza è violenza. Ma anche l'indifferenza è violenza. Anzi, qualcuno diceva che è la più alta forma di violenza, perché nascosta. Nel passaggio dall'indifferenza all'intolleranza non è cambiato il nostro atteggiamento, semplicemente viene espresso in un'altra maniera. Noi rifiutiamo chi è diverso. Il problema, però, non sta nell'accoglienza, ma in ciò che ci ricorda il diverso, ovvero che esiste la povertà. E dunque preferiamo escluderlo dalla nostra vita. Ma nei momenti di lucidità, quando ci si ferma a riflettere, si pensa: “Ma noi senza di loro, gli extracomunitari, come andremmo avanti?”. Ci servono le loro braccia, ma ci poniamo il problema di cosa serve a loro? Il punto è che dobbiamo convincerci del fatto che la nostra è ormai una civiltà multietnica, e dunque dobbiamo abituarci a convivere con loro. I Rom hanno una loro cultura, che in un certo senso fa a pugni con la nostra, ma è solo stando accanto che potremo aiutarci. Come è possibile che un Rom si comporti bene quando è costretto a vivere come gli animali? Noi pretendiamo che loro si comportino come noi, ma sono nelle condizioni perché ciò avvenga? Ricordo una giovane Rom che portava la figlia all'asilo a pagamento, e per non farsi riconoscere ogni mattina prendeva il treno e andava a fare l'elemosina a Taormina. Io sono entrato in diverse roulotte di nomadi: alcune erano tenute come bomboniere, altre erano in pessime condizioni». Continua a leggere…

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