
Partiamo proprio dai concetti di assistenza, di accoglienza. La questione Rom nelle ultime settimane è balzata agli onori della cronaca, a Roma come a Messina. L'impressione è che si sia passati da una preoccupante indifferenza ad una ancora più preoccupante intolleranza.
«L'intolleranza è violenza. Ma anche l'indifferenza è violenza. Anzi, qualcuno diceva che è la più alta forma di violenza, perché nascosta. Nel passaggio dall'indifferenza all'intolleranza non è cambiato il nostro atteggiamento, semplicemente viene espresso in un'altra maniera. Noi rifiutiamo chi è diverso. Il problema, però, non sta nell'accoglienza, ma in ciò che ci ricorda il diverso, ovvero che esiste la povertà. E dunque preferiamo escluderlo dalla nostra vita. Ma nei momenti di lucidità, quando ci si ferma a riflettere, si pensa: “Ma noi senza di loro, gli extracomunitari, come andremmo avanti?”. Ci servono le loro braccia, ma ci poniamo il problema di cosa serve a loro? Il punto è che dobbiamo convincerci del fatto che la nostra è ormai una civiltà multietnica, e dunque dobbiamo abituarci a convivere con loro. I Rom hanno una loro cultura, che in un certo senso fa a pugni con la nostra, ma è solo stando accanto che potremo aiutarci. Come è possibile che un Rom si comporti bene quando è costretto a vivere come gli animali? Noi pretendiamo che loro si comportino come noi, ma sono nelle condizioni perché ciò avvenga? Ricordo una giovane Rom che portava la figlia all'asilo a pagamento, e per non farsi riconoscere ogni mattina prendeva il treno e andava a fare l'elemosina a Taormina. Io sono entrato in diverse roulotte di nomadi: alcune erano tenute come bomboniere, altre erano in pessime condizioni». Continua a leggere…
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