Domenica due dicembre 2007 sarà passato un anno dalla morte di Lili e Sasa. Due ragazzi come tanti altri, bruciati in un container situato a ridosso del centro di Roma, nel "campo attrezzato" di via dei Gordiani. Fino al 2002, via dei Gordiani era un "campo abusivo" su un terreno comunale dove circa duecentocinquanta donne, uomini e bambini rom sopravvivevano. Poi le baracche andarono a fuoco senza che si sapesse perché, rimase ucciso un cane. In due anni, furono allestiti i container, il "campo" fu asfaltato, i rom furono divisi in due spazi: da una parte quelli che arrivarono negli anni sessanta dalla ex Jugoslavia, dall'altra i rumeni, anch’essi giunti in Italia da decine di anni.
Lili e Sasa, nonostante la giovane età, si erano sposati poco prima di quel tragico dicembre dello scorso anno. Lili, 17 anni, era bellissima, i capelli lunghissimi e un’aria allegra; Sasa anche era molto bello, un sorriso simpatico e due occhi intelligenti. Sasa aveva preso la terza media, lavorava nell'attiguo campo di calcio dove giocava con la squadra dei ragazzi rom: puliva spogliatoi e bagni. Suonava nella Sarabanda, il gruppo musicale messo su insieme ad altri ragazzi del "campo". Lili e Sasa sono morti all’inizio di dicembre, quando il container dove vivevano e quello vicino, dove dormivano i familiari di Sasa, hanno preso fuoco: lui ha salvato la madre, la sorella e la nipotina di un anno; non ha visto sua moglie fuori ed è rientrato una quarta volta. Li hanno trovati vicini, si dice abbracciati. Al funerale parteciparono le autorità municipali, i rappresentanti del comune: c’erano le corone del Presidente della Repubblica, si parlò di dare a Sasa la medaglia al valore civile per il suo sacrificio. C’era tanta gente, quel giorno.
Entrare a Gordiani, come viene chiamato il "campo", non è più facile, da quando il 30 ottobre scorso sono stati distrutti cinque container perché ci vivevano degli spacciatori: oltre alle persone indagate, intere famiglie e molti bambini sono rimasti senza niente, dato che non hanno avuto neanche il tempo di sgomberare gli alloggi prima che venissero distrutti. Un signore incaricato dal comune, un immigrato forse rumeno, chiede ora a chi entra i documenti, nel caso in cui passino carabinieri o polizia a chiedere se chi è entrato è un non residente. «Sembra di stare in un lager», mormora qualcuno che guarda la scena. I bambini giocano all’aperto nonostante il freddo, ma l’aria, nella comunità, appare tesa. di Cristina Formica, continua a leggere…
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