venerdì 4 aprile 2008

Milano, il Prefetto cerca di salvarsi offrendo soldi

Ci hanno già provato e fallito due volte. In Svizzera è finita in rissa, nel Pavese in ressa: con gli aspiranti beneficiari a picchiarsi su chi dovesse avere la precedenza e con frotte di rom che partivano dalla Romania, arrivavano e intascavano. A Milano, da martedì, inizieranno gli incontri diplomatici e tecnici per concretizzare un progetto del prefetto, in foto, Gian Valerio Lombardi: «Incentivi ai rom per rimpatriare». Soldi. Danè. «Giochiamo tutte le carte » dice il prefetto, fresco di summit, ieri, sulla città flagellata dal codazzo velenoso dello sgombero di via Bovisasca, martedì, di cento rom. Uno sgombero dove, ha attaccato l'arcivescovo Dionigi Tettamanzi, «sono stati violati i diritti umani» ed è mancata perfino «l'elementare assistenza», da una bottiglietta d'acqua a un goccio di latte per i piccolini, senza contare le baracche fatte ricostruire in un'altra area dismessa e, quand'erano bell'e pronte, demolite, con un atteggiamento definito dal mondo cattolico «cinico e brutale».
A ore i Rom — ridotti a profughi, inseguiti ovunque s'accampino, finiti nell'unica area di Milano a campo aperto, un'area gelida che li costringe a scaldarsi col fuoco — verranno cacciati dall'ultimo rifugio, un pendio che declina sui binari dei treni dei pendolari che urlano insulti dai finestrini. Tettamanzi è tornato ad ammonire: «Per i marginali servono più comprensione e, penso di non esagerare, maggiore simpatia». Dove andranno i cento e più, non si sa. Si sa dove il Comune spera vadano altri Rom e in quota (assai) maggiore: a Craiova, la terra d'origine. Con Craiova e un'altra città «da definire» verranno avviate le procedure per l'intesa. La cifra dei soldi è da stabilire. La mossa di Lombardi, negli ambienti politici locali, è letta come volontà d'una «fuga» dopo settimane difficili per riprendere in mano, da solo e sopra gli altri, la partita.
Nei giorni precedenti l'atto finale, dai corridoi della Prefettura era filtrata l'intenzione di attendere, di scegliere la «gradualità», di far passare le elezioni. L'accelerata fino allo sgombero, e l'ha confidato da ultimo Ignazio La Russa, è avvenuta per le «forti pressioni» esercitate dal Comune su Lombardi, che «le ha assecondate».
Lui, il prefetto, guarda avanti e garantisce che per i Rom da rimpatriare si studierà un percorso professionale, per l'inserimento — poi «da monitorare con estrema costanza» — in un'attività lavorativa. E l'ipotesi del ritorno nei Balcani, caldeggiata dal centrodestra, affascina il Partito democratico milanese. Che propone la collaborazione con le imprese lombarde in Romania. Per «aiutare i rom a tornare avendo opportunità di sviluppo».
Certo, la domanda, alla fine, è sempre quella: e i diretti interessati cosa pensano? L'euro, ripetono, vale tre volte la loro moneta, qui c'è più lavoro e i nostri cantieri sono i primi ad assumerli: stanno in nero e sono pagati un niente senza protestare. In Romania piace ricordare, anche al governo, che la Fiera di Rho-Pero, in pratica, «ve l'abbiamo costruita noi, coi nostri manovali», cosa quasi totalmente vera.
Sostengono i Rom d'esser trattati meglio dagli italiani che dai connazionali. E però l'esperimento pavese era naufragato per l'oceanica sproporzione tra arrivi degli imboscati e le partenze degli aventi diritto, e perché le (scarsine) partenze s'erano concluse così: essendoci soltanto compagnie romene a coprire coi pullman la tratta stradale Milano-Bucarest, a esse ci si era affidati. I Rom prendevano i soldi, ne consegnavano una parte agli autisti (rumeni non rom) dei bus e questi, concluso l'accordo, tempo qualche chilometro e li facevano scendere. di Andrea Galli

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