Oggi in Italia i Sinti e i Rom, denominati “zingari” e “nomadi” in maniera dispregiativa ed etnocentrica, sono oggetto di discriminazione, emarginazione e segregazione anche all’interno delle stesse associazioni pro-rom/sinte.
La discriminazione è estesa a tutti i campi, nel pubblico e nel privato, pertanto l’emarginazione e la segregazione economica e sociale dei Sinti e dei Rom si trasforma in discriminazione etnica.
I Sinti e i Rom Italiani vedono in molti casi negato il diritto alla residenza, il diritto alla sanità, il diritto alla scuola, il diritto al lavoro. In Italia si costruiscono ancora i “campi nomadi”, luoghi di segregazione che concentrano gli individui contro la loro volontà.
In Italia la maggioranza dei Comuni ha emanato delle ordinanze di “divieto di sosta ai nomadi” che, in palese contrasto con il dettato costituzionale (articoli 3 e 16) e con la legislazione a contrasto delle discriminazioni razziali ed etniche, negano il diritto di circolare e soggiornare liberamente sul territorio nazionale ai soli cittadini italiani riconosciuti come “nomadi” o “zingari”.
In questa situazione drammatica i Rom Europei subiscono oltremodo politiche discriminatorie, emarginanti e segreganti. Famiglie intere scappano dai loro paesi d’origine per i conflitti etnici, le guerre civili e l’estrema povertà e l’Italia nega loro i più elementari diritti. Segregati nei “campi nomadi” delle grandi città italiane, e non solo, i Rom Europei vivono situazioni inumane senza acqua, luce, servizi igienici e sono costretti a mendicare per le strade il sostentamento giornaliero.
In questi ultimi anni l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa e altre istituzioni internazionali sono intervenute sulle problematiche vissute dai Sinti e dai Rom in Italia senza che il nostro Paese facesse propri questi interventi.
La Raccomandazione 1557/2002 del Consiglio d’Europa e la conseguente Risoluzione del Parlamento Europeo del 28 aprile 2005 non incidono sulla drammatica realtà vissuta da Sinti e da Rom in Italia.
Si consideri, inoltre, la negazione ai risarcimenti e alla memoria di quanto successo in Italia durante il periodo fascista. Nel nostro Paese quasi tutti conoscono la parola Shoah ma quasi nessuno la parola Porrajmos (divoramento) che designa le persecuzioni, su base razziale, subite dalle popolazioni sinte e rom.
La stessa Legge n.211/2000 (Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti) non fa menzione al Porrajmos. Eppure, a partire dal 1940 il Ministero dell’Interno (circolare n. 63462/10, 11 settembre 1940) ha dato ordine a tutte le Prefetture di rinchiudere i Sinti e i Rom nei campi di concentramento e dalle università italiane è giunta la giustificazione razziale per lo sterminio. Il fatto che ancora oggi vengano negati gli spazi per il racconto dei sopravvissuti, appartenenti ad una cultura orale, offre il segno più evidente della situazione italiana.
Anche la nuova legislazione per il contrasto alle evidenti discriminazioni razziali ed etniche, dirette ed indirette, non ha creato un movimento di opinione e di azione che doverosamente bisogna costruire.
I Sinti e i Rom Italiani ed Europei esprimono propri sistemi sociali e proprie culture, strutturate con valori e norme morali, che si differenziano in maniera significativa dalle strutture sociali e culturali delle società capitalistiche e dello stato moderno.
In Italia le società e le culture sinte e rom sono spesso negate e ridotte ai soli aspetti folkloristici; questo ha comportato e comporta la predisposizione di politiche e di progetti che hanno l’obiettivo di integrare gli stessi Sinti e Rom dentro la società maggioritaria, in senso numerico.
Ad un primo esame "integrare" implica infatti una reductio ad unum, una funzionalizzazione, seppure non nel senso di eliminazione, delle alterità ad un unico progetto. Esse non partecipano all’elaborazione di questo progetto ma vi si devono "integrare". Se ben analizzata l’integrazione fa riferimento ad una logica assimilativa e non è quindi assunta quale obiettivo dalle nostre organizzazioni.
L’integrazione comporta, mediante un "teoricamente" libero consenso, l’accettazione di un sistema di valori costruito da altri e imposto forzatamente, incapace di rispettare l’alterità che non partecipa in alcun modo alla definizione della stessa piattaforma valoriale.
Infatti, l’obiettivo dell’inclusione sociale (includere in una definita struttura sociale) oltre a negare aprioristicamente le società e le culture proprie dei Sinti e dei Rom, si propone l’assimilazione degli stessi e quindi l’estinzione delle strutture sociali e culturali proprie di queste popolazioni.
Tali obiettivi sono a ragione contrastati dai Sinti e dai Rom, consegnando al fallimento questi progetti e alla problematizzazione della loro presenza in Italia che è evidente e incontestabile.
Nelle diverse realtà territoriali, dove Sucar Drom è presente, cerchiamo di creare i presupposti perché le comunità sinte e rom siano considerate protagoniste sociali pensanti e di conseguenza siano attuate politiche di interazione, di partecipazione diretta e di mediazione culturale.
Le politiche costruite insieme alle diverse Minoranze Sinte e Rom partono dal concetto di interazione per creare relazioni empatiche, incondizionate e prive di valutazioni, promotrici della crescita, del benessere e dell'indipendenza di entrambe le parti.
L'idea di fondo, valoriale ed epistemologica, da cui muove questa riflessione è, innanzitutto, il riconoscimento del diritto alla differenza e quindi al riconoscimento dell'alterità come occasione di incontro tra diverse società e culture capaci di generare un migliore modo d'essere.
A partire dal 1990, con il primo progetto pilota di mediazione culturale nella Provincia di Mantova, le relazioni si sono costituite dall’interazione tra le diverse società, strutturandosi nel tempo e in diverse situazioni, arrivando a riflettere una relazione condivisa e capace di superare le diverse difficoltà, sapendole leggere quali ricchezze per entrambe le società.
Il risultato più evidente di questa visione politica e metodologica è l’elezione di Yuri Del Bar, Sinto lombardo, nel Consiglio Comunale di Mantova nel 2005. Yuri Del Bar è stato il primo eletto, appartenente ad un Minoranza Nazionale Sinta e Rom, in un organismo politico in sessanta anni di Repubblica Italiana. I Sinti e i Rom hanno iniziato a diventare, con questo avvenimento, parte interagente ed integrante della comunità locale mantovana. Inoltre, tale risultato ha portato altre comunità sinte e rom a partecipare alla vita politica, nei propri territori (Milano, Trento, Bolzano, Pescara).
Il lavoro svolto inizialmente insieme al Comune e alla Provincia di Mantova e successivamente con centinaia di Enti Locali parte dal riconoscimento delle diverse Comunità Rom e Sinte come Minoranze Nazionali.
I Sinti e i Rom Italiani ed Europei, presenti sul territorio nazionale hanno proprie società e culture. Società e culture, al pari della società capitalistica e dello stato moderno, intese come reti di simboli significanti che gli individui utilizzano per attribuire significati condivisi alle loro azioni, comportamenti, esperienze, creando concetti propri d’identità. Identità che non può essere intesa come immobile ma quale costrutto sociale soggetto al continuo confronto o al conflitto di interpretazione fra i singoli individui che vi si riconoscono e alle continue modificazioni che impone l’ambiente circostante.
Le Minoranze Nazionali, presenti sul territorio nazionale, si autodefiniscono Sinte e Rom con diverse caratterizzazioni anche su base regionale, ad esempio: Sinti Lombardi, Rom Abruzzesi, Sinti Eftavagengre, Rom Napulengre, …
Le Minoranze Europee, presenti sul territorio nazionale, si autodefiniscono Rom, Roma e Rrom a seconda della provenienza e con diverse caratterizzazioni anche su base regionale, ad esempio: Roma Kaloperi, Rrom Ursara, Rom Shiftarjia, Rom Rudara, …
Ad oggi sono presenti in Italia trentuno diverse Minoranze Nazionali ed Europee Sinte e Rom. Le Minoranze Europee provengono essenzialmente da Bosnia, Confederazione Yugoslava, Croazia, Romania, Bulgaria, Polonia e Ungheria. Nel periodo estivo sono presenti Sinti e Rom di nazionalità francese.
L’Italia nega ai Sinti e ai Rom italiani sia l’applicazione della Carta Europea sulle Minoranze Etnico Linguistiche sia l’applicazione della Convenzione Quadro per le Minoranze Nazionali.
In Italia il 15 dicembre 1999 è stata approvata la Legge n. 482 che esclude le Minoranze Etniche Linguistiche Sinte e Rom dalla valorizzazione delle lingue e delle culture minoritarie, presenti nel nostro Paese.
Le famiglie appartenenti alle Minoranze Nazionali Sinte e alcune Minoranze Nazionali ed Europee Rom preferiscono vivere in aree di proprietà, dove sono riunite le famiglie allargate. Questa tipologia abitativa, acquisto e residenza su terreni agricoli, è andata in crisi con l’entrata in vigore del Testo Unico n.380/2001 e delle conseguenti leggi regionali che definiscono la roulotte un abuso edilizio. Per questa ragione Sucar Drom sta trattando con le Amministrazioni Comunali per trasformare a livello urbanistico questi insediamenti.
La nostra proposta, a livello nazionale, è quella di inserire una modifica alle diverse Leggi Regionali, in modo tale che ogni Comune debba comprendere nel proprio Piano Regolatore (la terminologia cambia da Regione a Regione) la possibilità di rendere fattibile l’insediamento su terreni, acquistati con proprie risorse, delle famiglie sinte e rom almeno per lo 0,5 per mille (dato da verificare in tutta l’Italia) delle aree agricole su un dato territorio.
Ciò permetterà una sanatoria a tutte le situazioni preesistenti e la possibilità futura per altri insediamenti. Si consideri che questa modalità abitativa è stata la risposta delle Minoranze Rom e Sinte ai processi di segregazione e di assistenzialismo propri dei cosiddetti “campi nomadi”.
Diverse famiglie Sinte per ragioni lavorative sostano in periodi diversi in aree più o meno attrezzate. Sono essenzialmente Sinti che svolgono l’attività di spettacolo viaggiante e Camminanti (residenti a Noto in Sicilia) che svolgono le attività di arrotini e ombrellai.
Per lo spettacolo viaggiante dobbiamo rilevare la generale non applicazione della Legge n. 337, del 18 marzo 1968 (disposizioni sui Circhi Equestri e sullo Spettacolo Viaggiante) e un continuo inasprimento della tassazione in tutti i Comuni. Inoltre, alcune famiglie Rom Europee svolgono un’attività itinerante di battitura e lucidatura di metalli su tutto il territorio nazionale.
Per tutte queste diverse realtà, ancora itineranti, è da realizzare un complesso di piccole aree (Legge 337/1968) con i servizi primari anche seguendo il modello francese.
In Italia, “il paese dei campi”, l’abitare delle Minoranze Sinte e Rom è ancora legato essenzialmente alla pratica dei cosiddetti “campi nomadi”, luoghi di segregazione che concentrano gli individui contro la loro volontà. Il “campo nomadi” nasce alla fine degli anni Settanta come soluzione temporanea, atta ad offrire degli spazi di sosta alle famiglie sinte che negli anni della crisi economica avevano perso le attività dello spettacolo viaggiante e per le famiglie di Rom Europei che hanno iniziato ad arrivare negli anni Sessanta dalla ex Yugoslavia, in particolare i Rom Rudara dalla Serbia e Roma Khorakhanè (Cergasi, Kaloperi e Arlije) dalla Bosnia Erzegovina.
I “campi nomadi”: luoghi di segregazione e ghettizzazione, sovraffollati, nascosti ai margini delle città, in condizioni igienico sanitarie penose e con alti costi di gestione per le Amministrazioni Comunali sono la vergogna nazionale. Questa situazione è così marcata che la Regione Emilia Romagna ha nei fatti modificato la propria Legge Regionale, a tutela di Rom e Sinti, non volendo più finanziare le realizzazioni di “campi nomadi” e supportando attivamente la politica dei piccoli terreni privati o di piccole aree attrezzate per famiglie allargate, formate da una decina di nuclei familiari, dando la possibilità di costruire.
In una decisione resa pubblica il 24 Aprile 2006, il Comitato Europeo per i Diritti Sociali (CEDS) ha deciso che l’Italia sistematicamente viola, con politiche e prassi, il diritto di Rom e Sinti ad un alloggio adeguato. La decisione è basata su un Reclamo Collettivo presentato contro l’Italia dallo European Roma Rights Centre (ERRC), in collaborazione con osservAzione, secondo la modalità prevista dalla Carta Sociale Europea Revisionata.
Secondo il CEDS le politiche abitative per rom e sinti puntano a separare questi gruppi dal resto della società italiana e a tenerli artificialmente esclusi. Bloccano qualsiasi possibilità di interazione e condannano i Rom e i Sinti a subire il peso della segregazione su base razziale. In numerosi insediamenti di Rom e Sinti si riscontrano condizioni abitative estremamente inadeguate che sono una minaccia per la salute e per la stessa vita dei residenti.
In Italia le politiche sociali a favore delle Minoranze Sinte e Rom sono improntate sulla negazione delle loro società e culture. I progetti nel migliore dei casi hanno l’obiettivo dell’integrazione e dell’inclusione sociale, impiegando strumenti già sperimentati per il sottoproletariato italiano.
Tali pratiche, quali la scolarizzazione coatta e l’acceso al lavoro sacrificale e capitalistico, hanno evidenziato il loro completo fallimento in questi ultimi trenta anni, soprattutto per le Minoranze Sinte.
Una politica interculturale è evidentemente ancora oggi negata e osteggiata nella realtà ma promossa e ostentata nelle parole e negli intenti. Tale teoria dei procedimenti nasce con l’arrivo, all’inizio degli anni novanta, dei primi immigrati e viene subito fatta propria negli intenti anche per le Minoranze Sinte e Rom, soprattutto nello strumento sociale scuola.
L’intercultura è costituita da processi e metodologie, come la mediazione culturale, che portano le diverse culture e società alla reciproca conoscenza per instaurare dialogo e comprensione reciproca.
Obiettivo dei nostri progetti è il riconoscimento dei pieni diritti di cittadinanza delle Minoranze Nazionali ed Europee Sinte e Rom, attraverso l’agevolazione dei contatti per la costruzione di relazioni tra gli individui e le diverse società, realizzando una cultura della conoscenza, del dialogo e della comprensione, fondata sull'acquisizione responsabile di diritti reciproci.
Per raggiungere tale obiettivo è risultata indispensabile la costruzione di azioni dove la mediazione culturale è divenuta la metodologia cardine in ogni progetto.
In questi anni questa metodologia si è dimostrata efficace nella promozione delle capacità di convivenza costruttiva in un tessuto culturale e sociale multiforme. Comportando non solo l'accettazione ed il rispetto dell’alterità, ma anche il riconoscimento delle diverse identità culturali e sociali, nella quotidiana ricerca di dialogo, di comprensione e di collaborazione, in una prospettiva di reciproco arricchimento.
Le metodologie della mediazione culturale pensate, studiate e strutturate dall’Istituto di Cultura Sinta, svolgono tre funzioni: pratica, comunicativa/formativa e psico-sociale.
La mediazione culturale favorisce i processi di interazione cercando di eliminare gli elementi di attrito e soprattutto di scontro, ricercando e valorizzando i momenti di condivisione che la società maggioritaria e le società sinte e rom hanno trovato o stanno contrattando insieme, lasciando i momenti di diversità al loro posto.
Inoltre, la mediazione culturale tende a non far prevalere una società sull'altra. Considerando che esistono forti squilibri nei rapporti di forza tra la società maggioritaria e le società sinte e rom. Uno di questi squilibri, forse il più evidente, è il costringere queste popolazioni nei cosiddetti "campi nomadi", concentrandoli e ghettizzandoli a forza.
Nella sperimentazione svolta, a partire dal 1990, la mediazione culturale è attuata da due mediatori: uno appartenente alle società rom e sinte e uno appartenente alla società maggioritaria, in senso numerico. I mediatori sanno percorrere entrambe le culture, senza perdere la propria identità, sostenendosi ed elaborando insieme strategie per la risoluzione dei conflitti. Eludendo l’immagine di un mediatore equilibrista e il rischio di schizofrenia culturale e sociale.
La metodologia della mediazione culturale è utilizzata in qualsiasi progetto e in definitiva in ogni ambito d’intervento (habitat, cultura, contrasto alle discriminazioni, lavoro, sanità, scuola e formazione, servizi sociali, …).
Diventa estremamente difficile pensare ad un affrancamento dalle logiche ghettizzanti proprie del “campo nomadi” o pensare a progetti di lavoro senza l’intervento della mediazione culturale. Tutte le esperienze passate che non hanno fatto uso di tale metodologia e che non hanno coinvolto direttamente i Sinti e i Rom, sono fallite.
Inoltre, la mediazione culturale è ad oggi l’unica metodologia progettuale che è riuscita a scardinare atteggiamenti assistenzialistici / caritativi, paternalistici, discriminanti e segreganti, proprio attraverso la partecipazione diretta di Sinti e di Rom.
Infatti, ancora oggi si pensa generalmente che la “scuola” sia l’unico strumento utile alle Minoranze Sinte e Rom per superare l’attuale situazione di segregazione e discriminazione. Tale assunto è un grave errore sociologico e politico che, dopo aver prodotto danni enormi sotto gli occhi di tutti, continua ad essere perpetrato condannando le Minoranze Sinte e Rom ad una sempre maggiore emarginazione.
Considerare “perse” le generazioni adulte e indirizzare tutti gli sforzi per inserire nella scuola i bambini e gli adolescenti nell’intento di plasmare una nuova generazione capace di rivendicare i propri diritti è stata una delle sconfitte più eclatanti nella storia del nostro Paese. Ancora oggi in molti hanno tale sogno e non sono capaci di vedere che lo strumento sociale scuola, proprio delle società capitalistiche e dello stato moderno, è tutto da discutere insieme alle diverse Minoranze Sinte e Rom che hanno società strutturate diversamente.
Il lavoro della nostra organizzazione tende ad introdurre nella scuola i principi della pedagogia interculturale: il bambino sinto e rom quando entra a scuola deve trovare tracce del suo mondo concreto.
I diversi servizi di mediazione culturale hanno assicurato una buona preparazione agli insegnanti più sensibili alle problematiche dell’intercultura ma si sono scontrati molte volte con razzismo e ignoranza, mascherati da “buonismo” e da atteggiamenti paternalisti. L’atteggiamento di alcuni insegnanti è il seguente: “dobbiamo aiutarli a non diventare come i loro genitori”. Questo porta conseguentemente all’insuccesso scolastico.
Infatti, dopo il conseguimento della licenza media inferiore tutti i minori sono avviati in un percorso scolastico professionalizzante, escludendo completamente la possibilità di entrare in percorsi scolastici superiori (licei e istituti tecnici) che portino alla formazione universitaria.
Mentre nelle comunità rom e sinte è iniziata un’attenta riflessione tesa a vedere la scuola come una risorsa, nella scuola si denotano forti resistenze nell’applicazione delle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa, dei Programmi Ministeriali e di tutte le Circolari Ministeriali che dispongono “la bilateralità dell’obbligo che impone anche alla scuola il massimo rispetto dell’identità culturale dei soggetti interessati e il dovere di predisporre un’organizzazione proficua, soddisfacente e rispondere ai reali bisogni degli stessi”.
Il terzo presupposto, insieme al concetto di interazione e alle metodologie della mediazione culturale, per costruire progetti sostenibili è la partecipazione diretta dei Sinti e dei Rom. La partecipazione inizia dalla capacità di ascoltare l’Altro. L’ascolto è una relazione fondamentale degli esseri umani che permette l’incontro e la crescita. In molte realtà non esiste un’educazione all’ascolto dell’alterità, scevro da interpretazioni che finiscono per formulare il pregiudizio.
Infatti, la partecipazione dei Sinti e dei Rom a tutti i livelli (politica, progettuale, nelle realizzazioni e nelle verifiche) non può e non deve essere strumentale ma deve essere libera e supportata con ogni mezzo e forma. Anche il sostegno economico, che non è un tabù, deve essere impiegato con i connotati fondamentali di giustizia, trasparenza e dialettica tra le parti contrattuali. Le realtà locali dove i Sinti e i Rom hanno “potere” hanno saputo costruire percorsi interculturali e stanno uscendo dalle logiche discriminanti e segreganti.
In Italia la mancanza di spazi di partecipazione diretta si riflette drammaticamente nelle strutture politiche e decisionali, proprie della società maggioritaria (in senso numerico). Non è un caso che in sessanta anni di Repubblica in Italia sia stato eletto direttamente un solo appartenente alle Minoranze Sinte e Rom, Yuri Del Bar nel Consiglio Comunale di Mantova.
La partecipazione diretta di Sinti e di Rom non sarà certo il frutto di una qualche forma di autopoiesi; non sarà il prodotto di estemporanee illuminazioni e non sarà neanche il risultato, comunque non solo, di profonde riflessioni ma si costruisce offrendo reali spazi decisionali a tutti i livelli.
Quando abbiamo iniziato il nostro percorso a Mantova, nel 1970, una difficoltà che abbiamo incontrato è sul come può essere considerata la partecipazione. Lavorando e discutendo insieme abbiamo identificato due distinti approcci alla partecipazione.
Il primo può essere definito un approccio strumentale che vede il coinvolgimento dei Sinti e dei Rom come mezzo per raggiungere gli obiettivi di un determinato progetto (pensato da appartenenti alla società maggioritaria) nella maniera più efficiente, efficace e sostenibile. La partecipazione può essere una sorta di "condizionalità" imposta dall'alto o il risultato di una mobilitazione "volontaria" che punta all'ottenimento dei benefici materiali offerti dal progetto. Questo approccio è, nel migliore dei casi, quello utilizzato nel Paese. In effetti, dispiace affermarlo, ci sono moltissime realtà in Italia che non impiegano nessun approccio alla partecipazione, ripetendo la solita frase tipo: “noi li chiamiamo ma loro non vengono…”.
Il secondo approccio vede la partecipazione come un fine in sé, mirante al rafforzamento del potere dei Sinti e dei Rom (empowerment) in tutti i processi decisionali che li riguardano, accrescendo il loro controllo sulle scelte relative ai processi di cambiamento. Nuove capacità acquisite attraverso il processo partecipativo stimolano un ruolo attivo e dinamico delle comunità Sinte e Rom che si espande oltre i confini di un progetto particolare e investe processi di trasformazione sociale di più vasta portata.
Mentre il primo approccio privilegia le strutture e i risultati della partecipazione, il secondo si concentra su un processo che non ha necessariamente un obiettivo preciso ma che stimola cambiamenti profondi nei rapporti tra le diverse società.
Uno dei problemi che è alla radice della non partecipazione dei Sinti e dei Rom è quello economico. Difficile che un Rom o un Sinto riesca a partecipare, magari gratuitamente (volontariato), se ha difficoltà a procacciarsi il sostentamento giornaliero ed è costretto a vivere in un “campo nomadi”. Su questo problema è importante investire ingenti risorse.
Crediamo che anche la politica del futuro, sempre più globalizzata, sarà caratterizzata da questa nuova dicotomia: chi è per la partecipazione e chi è contro la partecipazione; chi intende fare evolvere la democrazia verso forme di maggiore coinvolgimento dei cittadini e chi vuole perpetuare la staticità dei rapporti politici incardinati al principio della delega.
La sfida posta è rivolta alle comunità intere dove interveniamo. In particolare l’Associazione Sucar Drom, anche in collaborazione con l’Associazione Nevo Drom, interviene in: Regione Lombardia (Province di Brescia, Milano, Varese, Cremona, Pavia, Lodi, Mantova); Regione Veneto (Province di Padova, Vicenza, Verona); Regione Emilia Romagna (Province di Modena, Reggio Emilia; Piacenza, Bologna, Rimini); Regione Piemonte (Province di Asti, Novara, Torino); Regione Toscana (Province di Pisa, Pistoia, Firenze, Massa Carrara); Regione Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige.
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