Ci voleva la festa della polizia perché il ministro dell’interno Roberto Maroni si rendesse conto che la retorica anti-rom avrebbe svegliato mostri. Nel discorso tenuto a Piazza del popolo, davanti agli agenti, Maroni ha detto che «bisogna evitare che la rabbia prevalga sulle regole della convivenza civile» e ha definito «orribile» il tentativo di pogrom contro il campo rom di Ponticelli, a Napoli.
Una correzione di rotta che non trova però riscontro nelle dichiarazioni dei colleghi di governo. Il ministro della difesa Ignazio La Russa, per non perdere l’occasione di salire sul carro dell’allarme «sicurezza», propone di creare «pattuglie» composte da un vigile urbano, un poliziotto, un carabiniere, un finanziere e un soldato. Il manuale Cencelli applicato al controllo del territorio.
Perfino il neosindaco di Roma Gianni Alemanno dice che la proposta di La Russa è «da prendere con cautela», ma intanto nella capitale anche stanotte c’è stata un’operazione contro i campo rom, nel quartiere Portuense. Si allunga anche la lista delle città che vorrebbero il commissario straordinario. Dopo Roma e Milano, anche Napoli e Torino si sono improvvisamente accorte di aver bisogno di un commissario per affrontare la presenza di poche migliaia di rom. O forse Rosa Russo Jervolino e Sergio Chiamparino volevano dimostrare di non essere da meno rispetto a Letizia Moratti e Alemanno.
La difficoltà di tradurre in pratica i proclami governativi emerge però molto velocemente. Lo stesso Maroni è salito al Quirinale per discutere con Napolitano del «pacchetto sicurezza» che il consiglio dei ministri discuterà nella sua prima riunione, probabilmente mercoledì 21 a Napoli. Napolitano ha fatto notare che una serie di misure, compreso il reato di immigrazione clandestina, non sono adatte a essere inserite in un decreto. Il governo si appresta a smistare le norme da introdurre. Una parte sarà contenuta in un decreto legge [e dovrebbero essere quelle più «operative» in tema di poteri alle polizie locali e nazionali] una parte, invece, sarà inserita in un disegno di legge che seguirà il normale, anche se molto accelerato, iter in parlamento.
E mentre il ministro degli esteri Franco Frattini cerca di ricucire i rapporti con la Romania e con la Libia, da Bruxelles arriva una mezza doccia fredda: in un comunicato, la Commissione europea ha precisato che non ci sarà alcuna revisione del trattato di Schengen, come invece aveva chiesto Frattini.
Intanto, anche se i «grandi» media non ne parlano, ci sono anche buone notizie: arrivano da Genova e da Mantova. Il giunta comunale del capoluogo ligure, infatti, non solo ha rifiutato la proposte del ministro Roberto Maroni di istituire un Commissario straordinario per i rom, ma ha anche proposto di aprire nelle prossime settimane un paio di ostelli per l’accoglienza delle famiglie allargate rom e di altri senza dimora della città. «Per vent’anni Genova ha avuto due grandi campi rom, uno a Bolzaneto di sinti, e uno a Monassana di rom per lo più serbi–racconta Antonio Bruno, consiliere Prc–Negli ultimi mesi era nato un campo abusivo nell’area delle fabbrica abbandonata Miralanza, nel quartiere Fegino, che ospita trecento rom. La scorsa settimana alcuni abitanti hanno organizzato una Passeggiata per la legalità contro di loro. Con l’idea degli ostelli vogliamo dimostrare che è possibile, pur tra molte difficoltà, sperimentare politiche sociali diverse. Abbiamo già individuato una prima casa abbandonata di proprietà pubblica che potrebbe presto essere destinata ad ostello».
A Mantova, invece, ieri e oggi domenica 18 maggio si incontrano decine di associazioni e gruppi informali rom per dare vita alla federazione “Rom e Sinti Insieme”. Si tratta di una rete, completamente autogestita, nata nel 2007 per unire tutte le popolazioni e le organizzazioni rom e sinte in Italia. Uno degli obiettivi del comitato, spiegano i promotori, è la costruzione di un’effettiva partecipazione politica dei rom: anche per questo, nei mesi scorsi la nascente rete ha diffuso una lettera-documento dal titolo «7 punti per i politici italiani», con cui chiede alla politica e alla società di riconoscere i rom e i sinti come soggetti sociali attivi. I sette punti riguardano in particolare: la partecipazione diretta dei rom, l’istituzione di un Ufficio nazionale e uffici periferici con la partecipazione dei rom, il riconoscimento status di minoranza, la parità di trattamento di fronte alla legge, l’introduzione del diritto di suolo [jus soli, chi nasce in Italia ne è per ciò stesso cittadino], il superamento dei «campi nomadi» e la promozione delle culture rom e sinte per superare pregiudizi e stereotipi. L’obiettivo, insomma, è di «superare le politiche assistenziali di inclusione sociale, di integrazione, di assimilazione e promuovere in maniera costruttiva politiche di interazione, di partecipazione diretta e di mediazione culturale. La finalità è rendere le minoranze sinte e rom protagoniste sociali pensanti».
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