La questione rom è emersa a livello nazionale, ancora una volta, attraverso l'approccio che dipinge i rom come delinquenti, che alimenta lo scontro, invoca i provvedimenti speciali e incoraggia l'esclusione sociale. Mentre la strada giusta che ha già portato ottimi risultati per l'inclusione sociale è quella con la quale i rom vengono considerati delle persone normali, come effettivamente sono, vengono ascoltati costruendo con loro situazioni di inclusione sociale attraverso l'applicazione delle norme ordinarie.
Bisogna dire che l'ondata di razzismo contro i rom che,in questo ultimo periodo, ha interessato l'Italia non è un fenomeno eccezionale, ma rappresenta una manifestazione di pensieri, atteggiamenti e politiche che hanno una lunga tradizione nella nostra cultura.
Secondo l'antropologo Leonardo Piasere tutti gli stati nazione si sono costituiti , nei secoli passati , su due fondamenti principali: la contrapposizione con gli altri stati e l'opposizione agli “zingari/nomadi”. E' per questo che negli stati moderni come il nostro la categoria di "straniero" o di "nemico" coincide con quella di "zingaro/nomade".
L'antiziganismo, nel nostro paese come nel resto d'Europa, si è espresso nella forma più cruenta nei secoli sedicesimo, diciassettesimo e nel periodo nazi-fascista, mentre in altre epoche e negli ultimi decenni si è manifestato con modalità meno sanguinose, ma altrettanto oppressive.
A causa di questo orientamento i rom, nell'immaginario collettivo più diffuso, vengono percepiti come il "nemico": diventano delle persone asociali e sporche, sempre tendenti alla devianza, che rubano i bambini, con essi non si può convivere e vanno emarginati nei campi ghetto.
L'immagine negativa di questa comunità è oggi diffusa da una campagna mediatica che mette in evidenza gli episodi criminali commessi da qualche rom, descrivendoli come un modo di vivere dell'intera comunità ed evitando di diffondere le notizie che contraddicono questo assunto.
I media trasmettono spesso la notizia inventata che i rom amano vivere nelle condizioni di degrado dei campi ghetto, mentre non riferiscono che in realtà essi chiedono di abitare altrove ma questo gli viene impedito.
Questa visione dei rom non corrisponde per niente alla realtà, ma è una costruzione necessaria per il mantenimento della cultura del nazionalismo e per la politica del "capro espiatorio" ad essa funzionale.
La falsità di questa immagine dei rom, costruita e propagandata tanto bene da "farla diventare" una "verità", è dimostrata in modo chiaro dalla lettura oggettiva della realtà.
Negli ultimi anni i ricercatori hanno scoperto che nella storia dei rom in Europa (dal 1400 ad oggi) accanto agli episodi, finora più noti, delle persecuzioni e del razzismo subiti, esistono molte vicende documentate nelle quali i rom sono stati trattati come persone normali e in queste circostanze sono riusciti ad integrarsi perfettamente nella società europea contribuendo allo sviluppo civile della comunità.
Il Consiglio d'Europa, rifacendosi a questa scoperta , nella sua Raccomandazione n. Rec ( 2005) 4 del 23 febbraio 2005 dichiara ufficialmente che "Rom/Zingari hanno contribuito alla costruzione della cultura e dei valori europei in misura non inferiore rispetto agli altri popoli europei".
Anche ai nostri giorni tantissimi sono gli esempi di vera inclusione sociale tra rom e non rom costruiti superando la cultura del "nemico" e applicando le normative ordinarie.
Nella città di Reggio Calabria dopo 50 anni di esclusione sociale (dalle fiumare ai campi-ghetto) sviluppata all'insegna dei pregiudizi, una parte della comunità rom ha cominciato a includersi nella società nel momento in cui sono stati trattati come persone normali, applicando le leggi ordinarie, ascoltandoli e accettando la loro richiesta di non vivere più concentrati ai margini della comunità, ma dislocati insieme agli altri concittadini.
A Reggio Calabria si è cominciato a realizzare questo modello abitativo dell'equa dislocazione attraverso una "battaglia" per il diritto ad un habitat inclusivo, portata avanti dagli stessi rom insieme all'Opera Nomadi locale. Tra molte difficoltà la richiesta dell'equa dislocazione, in parte, è stata accetta dalle Amministrazioni comunali reggine e quindi oggi il 30% delle famiglie rom vive dislocata nei condomini insieme ai cittadini non rom.
Una ricerca scientifica conclusa di recente dall'Opera Nomadi locale ha dimostrato che le famiglie rom dislocate vivono bene accanto ai non rom e sono quelle più incluse nella società reggina rispetto a coloro che sono ancora emarginati nei vari concentramenti-ghetto. Ma a Reggio Calabria c'è ancora molto da fare visto che il 70% delle famiglie rom sono ancora emarginati nei ghetti di Modena e di Arghillà.
Nonostante il risultato positivo ottenuto con una parte delle famiglie, rimane ancora, nella nostra città, il pericolo della ghettizzazione perchè l'Amministrazione e l'opinione pubblica non hanno completamente accettato il modello della delocalizzazione.
Ancora oggi 6 famiglie che abitavano nell'insediamento del "208", demolito nell'agosto 2007, non hanno avuto assegnato l'alloggio popolare in dislocazione che il sindaco aveva promesso di consegnare entro ottobre 2007.
La demolizione del ghetto storico del "208" è stata accompagnata dallo sviluppo ad Arghillà di un concentramento di 106 famiglie rom, che costituisce il più grande ghetto rom che la città abbia mai avuto. Se non si svilupperà , al più presto, un piano di equa dislocazione nei prossimi mesi l'Amministrazione Comunale concentrerà altre 30 famiglie rom in questo grande ghetto (Arghillà) incrementando la ghettizzazione.
La conquista del diritto all'inclusione sociale per i rom non avviene una volta per tutte, ma giorno dopo giorno con il contrasto quotidiano alla discriminazione e alla ghettizzazione. di Giacomo Marino, Presidente Opera Nomadi di Reggio Calabria
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