Premessa: «Le colpe della società e della politica non possono costituire un alibi alle responsabilità individuali». Affondo: «Milano ha comunque il dovere di mostrare che la propria natura è civile e tollerante. Per questo chiedo al sindaco Moratti di chiamare la città in piazza a testimoniare questo spirito. Se lo farà, io sarò al suo fianco». Filippo Penati, presidente della Provincia di Milano, è cauto nel parlare di «episodio razzista» ma insiste sulla necessità di «dare la giusta attenzione ai temi della sicurezza che ancora gravano sulla vita dei cittadini».
Ancora allarme sicurezza, presidente?
«I problemi non sono stati risolti. In compenso, una certa politica che a fini elettorali continua a soffiare sul fuoco della paura contribuisce ad aumentare il senso di insicurezza che spesso può degenerare».
Come in questo caso?
«Aspettiamo che la magistratura e le forze dell'ordine chiariscano i contorni della vicenda. Dico che, a prescindere da tutto, la giusta attenzione ai temi della sicurezza non deve mai sconfinare in un clima di odio, né legittimare forme di azione dove ci si fa giustizia da sé. La filosofia delle ronde padane, per intenderci, dello Stato assente "e quindi faccio tutto da solo", deve essere stroncata con forza da chi ha ruoli politici e amministrativi».
Una filosofia che invece vince, qui a Milano?
«A Milano negli ultimi anni le forze di destra hanno indubbiamente soffiato sul fuoco della paura e hanno creato attese che in realtà si riducono ad una politica di annunci e non di fatti concreti».
Allude alla manifestazione per la sicurezza voluta un anno e mezzo fa dal sindaco Moratti?
«Quella manifestazione aveva soltanto diviso la città. Per questo dico che oggi, se c'è qualche segnale della possibilità del germogliare di un seme xenofobo, dobbiamo scendere in piazza tutti insieme e in fretta».
Il nuovo governo si è occupato del pacchetto sicurezza. Risultati?
«Al limite dello zero. Hanno mandato a Milano 300 militari che si sono già dispersi. Non c'è, oggettivamente, un segnale della loro presenza e la gente, come vediamo, muore ancora. Non c'è un'azione coerente di maggiore presidio del territorio e l'unica cosa certa è che la Finanziaria di questo governo taglia i fondi destinati alle forze dell'ordine».
Rischio xenofobia?
«Faccio una considerazione: quando tutto il problema sicurezza si riconduce solo ai rom, passa il messaggio che il problema è quello del contrasto con chi è di un'altra nazione o di un'altra cultura. Ma non è colpendo il diverso che si conquista sicurezza e la paura non si controlla minando il tema della convivenza civile ».
Che fare, invece?
«Non sottovalutare i dati del ministero degli Interni, secondo cui la maggior parte dei reati sono commessi da immigrati clandestini: quindi, perseguiamo chi è fuori dalle regole senza dimenticare politiche di integrazione rivolte ai molti immigrati che fanno la loro parte per lo sviluppo del nostro Paese».
Molti commentano questo omicidio rimandando alle colpe della società. Che ne pensa?
«Ripeto la mia premessa. Un'analisi corretta non può prescindere dalle responsabilità individuali: qui ci sono due persone che rincorrono tre ragazzi per un panino o una scatola di biscotti, che poi prendono in mano una sbarra di ferro e uccidono. Non è stata neppure una lite degenerata e mi chiedo, da padre, che padre sia questo che trascina il figlio in una rissa del genere con un finale così tragico». di Elisabetta Soglio
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